Smart Manufacturing by Omron: ecco i mattoni della fabbrica 4.0

di Marco de’ Francesco ♦ La multinazionale giapponese dell’ automazione industriale e dell’elettronica racconta il percorso per rendere  la manifattura smart: una architettura integrata fatta di dati, sistemi di comunicazione e di visione, mettendo all’opera robot e intelligenza artificiale

Si parla spesso di “smart manufacturing”, paradigma della manifattura che ha l’obiettivo di ottimizzare i processi. Ma, all’atto pratico, cosa deve fare un’azienda per diventare “smart”? Ecco un possibile viatico in tre mosse e tre “ingredienti” fondamentali, proposto da Omron, multinazionale giapponese che in Italia sta crescendo anche nell’automazione, settore in cui ha presentato a recentemente presentato (vedere quihttps://www.industriaitaliana.it/il-laboratorio-dell-innovazione-di-omron/) il suo Innovation Lab. Il primo step è quello di munirsi di un’architettura integrata, che consenta di scambiare informazioni su più livelli, dal sensore al database; e che quindi permetta all’azienda la manutenzione predittiva, il controllo verticale e quello dei tempi di attesa. Il secondo è quello di ottenere una ingente quantità di dati dalle macchine raccogliendoli da un unico punto di linea grazie ad uno standard di comunicazione tra sensori e controllori e munendosi di funzioni di storage.

Il terzo è quello di disporre di un protocollo IO-Link, che consente di entrare nel sensore e cambiare i parametri di lavoro, e di una connessione Sql, che opera con un linguaggio standard per database progettato per modificare gli schemi di questi ultimi. Quanto ai tre elementi di sistema, il primo è quello dei sistemi di visione, che consentono di controllare la lavorazione e di leggere i codici Qr, per tracciare il prodotto. Il secondo è l’intelligenza artificiale, che aiuta le aziende a implementare processi a “zero difetti e senza fermi macchina”. Il terzo è la robotica, con soluzioni in grado di mettere in sinergia la robotica, sistemi di visione e di feeding.







 

Dario Simontacchi, Robotics Solution Specialist di Omron

 

Questo percorso è stato descritto da Dario Simontacchi, Robotics Solution Specialist di Omron, colosso nipponico da 6,5 miliardi di euro di fatturato la cui attività principale è la produzione e la vendita di componenti, apparecchiature e sistemi di automazione. Se ne è parlato giorni fa a Torino alla quinta edizione del “Forum Meccatronica”. L’evento, realizzato dalla Federazione Anie (“Federazione nazionale imprese elettrotecniche ed elettroniche”) in collaborazione con Messe Frankfurt Italia, parte del gigante tedesco ma globalizzato delle fiere Messe Frankfurt, è stato presentato dal Gruppo Meccatronica di Anie Automazione.

Cos’ è la smart manufacturing?

Per smart manufacturing si intende una categoria della manifattura che ha l’obiettivo di ottimizzare i processi utilizzando le tecnologie più avanzate. Si cercano soluzioni di IT e OT.

Anzitutto c’è da capire cosa sia la smart manufacturing. Tecnicamente, è un paradigma della manifattura che ha l’obiettivo di ottimizzare concept, realizzazione e transazione di prodotto: mira ad utilizzare le tecnologie IT e produttive più avanzate per implementare la flessibilità dei processi, e ciò al fine di affrontare mercati sempre più globali, competitivi e dinamici. Secondo Andrew Kusiak dell’Università dell’Iowa (“Smart Manufacturing.” International Journal of Production Research 1–10. Web) «è una forma di produzione emergente che integra le risorse produttive di oggi e di domani con sensori, piattaforme di calcolo, tecnologie di comunicazione, controllo, simulazione, modellazione intensiva dei dati e ingegneria predittiva. Utilizza i concetti di cyber-fisico sistemi guidati dall’internet delle cose, il cloud computing, l’informatica orientata ai servizi, l’intelligenza artificiale e scienza dei dati. Una volta implementati, questi concetti e queste tecnologie renderanno la smart manufacturing il carattere distintivo della prossima rivoluzione industriale». Sei i pilastri, secondo Kusiak: «Tecnologia di produzione e processi; materiali; dati; ingegneria predittiva; sostenibilità; e condivisione di risorse e networking».

Secondo Simontacchi, «la smart manufacturing è di sicuro veicolata da necessità reali inerenti il processo produttivo: la customizzazione di massa; la ricerca di qualità e sicurezza del prodotto; quella di aumento di efficienza dell’impianto; la riduzione del TCO (il costo totale di proprietà o di possesso, e cioè quello generato dall’apparecchiatura dai suoi esordi sino alla fine, considerando l’installazione, la manutenzione, la dismissione) e infine il “machine safety and energy saving”, che riguarda la spesa energetica». Sempre secondo Simontacchi, «la smart manufacturing si occupa di trovare soluzioni in due aree diverse: quella IT, l’information technology e quella OT, di operational technology, che riguarda il controllo e l’automazione».

 

Linea di montaggio nello stabilimento Toyota UK

Il rapporto con la lean production

Dal momento che la smart manufacturing si pone come obiettivo l’ottimizzazione dei processi, si è gradualmente “imparentata” con la lean production, che tende allo stesso fine con la riduzione degli sprechi.

Secondo Simontacchi, «la tendenza attuale è quella di fondere la smart manufacturing con un altro approccio, sviluppato fin dal dopoguerra negli stabilimenti della Toyota: la lean production. Questa filosofia aziendale mira ad aumentare la profittabilità con la riduzione degli sprechi. D’altra parte, come è noto il Giappone era uscito a pezzi dal secondo conflitto mondiale, e l’azienda (attualmente una multinazionale leader mondiale nella produzione di autoveicoli. Ha chiuso il bilancio 2017-2018 con un fatturato pari a 223 miliardi di euro, e un utile netto pari a 19 miliardi, in crescita del 36%) si trovava ad operare in un tessuto industriale devastato.

Non si poteva sprecare nulla, e nulla che incidesse sulle risorse dell’impresa poteva essere lasciato al caso. Perciò furono identificate alcune categorie legate alla riduzione degli sprechi. Si tende a comprimere: la difettosità del prodotto finito; la sovrapproduzione; le attese inutili; il talento umano inespresso; il trasporto intra-logistico inefficace; le scorte troppo elevate; l’inutile movimento di persone e i processi non ottimizzati. Mi piace porre l’accento sul talento inespresso: se i dipendenti in azienda impiegano energie per fare delle lavorazioni ripetitive o inutili, è senz’altro uno spreco, perché si potrebbe utilizzare le loro potenzialità per trovare soluzioni efficienti e per realizzare attività più rilevanti per l’impresa».

 

Omron
Controllori Integrati CNC serie NJ/NY di Omron

Una architettura integrata

Prima mossa: in vista dell’ottimizzazione dei processi, il punto di partenza è disporre di una architettura integrata, concetto che riguarda l’IT e l’OT, e al contempo mezzo che consente di scambiare informazioni su più livelli, dal sensore al database. E che permette all’azienda la manutenzione predittiva, il controllo verticale e quello dei tempi di attesa.

Quali strumenti deve possedere un’azienda per integrare il concetto di smart manufacturing? «La prima condizione è quella di avere una architettura integrata» – ha affermato Simontacchi. Ma di cosa si tratta, effettivamente? «Di una architettura in grado di scambiare informazioni su più livelli – ha continuato Simontacchi – dal bordo macchina alla supervisione del ciclo industriale, dal sensore, dalla fotocellula al Mes (Manufacturing Execution System, il sistema informativo che gestisce l’intero sistema produttivo) e all’Erp (pianificazione delle risorse d’impresa, software di gestione che integra tutti i processi di business rilevanti di un’azienda) e ai grossi database». Secondo Simontacchi una architettura integrata consente di ottenere diversi vantaggi per l’impresa.

«Me ne vengono in mente tre – ha continuato -: uno è di certo la manutenzione predittiva, quella che viene effettuata a seguito dell’individuazione di uno o più parametri elaborati utilizzando modelli matematici allo scopo di individuare il tempo residuo prima del guasto». A tale fine, in genere, si utilizzano diverse metodologie, come ad esempio la misura delle vibrazioni, le analisi sui lubrificanti, quella delle correnti assorbite, la termografia, il rilievo di vibrazioni anomale e tante altre. «Un altro è il controllo verticale – ha affermato Simontacchi -: consente di individuare, dai livelli più alti, i componenti del processo che rappresentano sorgenti di inefficienza, e di intervenire per escluderli o modificarli». Infine il controllo dei tempi di attesa. «Se l’azienda dispone di una architettura integrata – ha affermato Simontacchi – può sincronizzare le macchine in modo da controllare quando un pezzo esce da una di esse ed entra in quella successiva, al fine di evitare un eccesso (o la mancanza) di scorte».

Un chiarimento, però. Quando parliamo di scambio di informazioni non ci riferiamo solo all’IT. Il fatto, come spiegano Thijs Frack e altri del Wipro Technologies di Eindhoven e dell’Università di TwenteEnschede (“Towards an Integrated Architecture Model of Smart Manufacturing Enterprises”) è che «la gestione dei processi nello shop floor e i sistemi utilizzati per far funzionare i dispositivi di controllo industriale sono tradizionalmente caduti sotto il dominio degli ingegneri di processo di OT. E dal momento che l’OT si sovrappone sempre più all’IT, assume sempre più significato considerare un dominio fisico partendo da una prospettiva IT. Di conseguenza, la dicotomia tra IT e OT si attenua, in favore di un’unica architettura d’impresa (Ea, enterprise architecture) per la produzione. Per realizzare un’integrazione di successo tra business, IT e OT, gli architetti di impresa e gli ingegneri di processo devono possedere un linguaggio di modellazione condiviso, che possa esprimere tutti i concetti richiesti per disegnare l’architettura dell’azienda».

 

Utilizzare tutti i dati disponibili

Seconda mossa: disporre di un’ingente quantità di dati. Senza le analisi relative, non si può procedere sulla strada dell’ottimizzazione. Ma come si fa a raccogliere i dati? Tre step: si utilizza uno standard di comunicazione tra sensori e controllori; si raccolgono le informazioni da un unico punto della linea; si dispone di strumenti di storage, in modo che se le comunicazioni si interrompono non si perdono informazioni.

L’architettura integrata, tuttavia, è solo il primo passo: se si vuole intraprendere la strada che porta alla smart manufacturing occorre disporre di una ingente quantità di dati da analizzare. Sono indagini di questo genere che consentono all’impresa di ottimizzare i processi. Ma nella pratica come si fa? Cosa deve fare un’azienda? Per Simontacchi «è un’operazione in tre step -: il primo è sincronizzare i dispositivi delle macchine mediante un bus di campo realtime». Quest’ultimo – si legge in uno studio dell’Università di Genova – «è il termine fissato in ambito Iec (International electrotechnical commission) per indicare in un processo automatizzato lo standard di comunicazione “seriale” tra i diversi dispositivi (nodi) costituenti il processo, quali: i dispositivi di campo (sensori, attuatori, ecc.) e di controllo (Plc, Dcs, ecc.). La comunicazione tra i nodi è gestita secondo un protocollo che è caratteristico di ogni tipo di bus di campo». In pratica, occorre un “linguaggio” per far “parlare” tra di loro, ad esempio, sensori e Plc.

«Il secondo step – ha continuato Simontacchi – è l’acquisizione dei dati da un unico punto della linea, con un Plc (controllore a logica programmabile, un computer per l’industria specializzato in origine nella gestione o controllo dei processi industriali) o con un Mac (machine automation controller, che è peraltro uno dei prodotti di Omron quanto a industrial automation. Va sottolineato che il 30 aprile del 2017 Omron ha annuciato lo sviluppo di un machine automation controller equipaggiato con un algoritmo di intelligenza artificiale ad apprendimento automatico. Secondo l’azienda, un controller munito di Ai «viene sviluppato per rilevare immediatamente i potenziali sintomi di anomalie nelle apparecchiature. Gli algoritmi Ai consentono al machine automation controller di apprendere i movimenti ripetuti delle apparecchiature consultando i dati precisi dei sensori e attivando il feedback per il monitoraggio dello stato e il controllo in tempo reale delle macchine»). Quanto al terzo step, per Simontacchi si realizza con «una comunicazione sicura e diretta verso la rete IT (Erp, Mes), che comporta l’opportunità di disporre di funzioni di storage in grado di immagazzinare i dati in un Plc, così da non perderli in caso di interruzione delle comunicazioni».

Protocollo IO-Link e connessione Sql

Terza mossa: disporre di un protocollo IO-Link, che consente di entrare nel sensore e cambiare i parametri di lavoro, e di una connessione Sql, che opera con un linguaggio standard per database progettato per modificare gli schemi di questi ultimi.

Non basta disporre di dati dal basso all’alto, dal sensore al controllore e al database. Occorre un protocollo di comunicazione seriale basato su standard aperti che consenta lo scambio bidirezionale dei dati tra i sensori e i dispositivi. E ciò non solo in vista di funzionalità diagnostiche avanzate o di un cablaggio standardizzato o del monitoraggio remoto, ma anche in vista della configurazione dei sensori. Si deve avere l’opportunità di “entrare” nel sensore e di cambiare i parametri di lavoro. Questo protocollo si chiama IO-Link. Questo aumenta l’efficienza dei processi e riduce i costi complessivi. E poi occorre una connessione diretta dal sensore al database Sql – che sta per “structured query language”, un linguaggio standardizzato per database progettato per creare e modificare schemi di database; inserire, modificare e gestire dati memorizzati; interrogare i dati memorizzati; creare e gestire strumenti di controllo ed accesso ai dati.

 

 

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Un sistema di visione all’opera
I sistemi di visione

Primo ingrediente: i sistemi di visione. Consentono di controllare la lavorazione e di leggere i codici Qr, per tracciare il prodotto.

Un sistema di visione artificiale in genere integra una o più telecamere dotate di sistema di acquisizione ed elaborazione immagini integrato o esterno, un software interno o esterno alla telecamera ed un sistema di illuminazione. È in grado di misurare, riconoscere, identificare, selezionare, leggere codici e caratteri, guidare robot. Perciò di norma trova applicazione nel controllo qualità dei prodotti, nella tracciabilità e nella loro movimentazione. Secondo Simontacchi «i sistemi di visione sono i sensori più flessibili nel mondo dell’automazione industriale. Anzitutto ci permettono di controllare la lavorazione e verificare la qualità del prodotto finito; in secondo luogo ci consentono di leggere il Qr code (codice a barre bidimensionale, ossia a matrice, composto da moduli neri disposti all’interno di uno schema bianco di forma quadrata. Viene impiegato per memorizzare informazioni. In un solo crittogramma possono essere contenuti fino a 7.089 caratteri numerici o 4.296 alfanumerici. Genericamente il formato matriciale è di 29 per 29 quadratini e contiene 48 alfanumerici) per tracciare il prodotto dalla fabbricazione alla vendita al dettaglio».

 

Stilizzazione grafica di Intelligenza Artificiale
L’ I.A.

Secondo ingrediente: l’intelligenza artificiale. Aiutando le aziende a implementare processi di produzione a “zero difetti e senza fermi macchina”.

L’intelligenza artificiale è costituita da algoritmi, sempre più complessi e strutturati per consentire alle macchine di realizzare meglio delle persone attività tipicamente umane. Tre leve l’hanno resa davvero performante: la disponibilità di estreme potenze di calcolo, la crescita esponenziale dei dati da analizzare e algoritmi e reti neurali in grado di apprendere sempre di più e sempre meglio. «In buona sostanza – ha affermato Simontacchi – ci sono due classi di intelligenza artificiale. Quella upcloud, e cioè su cloud, in grado di raccogliere enormi quantità di dati dalla macchina e di elaborarli con funzioni anche molto complesse; le analisi sono sempre di buon livello, ma i tempi non sono brevi. E poi quella at the edge, e cioè al bordo macchina. Un Plc con funzioni di intelligenza artificiale è in grado di analizzare quantità di dati limitate, ma in realtime e molto vicino alla produzione».

Sempre secondo Simontacchi tra gli algoritmi più importanti ci sono: il raggruppamento, la classificazione, la predizione dell’andamento di una certa grandezza o infine il rilevamento delle anomalie. In effetti Omron ricorre all’AI per monitorare lo stato delle apparecchiature e dei processi e garantire la qualità dei prodotti, aiutando i clienti a implementare processi di produzione a “zero difetti e senza fermi macchina”.

 

Un robot Omron LD utlizzato in Agenzia Italia
L’automazione

Terzo ingrediente: la robotica. Una soluzione in grado di mettere in sinergia la robotica, sistemi di visione e di feeding.

Come raggiungere l’ottimizzazione dei processi grazie alla robotica? Simontacchi ha illustrato una soluzione in grado di mettere in sinergia la robotica, sistemi di visione e di feeding. La soluzione sembra corrispondere peraltro ad un prodotto Omron, Anyfeeder Solution,  (vedi video a seguire) che è dotata di riconoscimento visuale dei componenti che libera l’operatore dai limiti della alimentazione meccanica, della accelerazione della configurazione e elimina la necessità di una calibrazione manuale dell’alimentatore. L’architettura a visione integrata riduce il tempo di ciclo per prodotti che richiedono ispezione e orientamento rapidi.

 

 

Simontacchi l’ha messa così: «L’operatore prende i pezzi e li svuota nella tramoggia (un contenitore) e a un certo punto alcune vibrazioni generate dal sistema portano alla caduta degli elementi alla superficie. Il robot, grazie al sistema di visione, va a rilevare quanti pezzi ci sono sul feeder. Li identifica e li raccoglie per la lavorazione. Gli algoritmi presenti nel sistema di visione consentono al feeder di arretrare, avanzare, far avanzare i pezzi, girarli, capovolgerli, o aggiungerne di nuovi». Secondo Omron, «con un software intelligente e componenti completamente integrati, la soluzione AnyFeeder è progettata per aiutare l’azienda a realizzare più velocemente ogni fase del processo». Per Omron «la soluzione è adatta a gestire una vasta gamma di tipi di parti, e conferisce all’operatore il potere di rendere frequenti e facili i cambi di prodotto».

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L’headquarter Omron a Kyoto

Omron

Omron Corporation è una società di elettronica con sede a Kyoto, in Giappone. È guidata dal presidente e Ceo Yoshihito Yamada. Conta attualmente circa 39mila dipendenti in tutto il mondo, e un fatturato di 6,5 miliardi di euro. Fondata da Kazuma Tateishi nel 1933, la società ebbe origine in un’area di Kyoto chiamata “Omuro”, da cui il nome “Omron”. Prima del 1990, la società era conosciuta come Omron Tateishi Electronics. Durante gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, il motto dell’azienda era: “Alla macchina il lavoro delle macchine, all’uomo il brivido dell’ulteriore creazione”. L’attività principale di Omron è la produzione e la vendita di componenti, apparecchiature e sistemi di automazione. In particolare Omron Industrial Automation, con filiali in tutto il mondo, è uno dei leader nella fornitura di prodotti tecnologicamente all’avanguardia per l’automazione industriale e servizi di consulenza per ogni tipo di applicazione. Oltre che ad Amsterdam, sede del quartiere generale europeo, Omron Industrial Automation è presente in ogni nazione del vecchio continente. Omron distribuisce in Europa anche sistemi Automated Optical Inspection (Aoi) e i prodotti della meccatronica.

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