Def: la spesa pubblica e’ un moltiplicatore efficace, ma senza formazione, industria e innovazione ci sara’ solo poverta’

di Filippo Astone ♦ La manovra del Governo potrebbe anche funzionare. Ma non va dimenticato che urgono investimenti per cavalcare la rivoluzione tecnologica in corso e sostenere la manifattura. Solo lo sviluppo economico può creare la maggiore ricchezza necessaria per aumentare l’equità sociale. Mentre il nemico del lavoro non sono i robot, ma un’istruzione inadeguata

Il Def proposto dal governo Conte-Salvini-Di Maio ci piace perché si basa su un principio keynesiano che funziona sempre e perché va nella direzione di una maggiore equità sociale. Non ci piace perché rischia di essere di impossibile attuazione (con il rischio di creare danni superiori ai vantaggi) e perché non investe risorse supplementari in settori essenziali per la nostra sopravvivenza: industria, formazione, innovazione. Adeguati stanziamenti in tali ambiti, accompagnati da una vera politica industriale, potrebbero nel medio termine produrre incrementi di ricchezza sufficienti a rispondere in modo più efficace ai problemi economici e sociali. Tuttavia, non produrrebbero un dividendo elettorale immediato.

 







L’economista John Maynard Keynes

La spesa pubblica fa crescere il pil

Il principio keynesiano è che la spesa pubblica è il miglior moltiplicatore possibile. Per semplificare: un euro di spesa pubblica impiegato bene, genera 5 euro di pil e 1,3 euro di tasse, e quindi la collettività ne guadagna. L’idea alla base del Def è che dare i soldi ai poveri sarebbe redditizio, perché li spendono tutti (a differenza dei ricchi, che possono spenderli all’estero o accumularli) generando rapidi ritorni per lo Stato e crescita economica. Se una persona fa 100 euro di spesa in più, lo Stato si riprende subito 21 euro di Iva, piu l’Irpef supplementare pagato dal supermercato. E questo vale solo per il primo giro, poi ci sono tutti gli altri giri con i fornitori del supermercato, che a loro volta pagano Iva e Irpef. Inoltre, la catena di supermercati (che ovviamente citiamo come esempio) potrebbe decidere, grazie ai maggiori utili, di fare investimenti in nuovi punti vendita, oppure in tecnologie, o di assumere ulteriore personale. Tutto questo è vitale per un’economia, come quella italiana, nella quale i consumi interni stagnano da oltre un decennio. L’incremento dei consumi interni non spinge solo le aziende che forniscono beni di prima necessità, ma tutte, perfino quelle tecnologiche o apparentemente più lontane dalla vita degli indigenti beneficiari del reddito di cittadinanza o della riforma della legge Fornero.

 

Il presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte

Inoltre, l’Italia ha un problema di povertà e disoccupazione notevolmente superiore a quello della maggior parte dei suoi partner nell’Unione europea. Ci sono persone espulse dai processi produttivi a causa dell’ondata di crisi aziendali degli anni bui della recessione (2008-2013), dai quali non ci siamo mai ripresi. Persone che hanno perso il lavoro, hanno più di 55 anni e possibilità scarsissime di trovarne un altro o di accedere alla pensione, anche perché la legge Fornero ha spostato troppo in là l’età necessaria. La massa di italiani senza né lavoro né pensione è destinata a crescere negli anni futuri, anche a causa dell’avvento dell’automazione.

 

Il Ministro dell’ Economia e delle Finanze Giovanni Tria con l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

 

Insomma, in teoria, i principi alla base della manovra economica disegnata da Lega e 5 Stelle e impostata da Giovanni Tria sono ineccepibili. Purché la reazione negativa dei mercati, e la crescita dello spread, non comportino esborsi così importanti per la copertura degli interessi sui titoli di Stato da rivelarsi insostenibili. Senza contare gli effetti indiretti, come l’aumento degli interessi bancari. Non servono giri di parole: se si mette troppo male l’Italia qualche probabilità di collassare ce l’ha. Oppure, il progetto di manovra potrebbe essere gioco forza ritirato, col rischio di una pessima figura a livello mondiale e di inutili interessi supplementari sul debito pubblico (impoverendo ulteriormente il Paese) accumulati durante l’inutile balletto.

Forse sono sbagliati i tempi: nel 2019-20 poteva passare più facilmente, anche perchè l’ordo-liberismo europeo è al capolinea. La manovra che il governo Conte-Salvini-Di Maio vorrebbe fare è comunque giusta ma, forse, ad essere sbagliati sono i tempi. In questo momento, i neokenesiani al Governo si trovano tutti contro, tranne gli elettori. Quello che il professor Giulio Sapelli chiama “ordo-liberismo” ancora domina in Europa e nella classe dirigente, imponendo austerità e politiche economiche che impoveriscono la popolazione, danneggiano il mercato interno ed eviscerano l’economia. Ma è probabilmente destinato a durare poco.

 

Il Parlamento Europeo in seduta plenaria

Le elezioni europee potrebbero spazzare via l’austerità e rendere più praticabili manovre come questa

Nella primavera 2019 ci saranno le elezioni europee e tutto fa pensare a una nuova maggioranza politica, in grado di ribaltare gli orientamenti di austerità che fin qui hanno prodotto solo esiti disastrosi, e magari anche di far varare gli euro-bond, che sarebbero un potentissimo veicolo di sviluppo. In quel contesto, una manovra come quella che vorrebbero Lega e 5 Stelle troverebbe un consenso più ampio a livello internazionale e avrebbe assai più chances di venire varata senza reazioni punitive dei mercati e altre conseguenze problematiche.

L’austerità e l’ordoliberismo distruggono valore economico e sociale, e costringono le imprese che possono farlo a campare di export

Qualche giorno fa, a Piazza Pulita, la trasmissione de La7 condotta da Corrado Formigli, Sapelli l’ha spiegata molto bene: « Il problema vero», ha detto Sapelli, «è che in Europa c’è una politica ordoliberista fondata sull’assunto catastrofico che non ci deve esere debito pubblico. Ovunque si applica, questa cosa eviscera le economie, distrugge la coesione sociale. E infatti gli Stati uniti sono l’unica potenza che cresce, e naturalmente hanno un surplus militare e hanno moneta di riferimento. La politica dell’austerità è una catastrofe e, se continua, la deflazione secolare ci distruggerà. Il problema è la politica economica, non possiamo continuare con il pilota automatico. La gente vota, ma poi i Moscovici dicono ‘’perche’ avete votato’’ ; ma il popolo non puo’ sostenere questo né possono farlo le imprese poichè dovrebbero vivere solo di export, ma l’export è solo il 30% dei loro ricavi. C’è bisogno di mercato interno. Bisogna toccare i fili ma contesto il modo in cui si è fatto. L’italia è l’unica nazione che ha la classe dirigente che tifa per il default». Questo discorso ci è sembrato così chiaro, e così importante, anche per l’Industria (che rappresenta la ragion d’essere del nostro giornale) che abbiamo deciso di riprodurre il video integrale di Sapelli in un altro articolo in homepage qui. Il luogo comune della spesa pubblica come male assoluto non ha nessun fondamento nella realtà. Così come il luogo comune secondo il quale i privati gestirebbero meglio, a priori, qualunque attività rispetto allo Stato.

 

Il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio (foto di Mattia Luigi Nappi)
l def non dà la giusta attenzione a formazione, università, industria: è una carenza gravissima

Quello che non ci piace della manovra economica che si profila è la scarsa attenzione che emerge nei confronti di università e mondo industriale. Non solo perché queste due realtà meriterebbero sempre e comunque il massimo degli investimenti possibili. Ma soprattutto perché il globo intero sta vivendo una rivoluzione tecnologica e produttiva di portata colossale, paragonabile alla Prima Rivoluzione Industriale. Questa Rivoluzione, che impropriamente viene chiamata 4.0, spazza via milioni di professionalità e posti di lavoro, sostituiti da informatizzazione e automazione. Ma ne crea milioni di altri, riservati a chi sa usare quelle tecnologie. L’automazione, insomma, genera una ricchezza supplementare che può essere redistribuita solo se vi sono politiche pubbliche che sostengono tale processo e che creano le risorse umane necessarie.

 

robotica collaborativa
I robot non rubano il lavoro, ma è necessario acquisire le competenze fondamentali
Il nemico del lavoro non sono i robot, ma un’istruzione inadeguata

Il tema delle competenze è urgente. Già oggi le aziende lamentano di non riuscire a coprire i posti di lavoro necessari nei settori dell’automazione, dei big data, del software e dell’interconnessione delle macchine. Le varie statistiche ci dicono che la percentuale di posti di lavoro per cui non si individuano le persone adatte attualmente va dall’1% al 2%. In futuro la percentuale potrebbe essere notevolmente maggiore. La carenza di competenze indebolisce alcune imprese e ne costringe altre a cercare le persone adatte all’estero, assumendole o facendole lavorare in connessione remota. Il rischio – se non cambiano radicalmente le politiche pubbliche – è di licenziare operai italiani per essere poi costretti ad assumere tecnici rumeni (la Romania, incredibile ma vero, sembra essere messa meglio di noi) o informatici indiani che operano online dal loro Paese.

E’ il sapere a rendere competitive le aziende ed a creare posti di lavoro

Inoltre, la Quarta Rivoluzione industriale ci porta verso un mondo dove il fattore competitivo più importante è il sapere. Diventa quindi fondamentale l’apporto delle Università alle imprese. Non a caso, le politiche industriali delle due economie di maggior successo contemporaneo, cioé Stati Uniti e Germania, sono basate sul sostegno alle università e ai centri di ricerca e sull’utilizzo del loro lavoro a favore delle aziende.

Infine, va ricordato che maggiori investimenti in istruzione, università e manifattura hanno lo stesso effetto keynesiano della distribuzione di denaro ai poveri. E nel medio-lungo periodo, creando maggiore ricchezza, rendono più praticabili politiche sociali come il reddito di cittadinanza, l’aumento delle pensioni e l’abbassamento dell’età pensionabile che la Legge Fornero ha portato a livelli insostenibili. Non solo perché in molti lavori è irrealistico pensare che le persone possano continuare fino a 67 o 70 anni, ma anche perché moltissimi, nei prossimi anni, perderanno il lavoro ben prima, rimanendo a lungo senza occupazione né pensione.

Il tema della Quarta Rivoluzione Industriale e delle competenze dovrebbe essere il più importante di tutto il dibattito politico. Invece, se ne parla appena. Anzi, non è nemmeno troppo chiaro se verranno confermati gli incentivi all’automazione e alla formazione previsti dai due pacchetti Calenda, che hanno avuto un impatto positivo molto importante e hanno contribuito alla ripresa degli investimenti fissi lordi delle imprese, che erano fermi da oltre dieci anni e che nel solo 2017 sono cresciuti di circa 70 miliardi di euro.

La manovra economica veramente necessaria dovrebbe sicuramente basarsi su incremento della spesa pubblica produttiva, ma dovrebbe soprattutto tendere a costruire le fondamenta per una società più ricca, industriale, manifatturiera, istruita, tecnologica e competitiva.














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