Dell Emc: i segreti per guadagnare con la trasformazione digitale (non immune da rischi…)

hand-2722097_1280

di Marco Scotti ♦ Fatturati più alti, più competitività e un mercato più ampio. Le aziende che hanno scelto di cambiare fanno più business. Lo dice una ricerca globale commissionata dalla multinazionale di Michael Dell. E l’ Italia? Il ritardo c’è, ma al mutamento tecnologico ci credono in molti. Parla Marco Fanizzi

Il 94% delle aziende che si trovano in una fase matura della loro digital transformation ha registrato nel 2017 fatturati superiori rispetto alle attese contro il 44% di quei soggetti che ancora non hanno iniziato un processo di adeguamento dell’infrastruttura tecnologica. È quanto emerge da una ricerca globale ESG – commissionata da Dell Emc – che ha studiato la correlazione tra lo stato di trasformazione delle aziende e gli impatti in termini di crescita, competitività e capacità di differenziazione del business. Un quadro sicuramente positivo, anche se, va precisato (come ha fatto Industria Italiana qui e qui) che si tratta di un processo non immune da rischi.

Un altro dato di particolare rilievo è rappresentato dal fatto che il 91% delle aziende di riferimento del panel hanno raggiunto lo scorso anno un migliore posizionamento competitivo contro il 35% di chi ancora non è tecnologicamente maturo. Inoltre, le aziende “trasformate” sono oltre 20 volte più veloci nel proporre nuovi prodotti e servizi al mercato, mentre l’81% delle aziende del campione ritiene che senza un piano di trasformazione IT non saranno in grado di essere competitive sul mercato. Un dato in aumento di 16 punti percentuali rispetto al 2017.







 

Marco Fanizzi, VP & General Manager Enterprise Sales di Dell EMC Italia

 

«La digital transformation – ci spiega Marco Fanizzi, VP & General Manager Enterprise Sales di Dell EMC Italia  – rappresenta la possibilità di avere un business gestito in maniera predittiva e veloce, aggiungendo mercati molto più ampi rispetto a quanto avvenisse con i parametri precedenti. È chiaro che questa trasformazione comporta una serie di modificazioni nei gangli vitali dell’azienda: un primo, ovvio cambiamento è quello dell’IT, nel senso di professione ma anche di dotazione tecnologica. Un aspetto invece più interessante e meno esplorato è quello relativo alla workflow transformation, ovvero le profonde modificazioni nel modo di svolgere la propria mansione da parte della forza lavoro, che oggi può contare su una maggiore mobilità e su un diverso approccio al tradizionale orario. Infine c’è un grande tema relativo alla sicurezza: in un mondo sempre più digitale e digitalizzato è necessario che essa sia spinta al massimo. Ma questo non significa chiudere le porte, quanto piuttosto avere la certezza che i network, i datacenter, i dati bancari e sanitari, perfino le fotografie siano soggetti a una protezione efficace e continua».

 

 

digital transformation

A che punto è la trasformazione digitale

I dati parlano chiaro: chi ha avviato una trasformazione digitale efficiente ha un enorme vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza. Ma a che punto siamo in questo percorso evolutivo che sembra ormai divenuto imprescindibile? Secondo Fanizzi il grande “rumore” intorno alla digital transformation è aumentato in maniera esponenziale negli ultimi due anni, quando i vertici delle aziende hanno «capito che se non si riesce a far funzionare l’informatica all’interno dell’azienda probabilmente si rischia di chiudere entro breve tempo. La forte connotazione della trasformazione digitale è quella di aver cambiato la pelle delle aziende facendole diventare delle software company, in modo da aumentare la propria velocità e customizzare l’offerta, modellandola senza essere più legati a delle logiche hardware, avendo dei clienti finali che utilizzano le applicazioni

«Proviamo a dividere la digital transformation in una serie di passaggi: tutte le aziende hanno iniziato a guardarsi dentro per capire che tipo di tecnologia hanno? Sicuramente sì. Possiamo anche dire che tutti o quasi hanno incominciato un processo di razionalizzazione dell’infrastruttura, ma non tutti hanno ancora iniziato una rivoluzione vera e propria. La verità, poi, è che la digital transformation non è un processo chiuso che ha un inizio e una fine, ma piuttosto è un meccanismo in continua trasformazione. Basta pensare alle applicazioni per lo smartphone, che sono soggette a un continuo miglioramento tramite aggiornamenti successivi. La stessa cosa sta succedendo con la trasformazione digitale delle aziende, costringendole a una continua implementazione dei propri sistemi informatici e a un’apertura sempre maggiore alle nuove tecnologie». In questo meccanismo in continua trasformazione, oltretutto, un ruolo fondamentale lo gioca l’analisi dei dati, che consente di capire in tempo reale se una certa applicazione sta funzionando in maniera efficiente oppure no e come modificarla. Il predictive analytics, quindi è la chiave per continuare a migliorare la situazione tecnologica dell’azienda.

 

 

Fanizzi: i programmi lanciati per agevolare gli investimenti hanno sicuramente aiutato a dare più scioltezza agli imprenditori, ma non ho mai visto l’economia influenzata dalla politica

L’Italia

Dal punto di vista della trasformazione digitale, l’Italia sembra essere un po’ più indietro, anche se la situazione sta progressivamente migliorando rendendo il nostro paese più pronto ad abbracciare la rivoluzione tecnologica. L’Italia, però, ha avuto una crisi economica più difficile rispetto a quella che ha colpito altri paesi: «Noi – spiega ancora Fanizzi – siamo sempre stati peculiari, abbiamo avuto un mercato interno storicamente poco frizzante. Su questa situazione pregressa si è innestato il calo sistematico dell’export, il settore in cui eravamo tradizionalmente più forti. Così, in un colpo solo, ci siamo trovati con un mercato interno già di suo poco mobile e un mercato esterno che aveva rallentato pesantemente. Gli imprenditori hanno cercato di rimettere a posto le cose e c’è stata una sorta di darwinismo aziendale, nel senso che chi non portava valore aggiunto è uscito dal mercato in maniera anche piuttosto rapida

«Oggi invece vediamo che i capitali stranieri stanno convergendo verso l’Italia in maniera molto più decisa rispetto al passato, e questo perché sicuramente la crisi economica si è molto attutita, ma anche perché c’è una maggiore possibilità di spesa soprattutto nei prodotti di qualità e nei brand più rappresentativi del Made in Italy». Per incentivare gli investimenti interni ed esterni, sono stati varati dei pacchetti che hanno (o avrebbero dovuto) aumentare di molto la potenza di fuoco delle nostre imprese. È il caso di Industria 4.0 e Impresa 4.0, che hanno inaugurato il superammortamento e l’iperammortamento garantendo alle imprese la possibilità di sgravi fino al 250% del capitale investito per ammodernare la propria infrastruttura tecnologica o per implementare la formazione interna. Ora, con la crescente instabilità politica, si rischia di fare qualche passo indietro per quanto riguarda l’imprenditoria. O almeno, questo è il timore condiviso.

 

 https://www.flickr.com/photos/joi/430004299/sizes/o/in/photostream/
Michael Dell, fondatore e CEO Dell ( photo by Joi )

 

Fanizzi però non sembra concordare: «I programmi lanciati per agevolare gli investimenti hanno sicuramente aiutato a dare più scioltezza agli imprenditori. L’instabilità non giova a nessuno, ma ci sono due fattori da tenere in considerazione: in primo luogo, non ho mai visto l’economia influenzata dalla politica. E poi, non va dimenticato che non abbiamo mai avuto una solidità politica tale da poterla rimpiangere oggi in una situazione di apparente stallo istituzionale. È chiaro che se vogliamo valorizzare le cose buone fatte finora abbiamo bisogno di un governo vero e proprio, ma serve soprattutto intervenire su specifici settori, come ad esempio la Pubblica Amministrazione.»

«Facciamo un esempio: a Milano sempre più quartieri stanno realizzando le strisce blu per garantire i parcheggi ai residenti e far pagare chi non vive in quella determinata zona. La motorizzazione sta mandando a casa delle famiglie i pass necessari per poter sostare senza ulteriori aggravi: peccato che nel 90% dei casi l’invio sia stato sbagliato. Pensiamo a quanto è costato creare quei tagliandi, a quanto tempo si perderà, a quanto potrà impattare in termini di costi per la pubblica amministrazione tra code allo sportello e multe contestate. Se risolvessimo i problemi reali potremmo portare avanti risparmi clamorosi, ben più importanti della soluzione politica che in questo momento tarda ad arrivare».

 

Fanizzi: per la digital transformation serve soprattutto intervenire su specifici settori, come ad esempio la Pubblica Amministrazione

L’ottimismo degli imprenditori italiani

Nonostante una situazione ancora piuttosto convulsa, gli imprenditori italiani sono più ottimisti nel valutare l’integrazione tra digitale e tessuto economico. In Italia, secondo uno studio realizzato da Dell Emc, il 38% della business community presa come campione vede il digitale già integrato in tutto ciò che facciamo. Dato che, peraltro, posiziona il Belpaese come la Nazione in questo senso più ottimista (il dato globale è al 27%), con il Giappone a fare da contraltare (17%). Tra le barriere più grandi a causare questa lentezza nel percorso di digitalizzazione, in Italia vengono citate il ritardo nella formazione della forza-lavoro in relazione al nuovo contesto digitale (57%), oltre alla mancanza di una visione strategica (56%). Oltretutto, per l’87% del panel nazionale (superiore di cinque punti percentuali rispetto alla cifra globale), uomini e macchine lavoreranno come un vero e proprio team unico entro i prossimi 5 anni. Come si può spiegare questo apparente ottimismo degli imprenditori che contrasta con una digital transformation ancora piuttosto indietro rispetto a quanto visto in altri paesi?

Secondo Fanizzi il tutto sta nel capire da che punto si osserva la questione. «Negli ultimi 10 anni – ci spiega il General Manager Enterprise Sales di Dell EMC Italia  – abbiamo investito molto meno in IT rispetto ai paesi top del mondo e rispetto alle prime 500 aziende a livello globale. Per vedere una spesa consistente nel settore dobbiamo tornare al periodo che va dal 1998 al 2005. Questo ha generato un gap tecnologico nostro rispetto al resto del mercato e anche un gap di costi. È chiaro che in questo momento un imprenditore si trova di fronte a uno scenario completamente mutato: un mercato in evoluzione, un pil in aumento, un paese che vede un export tornato a crescere. Sono tutti fattori che fanno aumentare la positività negli imprenditori e che li incentivano a pensare che sia questo il momento giusto per investire in tecnologia. D’altronde, se già ora, senza una digital transformation sistemica, stiamo vivendo un momento di “rinascita”, è naturale che si pensi a che cosa potrebbe succedere se si decidesse di investire in nuove tecnologie che consentano di avere una maggiore penetrazione in altri mercati.»

 

robotica collaborativa
Robotica collaborativa

Le macchine e gli uomini lavoreranno in maniera integrata

Come detto, quasi 9 imprenditori su 10 ritengono che entro cinque anni uomini e macchine raggiungeranno una piena integrazione. Ma una “fusione” di questo tipo apre a nuovi scenari sia dal punto di vista della tecnologia necessaria per favorire questa interazione, sia per quanto riguarda il ruolo dell’uomo nel lavoro del futuro. Per Fanizzi, però, l’integrazione uomo-macchina è una realtà che già oggi stiamo vivendo. «Molti processi decisionali – ci spiega – in tanti ambiti (finance, manifatturiero, insurance, telecomunicazioni) vengono presi sulla base di questo rapporto sempre più stretto. I dati, infatti, vengono impiegati come fonte di informazione aggregata rispetto a un problema specifico: non dico nulla di nuovo quando affermo che gli Analytics oggi vengono impiegati soprattutto per fare pianificazione a lungo periodo mentre prima ci si basava su dati storici. Queste informazioni arrivano in tempo reale e permettono di velocizzare il decision-making. »

«In realtà, quindi, questo processo è già in essere anche se con diverse velocità e con diversa pervasività a seconda dei settori. Nel nostro paese c’è un mondo imprenditoriale che è abituato a confrontarsi con tematiche di questo tipo perché è solito misurarsi su scenari internazionali giocando sul tema dell’internazionalizzazione; ci sono invece segmenti verticali dove ancora non si è raggiunta la maturità necessaria per vedere una completa integrazione tra uomo e macchina. Penso, ad esempio, alla pubblica amministrazione, ma anche alle smart cities, annunciate ma mai realmente realizzate. In questi settori vedo un percorso ancora molto lungo e tutto da intraprendere, anche se qualche focolaio di innovazione si vede. Se guardiamo altre situazioni, poi, questa integrazione rappresenterebbe delle possibili soluzioni che ancora non sono state esplorate: dalla gestione del territorio al tema dell’integrazione, la tecnologia potrebbe fare moltissimo per prevenire le catastrofi naturali o per migliorare le condizioni di vita delle persone che arrivano in Italia in cerca di asilo».

 

 

AI
Fanizzi: l’intelligenza artificiale, sta già dimostrando una capacità di decision-making che in futuro potrebbe aprire degli scenari che oggi sembrano pura fantascienza

Possibili tensioni sociali?

Di fronte a una presenza sempre più massiccia di dispositivi tecnologici in grado di prendere decisioni autonome, il ruolo dell’uomo potrebbe iniziare a diventare più marginale, soprattutto se si pensa ad alcune attività che già oggi possono essere svolte in maniera più efficiente e rapida da dei robot o da delle macchine. L’intelligenza artificiale, poi, sta già dimostrando una capacità di decision-making che in futuro potrebbe aprire degli scenari che oggi sembrano pura fantascienza. Anche in questo caso Fanizzi ha un’idea precisa: «Già oggi questo tema è di enorme attualità, ci sono stati che stanno vivendo tensioni, crisi, ma anche scoprendo nuove opportunità per quanto riguarda l’uomo. Dal mio punto di vista, l’intelligenza artificiale rappresenta la capacità di accelerare i processi di elaborazioni e perfino di prendere decisioni. Ma il ruolo dell’uomo rimarrà centrale. Quello che invece andrà dibattuto, spero il prima possibile, è che c’è davvero la possibilità che le nuove tecnologie diano al genere umano una qualità della vita un po’ diversa da quella che siamo stati abituati a vivere fino ad ora. »

«Per quanto riguarda lo studio, per esempio, saranno oggetto di forte dibattito i temi legati alla nostra esistenza non in quanto lavoratori o produttori di qualcosa, ma piuttosto come persone che devono essere educate in modo diverso da quanto avvenuto fino ad ora. Per questo i nostri percorsi educativi per i giovani, le università, gli stage dovranno essere orientate a una nuova alfabetizzazione. Non possiamo guardare ai giovani come a delle persone abituate al digitale, perché la tecnologia con cui ci stiamo rapportando noi in questo momento storico sarà molto diversa da quella con cui lavoreranno loro un domani. Faccio fatica a misurare questo cambio epocale, ma è certo che viviamo in un momento di enorme discontinuità tecnologica».














Articolo precedenteHansgrohe Italia punta a una crescita a due cifre
Articolo successivoTutto quello che avreste sempre voluto sapere sulle aziende manifatturiere piemontesi e non avete mai osato chiedere






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui