Cresce la finanza extrabancaria a supporto delle industrie

di Piero Macrì ♦ Minibond, Pir, Fintech. Il ruolo della finanza alternativa come canale emergente del credito alle imprese è stato discusso nel convegno “Legge di Bilancio 2019: nuove opportunità di finanziamento per le imprese” presso il Presidio di Monza di Assolombarda. Intesa Sanpaolo, Banca Mediolanum, Amundi e Sarca tra i player più attivi

Nonostante il mercato extrabancario sia ancora in una fase embrionale (appena l’1% delle piccole aziende l’hanno utilizzata) è un fenomeno da non sottovalutare. Soprattutto perché permette agli imprenditori di guardare al futuro con occhi diversi dal passato, configurando un modello di possibile maggiore sostenibilità economica e minore esposizione al rischio. E’ ciò che è emerso dal convegno “Legge di Bilancio 2019: nuove opportunità di finanziamento per le imprese” che si è svolto presso il Presidio di Monza di Assolombarda con la partecipazione di Renato Carli e Anna Garavaglia, rispettivamente presidente gruppo tecnico credito e finanza dell’associazione e responsabile area credito e finanza per Milano, Monza e Brianza e Lodi, nonché di Diego Selva, direttore investment banking di Banca Mediolanum e Giulio Bastia, codirettore generale di Banca Finnat.

La finanza extrabancaria cresce ma non compensa il calo del credito

Alcuni studi di settore hanno stimato che nel 2018 i prestiti bancari alle imprese siano diminuiti di circa 40 miliardi di euro. La buona notizia è che in questi ultimi anni l’immissione di liquidità a supporto del sistema da parte della finanza alternativa è stata positiva. Secondo stime Mediolanum il volume corrisposto da strumenti extrabancari, mettendo insieme il valore obbligazionario confluito nei minibond, il contributo generato da private equity e il flusso di finanziamento trainato dai Pir (ad oggi circa 23 miliardi raccolti), si è avvicinato a compensare, anche se non del tutto, la diminuzione del credito tradizionale, il che rappresenta un primo importante segnale di cambiamento.







 Per ora l’apprezzamento delle aziende è andato soprattutto al mercato del debito privato, il cui valore nominale, a distanza di sei anni da quando ha cominciato a svilupparsi, ha raggiunto i 17 miliardi di euro. Non meno importante il gettito innescato dal nuovo mercato dei Piani di Investimento di Risparmio, i cosiddetti Pir: hanno giocato un ruolo importante nella crescita del mercato, catalizzando l’interesse di nuovi investitori istituzionali e professionali, con una ricaduta molto positiva sulla liquidità di Aim che ha oggi raggiunto il valore di 7,7 miliardi. Da non sottovalutare, infine, l’emersione delle piattaforme fintech, mirate a ottimizzare il capitale circolante.

 

Corrado Passera (quando era ministro allo Sviluppo) in visita a ComoNext

 

Un nuovo protagonista in questo ambito è Illimity, la nuova iniziativa firmata Corrado Passera, che in una recente intervista ha dichiarato: «Ci siamo specializzati nelle tre aree di credito che le banche non vogliono più fare o che sono costrette ad abbandonare, in particolare il credito alle aziende non performing, che hanno difficoltà ma si possono ristrutturare».  Se in Italia siamo ancor all’anno zero il new deal finanziario si è già affermato in quei Paesi dove le imprese hanno una cultura dei capitali più avanzata. Un numero su tutti: in Italia il numero di imprese che dipende dal sistema bancario è nell’ordine dell’80% contro il 50% della Gran Bretagna. Altro dato: all’Aim, il listino riservato primariamente alle Pmi, sono attualmente quotate 113 società contro le mille che sono quotate nell’omologo small cap della Gran Bretagna. E ancora: in Italia, a fronte di un’impresa che si finanzia nel mercato dei capitali ce ne sono nove in Francia e undici in Germania.

Il sistema non garantisce più una diversificazione all’altezza delle sfide attuali?

«Nel terzo trimestre del 2018 il manifatturiero ha subito calo dello 0,4%. E’ il comparto delle Pmi ad avere pesato negativamente mentre medio e grandi aziende hanno confermato un trend positivo. A questi risultati si aggiungono una riduzione della crescita dell’export e la perdita di 12mila unità lavorative nel nostro territorio», afferma Anna Garavaglia. Di fonte a questa situazione, Assolombarda invita le Pmi a trovare altri percorsi per sostenere piani di sviluppo: «Le banche, strette anche da vincoli e regole normative, in prospettiva saranno sempre meno in grado di fornire prestiti». Per Diego Selva diversificare le fonti di finanziamento diventa un’esigenza irrinunciabile. Eppure, per quale motivo prendere in considerazione ipotesi di finanza alternativa quando la banca applica ancora interessi molto competitivi? «La situazione favorevole è transitoria: l’attuale livello dei tassi è destinato a risalire nel medio lungo periodo», spiega il manager di Mediolanum.

«Il sistema bancario è strutturalmente fragile: lo stock di crediti non performing è valutato nell’ordine dei 125 miliardi, ancora troppo alto rispetto a quanto richiesto dalla Bce. Sono indicazioni che si devono tenere ben presenti quando si decide come e con chi condividere i debiti. Ci sono aziende che vanno bene e che all’improvviso, per congiunture di mercato sfavorevoli o per eventi imprevisti, si trovano in emergenza. In casi come questi, la banca non sempre può dare un aiuto tempestivo. Ragionare sulla diversificazione del debito è importante e il momento migliore per farlo è quando le cose vanno bene perché è in questo modo che ci si può attrezzare per sostenere le future incertezze dei mercati. La notizia positiva è che in questi ultimi anni l’immissione di liquidità a supporto del sistema da parte della finanza alternativa è stata positiva. Credo che mai come oggi, a un’azienda di piccole e medie dimensioni, sia stato reso disponibile un menu così ampio di strumenti alternativi al debito bancario».

 

Diego Selva, direttore investment banking di Banca Mediolanum

 

Minibond, mercato dei capitali, private equity

Quali sono gli strumenti che vengono messi a oggi a disposizione dal mercato per le imprese a caccia di liquidità e, soprattutto, per sostenere sviluppi di crescita di medio e lungo periodo? Si va dall’emissione di titoli obbligazionari come i minibond alla possibilità di ricorrere al mercato di capitali appoggiandosi a fondi basati sui Piani Individuali di Risparmio (Pir). Di anno in anno le opportunità si allargano, basti pensare alle forme di collocamento straordinarie introdotte dalle Spac (Special Purpose Acquisition Company). Tra queste la Spaxs fondata da Corrado Passera, che dal febbraio del 2018 a oggi ha raccolto 600 milioni di euro, di cui il 65% all’estero. Rimane poi l’opzione private equity che permette di attrarre investitori internazionali. Che dire? Non esiste una soluzione unica per tutte le imprese: tutte le aziende sono uguali e tutte le aziende sono diverse.

I player più attivi? Mediolanum, Intesa Sanpaolo, Amundi e Sarca

In termini di patrimonio gestito, in prima posizione fra i gruppi che hanno scommesso sui Pir figura Mediolanum (3,9 miliardi), mentre Intesa Sanpaolo prevale in termini di raccolta netta (3,6 miliardi), seguita da Mediolanum e Amundi. Dati certi su come i fondi abbiano impiegato l’enorme quantità di denaro a loro conferita non esistono. Visto che a norma di legge una quota pari almeno al 21% deve essere investita in strumenti finanziari emessi da imprese non incluse nell’indice Ftse Mib, quasi 4 miliardi dovrebbero essere affluiti su small e mid cap italiane. E in effetti i dati più recenti mostrano che i fondi Pir sono i principali investitori su Aim Italia, mentre sul segmento Star (tradizionale terreno dei player esteri) Arca e Mediolanum si sono inserite nelle prime dieci posizioni.

Solo l’1% delle piccole imprese ha fatto ricorso a forme di finance extrabancario

Nel corso di questi ultimi cinque anni l’offerta è lievitata in modo significativo, anche se per il momento è andata a soddisfare soprattutto la domanda espressa da medio e grandi aziende, che possono intercettare con più facilità l’interesse degli investitori. Certo, le dimensioni del mercato sono ancora limitate e, soprattutto, coinvolgono marginalmente le imprese più piccole. Si stima che il numero di piccole aziende che ha fatto ricorso a forme di finance extrabancario rappresenti l’1% del totale. La finanza alternativa è dunque in una fase embrionale e l’erogazione di finanziamento o accesso al mercato di capitali è una goccia sul volume complessivo di prestiti che le banche erogano tuttora alle aziende. «Ma è un fenomeno da non sottovalutare – dice Giulio Bastia – soprattutto perché permette agli imprenditori di guardare al futuro dell’azienda con occhi diversi dal passato, configurando un modello di maggiore sostenibilità economica e minore esposizione al rischio».

I driver del mercato? Minibond, Pir e piattaforme fintech

L’apprezzamento è andato soprattutto nei confronti dei minibond il cui valore nominale, a distanza di sei anni dalla loro comparsa, ha raggiunto i 17 miliardi di euro. Per quanto riguarda l’accesso al mercato di capitale, la vera svolta è avvenuta con l’introduzione nel 2017 dei Pir: hanno giocato un ruolo importante nella crescita del mercato, catalizzando l’interesse di nuovi investitori istituzionali e professionali, con una ricaduta molto positiva sulla liquidità di Aim che ha oggi raggiunto il valore di 7,7 miliardi. Non ultimo vanno ricordate le piattaforme fintech, mirate a ottimizzare il capitale circolante. Sono nuovi intermediari finanziari – un esempio è Credimi – che, utilizzando tecnologia e digitale, stanno rendendo la finanza più rapida e accessibile. In totale si stima che il fintech italiano nel 2017 abbia sviluppato flussi di finanziamento alle imprese superiori ai 300 milioni di euro. E’ un mercato che vede progressivamente la presenza di un numero sempre più ampio di soggetti. E come abbiamo detto tra questi va citata la nuova banca Illimity di Corrado Passera.

 

Anna Garavaglia

Finanza complementare, 23 miliardi di euro a compensazione della stretta creditizia

Quale il volume della finanza alternativa? Selva avanza una possibile lettura del mercato. «Se guardiamo le operazioni M&A che hanno coinvolto aziende con un fatturato compreso tra i 10 e i 250 milioni ci accorgiamo che su circa 15 miliardi di controvalore scambiato, circa 8 derivano da finanza non bancaria. Se quindi sommiamo il valore obbligazionario confluito nei minibond, il contributo generato da private equity e il flusso di finanziamento trainato dai Pir arriviamo a una cifra approssimativa di 23 miliardi. Volume che compensa solo parzialmente l’estinzione dei 45 miliardi di credito bancario, ma che garantisce una discreta stabilità». In buona sostanza, la crisi bancaria determina una riduzione complessiva di sostegno finanziario alle imprese, ma allo stesso tempo, la progressiva espansione del mercato alternativo ne riduce le criticità. Si annuncia poi la disponibilità di un numero più diversificato di strumenti. Si inizia, per esempio, a parlare dei nuovi fondi Eltif (European Long Term Investments Funds) simili ai Pir.

Finanza complementare per la sostenibilità aziendale di medio e lungo periodo

«Più che parlare di finanza alternativa credo sia più corretto parlare di finanza complementare», commenta Bastia. «Nella realtà significa, infatti, dare alle imprese la possibilità di diversificare il debito: da una parte la banca, che rimane la risorsa primaria e dall’altra strumenti rivolti al mercato dei capitali. Prestiti che vanno a coprire soprattutto esigenze di sviluppo di medio e lungo periodo. Da una parte finanziamenti erogati via mini-bond, medio lungo periodo di indebitamento, dall’altra il private equity che però rappresenta più un’opzione da media grande azienda poiché implica una presenza più invasiva dell’investitore. Da non dimenticare e sottovalutare l’Aim che offre grandi capacità di sviluppo, ma ancora soffre per poca liquidità e numero limitato di investitori specializzati».

Il vincolo della compliance. Le aziende devono condividere le proprie informazioni

Che sia prestito tradizionale o alternativo il problema dei problemi, da parte delle Pmi, è la certificazione. In altre parole la compliance al rating. «Il problema con cui si confrontano gestori ed investitori è la difficoltà e il tempo che si richiede per definire lo stato della singola azienda. Informazioni finanziarie e qualità dei dati patrimoniali, sui progetti e strategie di crescita sono difficili da acquisire. Si può ovviare facendo ricorso a rating da parte di istituti specializzati e rendere così più intellegibile il tutto. Ma per fare questo le aziende devono fare un passo in avanti ed essere disponibili a condividere informazioni. Per approcciare il mercato nella sua globalità – banche, investitori e gestori dei Pir – si deve fare leva su una forza comprovata dai numeri, e soprattutto sulle garanzie e potenzialità delle aziende».

 

Renato Carli, Presidente Gruppo Tecnico Credito e Finanza di Assolombarda Confindustria
Modificare il rating per sottrarsi alle rigide normative di Basilea II

Per modificare il quadro attuale e in considerazione dello scenario di mercato, come spiegato nel corso dell’evento da Renato Carli, Presidente Gruppo Tecnico Credito e Finanza di Assolombarda Confindustria ha avanzato una serie di proposte per consentire a coloro che hanno più difficolta di compliance di sottrarsi ai vincoli imposti dalle rigide normative di Basilea II. L’intenzione così come espresso nel Libro Bianco sul Credito dell’Associazione, è collaborare con intermediari bancari e finanziari per definire un merito di credito che non sia basato soltanto su risultati civilistici di bilancio. Quali gli interventi auspicati? Primo, puntare sui big data, dando la possibilità alle banche di interagire con questo immenso patrimonio informativo in arrivo dalle imprese per andare oltre la semplice valutazione di bilancio, affinando il rating anche sulla base di altre indicazioni. Secondo, ipotizzare uno schema basket bond, un esempio già praticato tra alcune aziende di Elite, dove la certificazione tenga conto delle dinamiche delle filiere e delle catene del valore.

Valorizzare il presente e il futuro delle imprese, non discriminandole per il passato

Servono correttivi in grado di smussare le rigidità del modello di rating. Le sole formule che elaborano dati di bilancio, che per definizione fotografano l’impresa nel passato, sono discriminanti. Si devono valorizzare informazioni più globali misurandosi soprattutto con l’andamento più recente e prospettico delle imprese. In pratica, valorizzare il presente e il futuro delle imprese, non discriminandole per il passato. Indiscutibile che un diverso approccio al rating potrebbe ampliare la platea delle aziende credit-ready. Un esempio su tutti. L’anno scorso Confindustria Vicenza ha fatto analizzare da una società specializzata esterna con sede a Londra i bilanci di mille piccole e medie imprese della provincia. Ebbene, il 79,8% delle Pmi è risultato “bancabile”, cioè presenta un rating che indica una qualità del credito che va da “solida” a “eccellente”.

Questo risultato significa: possibilità di avere un buon accesso al credito; diventare potenziale target di investitori; creare le premesse per favorevoli condizioni di indebitamento. Lo strumento con cui è stata fatta il check-up delle Pmi vicentine è il Credit Passport, che misura la probabilità di insolvenza dell’azienda e illustra in maniera chiara e trasparente gli elementi che la determinano. Il servizio è basa sulla soluzione di Credit Data Research, società londinese che utilizza anche algoritmi Moody’s Analytics. In sostanza il risultato è dato dalla combinazione di due componenti fondamentali per l’analisi del merito creditizio: la componente finanziaria e la centrale rischi.

Le banche non sono più presenti sul territorio come una volta. La conoscenza dei clienti è venuta meno

E’ diminuita la capacità tecnica delle banche nel supportare le aziende; la ristrutturazione del settore ha comportato una più ridotta presenza sul territorio; il numero di filiali è diminuito e la gestione del rischio è diventata un algoritmo, azzerando i margini di flessibilità. «Ci sono più strutture che vendono prodotti e non tanto strutture con competenze dedicate in grado di elaborare una strategia condivisa a sostegno del progetto d’impresa», dice Selva. «Una cosa è la gestione della liquidità ordinaria altra cosa è la condivisione finanziaria di un progetto. Tutto ciò porterà verosimilmente a un più rapido passaggio a un differente modello di provisioning del credito d’impresa. La logica della banca è centralizzata, la scelta del credito è centralizzata e la flessibilità è venuta meno. Andare su canali di finanza alternativa può voler dire portarsi a bordo interlocutori che possono riuscire a far crescere l’azienda, anche da un punto di vista culturale. La necessità di diversificazione – conclude il manager dell’investment banking di Mediolanum – si può quindi tradurre anche in opportunità».














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