Tra Covid-19, crisi auto e dazi: ma dove va a finire la meccanica italiana?

di Filippo Astone e Marco de' Francesco ♦︎ Intervista a Diego Andreis, Managing Director dell'azienda meccatronica Fluid-o-Tech e dirigente in associazioni a livello regionale (Assolombarda e Afil), nazionale (Federmeccanica) ed europeo (Ceemet). Tutto andrebbe bene, ma per fattori esterni il settore più importante dell'economia italiana è in crisi. Ci vuole una politica industriale ad ampio respiro (formazione, ricerca, tecnologie abilitanti) anche al di là dell'emergenza attuale. E investimenti alimentati dalla fiducia. E comunque tutta la meccanica si evolverà in meccatronica

Viviamo un momento drammatico. Come ne usciremo dipenderà sia dall’intensità e dalla velocità con la quale saranno dispiegate misure straordinarie in campo monetario e fiscale, ma anche dalla capacità del Paese di accompagnare queste misure con una politica industriale di lungo corso. Con lo sguardo fisso all’immediato futuro, a quando l’epidemia terminerà. Per iniziare da oggi a infondere fiducia negli operatori economici che domani dovranno essere in grado di ripartire con slancio. La strategia si compone di tre capisaldi: incentivare la ricerca e sviluppo, per creare prodotti e processi adeguati ad un mondo, quello post-coronavirus, che sarà diverso da quello attuale; il reskilling del personale delle aziende, con formazione di nuove competenze; l’investimento nelle tecnologie abilitanti la trasformazione digitale, incentivato in un orizzonte temporale almeno triennale.

Il problema è che si profila una crisi strutturale, in grado di congelare l’intero sistema produttivo. Insomma, un evento non simile alla depressione del petrolio del 1973 né alla recessione da mutui subprime del 2008; piuttosto, un crollo paragonabile agli effetti di un evento bellico. Il guaio è che la meccanica, asse portante dell’industria e dell’economia, aveva già segnato il passo nei mesi scorsi di fronte alle turbolenze internazionali e alla débâcle dell’automotive. Poi è arrivata la paralisi generale da coronavirus, ed ecco servita la tempesta perfetta. Burrasca dalla quale non usciremo con il decreto “Cura Italia”, mero insieme di ammortizzatori temporanei per limitare i danni. Così si disinfettano le ferite ma non si affronta la patologia.







La meccanica affronta queste avversità in un momento particolare, quello della metamorfosi verso la meccatronica: prodotti meccanici e processi produttivi resi intelligenti innervandoli con la dimensione digitale. Tutto ciò secondo Diego Andreis, il managing director di Fluid-o-Tech, innovativa azienda di componenti per muovere fluidi, dal medicale, all’automotive fino alla macchina da caffè che, sta cercando di far valere le sue idee in diversi luoghi associativi, a tutti i livelli. È infatti presidente del Gruppo Meccatronici di Assolombarda e Vicepresidente di Federmeccanica, nonché presidente di Ceemet – (Council of european employers of the metal engineering and technology-based industries), l’associazione che rappresenta oltre 200.000 imprese metalmeccaniche, ingegneristiche e tecnologiche in Europa – e di Afil, l’associazione fabbrica intelligente lombarda, il cluster tecnologico lombardo per il manufatturiero avanzato.

Assolombarda lancia il progetto #ItaliaMeccatronica
Diego Andreis, Managing Director di Fluid-o-Tech, presidente del Gruppo Meccatronici di Assolombarda e Vicepresidente di Federmeccanica, presidente di Ceemet e di Afil

 

D: Nell’ultimo trimestre del 2019 l’attività produttiva metalmeccanica ha subito una forte contrazione, del 4,6% su base annua. Quasi tutti i comparti legati a questo settore sono arretrati: ad esempio, quello degli autoveicoli è calato del 9,6%, quello dei prodotti in metallo del 4,4%. L’impressione è che nel 2020 le cose siano ulteriormente peggiorate. Cosa sta accadendo?

R: «Mesi prima che il virus infierisse, e dopo un periodo di crescita, la metalmeccanica europea era entrata in una crisi congiunturale legata anzitutto all’arretramento della Germania, motore del Vecchio Continente. Noi, in particolare, siamo componentisti dell’industria tedesca. E lo siamo soprattutto nell’automotive, che dalla seconda metà del 2019 è in recessione. Più ragioni spiegano il fenomeno. Anzitutto, il rischio di dazi sulle vendite, legato a turbolenze internazionali: si pensi ai conflitti commerciali tra gli Usa e la Cina, o alla Brexit, che si è trascinata per oltre 2 anni, lasciando ancora oggi sul campo aspetti non chiari. In secondo luogo, la transizione forzata dal diesel (dominato dalla Germania) a sistemi di alimentazione alternativi, imposta a forza di divieti alla circolazione dei veicoli a gasolio (facendo di tutta l’erba un fascio, confondendo i motori Euro 4 e 5 con gli Euro 6 o addirittura gli efficientissimi 7 in arrivo). In terzo luogo, la spinta alla produzione domestica in vari Paesi, specie in Cina, a scapito dell’import. Quanto ad altri comparti, ad esempio quello della meccanica strumentale, in Italia la flessione è dovuta non tanto al fatto che la strategia nazionale per la trasformazione digitale delle aziende ha cambiato nome, contenuti e agevolazioni fiscali: da Industria 4.0 a Impresa 4.0 a Transizione 4.0; quanto alla visione di breve corso che ogni volta questa ha espresso nelle sue varie declinazioni. Occorreva una politica industriale di lungo periodo che incontrasse le visioni di lungo degli imprenditori, alimentandone la fiducia. Peraltro, tornando alla meccanica, tutto ciò si sta verificando in un periodo di metamorfosi».

Produzione metalmeccanica italiana dal 2008 al 2018. Nonostante una ripresa dopo il crollo del 2009, la produzione non ha mai più raggiunto i livelli pre-crisi. Fonte Federmeccanica su elaborazione dati Istat

 

D: Quale metamorfosi?

R: «Qualsiasi prodotto verrà coinvolto in questa grande trasformazione, anche i prodotti tradizionalmente più “meccanici”. Un esempio, i componenti di meccanica strutturale di nuova generazionesono sensorizzati, per monitorare l’evoluzione delle tensioni nel tempo. Sensoristica diffusa sui componenti ci permetteranno di rendere sempre più intelligenti e connessi i prodotti realizzati, abilitando sempre più modelli di servitizzazione dell’offerta di prodotto. Le aziende di comparto stanno comprendendo che l’unico contesto possibile in cui sopravvivere e prosperare è quello che porta dalla meccanica alla meccatronica: il che significa che prodotti meccanici e processi relativi vanno resi intelligenti innervandoli con la dimensione digitale che a sua volta abilita sempre più di frequente nuovi modelli di generazione del valore. Questa trasformazione tanto tecnologica quanto culturale, sta prendendo troppo tempo. Le grandi aziende, per accelerare questa trasformazione, costituiscono centri di innovazione e corporate venture facendo a gara per acquisire start-up che hanno nativamente sviluppato queste tecnologie. Dunque per il settore la trasformazione digitale non è un optional, ma un imperativo categorico».

Produzione industriale variazione tendenziale: dal 2018 al 2019 il tasso settoriale di produzione è peggiorato. Fonte Federmeccanica

 

D. Intende dire che tutta la meccanica evolverà in meccatronica? Completamente?

R. Si, intendo dire proprio questo. Non a caso, il gruppo Meccanici di Assolombarda con la mia Presidenza si è ribattezzato Meccatronici, da una parte per rappresentare questo fenomeno, dall’altra per creare il senso di urgenza necessaria verso quell’ampio gruppo di imprese, soprattutto Pmi che ancora non ha compreso la portata del fenomeno, con le sue minacce e le sue opportunità

Produzione metalmeccanica europea dal 2008 al 2019. Dopo il crollo del 2009, c’è stata una ripresa, che però non ha riportato i numeri a quelli pre crisi. Fonte Federmeccanica su elaborazione dati Istat

 

D. Insomma, se non ci fossero stati questi fattori esogeni, la meccanica in Lombardia e in Italia, grazie alle sue capacità, avrebbe continuato a crescere bene?

R. Direi di Si

 

D: Poi è arrivato il Coronavirus, che si è manifestato, dal punto di vista delle industrie, prima con limiti alla circolazione delle merci e degli scambi e con il personale contingentato nello shopfloor; poi con il Protocollo siglato dal governo con le parti sociali, e adesso con il “Chiudi Italia”, e cioè con la chiusura del 70% delle aziende. E ora?

R: «Tutto dipenderà dalla durata e da come ne usciremo. In questo momento la liquidità è la chiave. Il rischio più grande è corso dall Pmi che sono per natura meno patrimonializzate. Ma le Pmi sono attori importantissimi delle filiere e pertanto se saltano loro saltano le filiere. Quando il rischio della pandemia sarà superato, cosa che ritengo potrà letteralmente avvenire silo quando avremo disponibilità del vaccino , il rischio sarà quello di una crisi strutturale. Per questo da subito è fondamentale progettare il post crisi attraverso una campagna di investimenti senza precedenti. La nostra economica è fortemente supportata dal nostro export. L’export è molto più fragile rispetto all’economia domestica nel senso che il mondo là fuori è super competitivo e i concorrenti delle nostre imprese non aspettando altro per prenderci quote di mercato, approfittando di questo momento di debolezza prolungata. Se l’augurio chiaramente è che dopo il 3 di aprile si ritorni tutti al lavoro, chiaramente nel rispetto del Protocollo, il forte timore è verso un eventuale prolungamento di questa situazione, nonostante il trend dei numeri degli ultimi giorni sia finalmente positivo. Mentre 2 settimane di fermo sono a fatica sostenibili, andare oltre metterebbe a seria prova il nostro export e come tale mi auspico che alle attività legate all’export, verso quelle economie che non si sono fermate, possa essere concesso di riavviarsi. In caso contrario, le conseguenze potrebbero essere pesantissime per un’economia già fragile come la nostra. In tutto questo l’Europa avrebbe potuto giocare un ruolo determinante sin dagli inizi, mentre invece ha reagito solo a crisi aperta. Mi sembra però che adesso arrivino segnali forti, bene. Così come richiesto all’Italia, come Ceemet a Bruxelles stiamo chiedendo anche all’Europa la definizione di una campagna di supporto agli investimenti ed alla ricerca e sviluppo senza precedenti».

Produzione metalmeccanica in Europa nel 2008 e nel 2019. Si osserva un notevole calo soprattutto in Italia e Spagna, ma anche negli altri Paesi la produzione non è mai tornata ai livelli pre crisi. Fonte Federmeccanica

 

D: Riassumendo: alla congiuntura negativa della meccanica si è aggiunta la paralisi da Coronavirus, e ciò porta alla crisi organica, strutturale. Ma perché non pensare che quando tutto sarà finito non ci riprenderemo?  

R: «Perché la crescita si basa sugli investimenti. Che a loro volta si fondano sulla fiducia. Mentre io temo che quando l’epidemia sarà finita, assisteremo ad un calo importante degli uni e dell’altra».

 

D: Il governo però ha emanato il decreto “Cura Italia”, un provvedimento “omnibus”, che va a toccare quasi tutti i settori colpiti economicamente dall’emergenza.

R: «Dentro non c’è una visione strategica per la meccanica, per la manifattura o per l’industria in generale. C’è un sistema di ammortizzatori sociali: l’extrabonus di 100 euro per chi va al lavoro in giorni di serrata, il credito di imposta sul canone d’affitto di botteghe e negozi, quello per la sanificazione, il bonus per i titolari di partita Iva, la sospensione dei versamenti delle ritenute e dei contributi previdenziali e assistenziali in comparti particolari e il temporaneo congelamento o il differimento di altre scadenze fiscali. Tutte misure che guardano all’oggi. Necessarie, certo; ma hanno l’obiettivo di salvare il salvabile. Mentre la partita più grande si gioca su ciò che avviene dopo, che va affrontato con una visione di lungo termine, ma già da oggi».

Prospettive produttive per l’estero dal 2000 al 2020. Dal crollo del 2009, si sono registrati alcuni trimestri in linea con i livelli pre crisi. Ma dal 2019 si è assistito ad una brusca diminuzione. Fonte Federmeccanica

 

D: Di recente, “Cura Italia” è stata ferocemente criticata dalle territoriali di Confindustria. Basta leggere qualche dichiarazione qua e là: pannicelli caldi, manovra che mira al consenso e non alla concretezza, norma che non lenisce la rabbia e lo smarrimento delle imprese e così via.

R: «Non commento le territoriali: dico che, secondo me, “Cura Italia” è insufficiente e inadeguata ad affrontare la situazione. Speriamo che sia solo un primo passo per tamponare l’emergenza, e che poi segua qualcosa di strutturale e di visione».

 

D:  E cosa dovrebbe fare esattamente il governo per l’economia in generale e per la meccanica in particolare?

R: «Deve guardare oltre il momento presente, oltre la crisi. Annunciando fin da ora un Piano in grado di generare condizioni di fiducia tra gli operatori economici. Così, quando tutto sarà finito, non ripartiremo con il freno a mano tirato. Un piano basato su tre capisaldi strettamente collegati: ricerca e sviluppo, formazione e investimenti in tecnologie».

Interscambio prodotti metalmeccanici. Dal 2017 al 2019 si è assistito ad un brusco calo sia delle importazioni che dell’export. Fonte Federmeccanica

 

D: Perché pensa che in un momento critico, di fronte alla prospettiva di una crisi organica, l’esecutivo dovrebbe incentivare la ricerca e sviluppo?

R: «Perché la ricerca è il seme del futuro Non si deve solo confidare su ciò che sappiamo, e cioè che esiste una correlazione positiva tra R&D e produttività nella meccanica; né cercare di migliorare sul fronte dell’ottimizzazione né tantomeno innestare percorsi di miglioramento continuo. Tutti questi contenuti vanno bene; ma la realtà è stata detta in una frase: la ricerca e sviluppo serve a “scoprire le cose che faremo quando non potremo più fare quelle che facciamo attualmente” (Charles F. Kettering; ndr). E non c’è dubbio che fra qualche mese il mondo sarà profondamente cambiato. Quindi, non si tratta solo di stare al passo con il mondo che avanza; ma di anticiparne i moti, partendo dal principio che nulla sarà come prima».

Consuntivi di produzione dal 2000 al 2020. Dal crollo del 2009, si sono registrati alcuni trimestri in linea con i livelli pre crisi. Ma dal 2019 si è assistito ad una brusca diminuzione. Fonte Federmeccanica

 

D: In che misura andrebbe incentivata la ricerca e sviluppo?

R: «Con la totale deducibilità della spesa e con un apparato di regole semplici, comprensibili. Oggi la complessità del contesto e l’accelerazione ed inviluppo delle diverse dimensioni tecnologiche rendono obbligatorio investire con più forza nella creazione di ecosistemi collaborativi a sostegno dell’innovazione, costruiti attorno alle imprese, lavorando su cluster, DIH, competence center, università e centri di ricerca. Questo è ancora più vero in Italia dove scarseggiano i grandi champion regionali che possono tirare le filiere in questo senso».

Consuntivi di produzione per l’estero dal 2000 al 2020. Dal crollo del 2009, si sono registrati alcuni trimestri in linea con i livelli pre crisi. Ma dal 2019 si è assistito ad una brusca diminuzione. Fonte Federmeccanica

 

D: La formazione, soprattutto quella collegata al mondo industriale, non ha riscosso un particolare interesse almeno negli ultimi due governi. Pensa che sia la volta buona?

R: «Vero, perché ancora in troppi non hanno compreso il ruolo della persone in questa grande trasformazione che stiamo tutti vivendo. Serve lavorare sulla digital literacy delle persone, per poi poter puntare su competenze più specifiche ed evolute, sia in campo tecnologico che sulle competenze più soft di leadership e problem solving, a tutti i livelli. Le organizzazioni che sapranno vincere questa sfida saranno quelle che sapranno, non solo acquisire, ma far emergere i talenti attraverso un percorso meritocratico di coinvolgimento di tutta la popolazione aziendale, proprio partendo dal ripensamento dei processi organizzativi. Questo deve passare da una necessaria presa di responsabilità di ogni lavoratore, anche e soprattutto nella formazione, dentro e fuori dal contesto aziendale. Chi si ferma è perduto… Se vogliamo trovare un elemento positivo in questo drammatico momento che stiamo vivendo è che abbiamo tutti fatto un corso accelerato di utilizzo degli strumenti di collaborazione da remoto. Questa è la dimostrazione che questi cambiamenti epocali vanno curati con terapie d’urto e non quella dei piccoli passi».

Produzione industriale: dal 2018 al 2019 si assiste a un peggioramento. Fonte Federmeccanica

 

D: Quanto all’investimento in tecnologia, si sono succeduti diversi piani. Ma il tema sembra uscito dall’agenda di governo.

R: «Non sarebbe neppure necessario uscire troppo dal seminato, rispetto a quanto fatto finora. Il piano Calenda andava benissimo. Certo, sarebbe stato meglio definire le regole una volta per tutte, senza i continui cambiamenti che abbiamo già segnalato. Quello che è mancato era la dimensione temporale consona all’orizzonte temporale di pianificazione degli investimenti in ambito aziendale, almeno triennale. Le forze politiche di volta in volta vincenti dovrebbero astenersi dal modificarlo solo per il gusto di piantare una bandierina. E si dovrebbe gridare con forza che il piano c’è, per far capire agli operatori economici che c’è una visione, che c’è volontà di progettazione. Solo così, manterremo alta la fiducia e ne usciremo veramente. Oggi ci confrontiamo con USA e Cina, paesi che hanno grandi progetti di politica industriale che stanno scaricando a terra con una forza incredibile. Il 10 di marzo, alla scadenza dei suoi primi 100 giorni, il Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, ha pubblicato il nuovo documento di strategia industriale Europea che ho trovato molto ben scritto. L’augurio è che questo sia seguito da una grandissima capacità di execution. L’Italia dovrà fare la sua parte».

Esportazioni metalmeccaniche 2018-2019. Fonte Federmeccanica

 

D: Anche Confindustria, con il presidente Vincenzo Boccia, parla di “Piano Choc”.

R: «La preoccupazione di Confindustria è quella di sostenere la liquidità delle imprese, con meccanismi di compensazione, con rateizzazioni, e di far fronte la calo della domanda privata implementando quella pubblica. Tutto giusto, ma anche in questo caso si guarda all’oggi, all’emergenza; mentre occorre, come abbiamo detto, anche proiettarsi nell’immediato futuro».

 

D: I governi europei sembrano divisi sul piano economico anti-recessione. Il Patto di Stabilità è stato sospeso,  ma ad esempio la Germania è molto scettica sull’utilizzo del Fondo Salva-Stati. E anche all’interno di singole istituzioni comunitarie non c’è alcun accordo. Che aiuto dobbiamo aspettarci?

R: «Il Ceemet, che riunisce, a livello continentale, organizzazioni datoriali nazionali, come Federmeccanica per l’Italia, è concentrata soprattutto sulle relazioni industriali e sulle politiche del lavoro. E poi svolge un’importante azione di lobby, avendo contatto con le più importanti istituzioni europee. Il cavallo di battaglia, come presidente, è quello di lavorare sui fattori abilitanti la transizione che l’industria sta vivendo tirata dalla trasformazione digitale, mettendo proprio al centro di tutto le competenze. Sul tema delle skill, l’Europa non ha potere di intervento Nazionale, ma ha messo a disposizione fondi e strumenti molto importanti. Chiaramente tutto questo deve quindi necessariamente passare da un cambio di passo e di visione sull’intero sistema educativo, dentro e fuori dalla scuola. Chissà che anche in questo senso, l’esperienza dell’online education a cui il Covid ci ha costretto, non rimanga solo storia, ma un’esperienza fondamentale su cui costruire. Il Ceemet, peraltro, ancor prima della paralisi da coronavirus, aveva redatto un progetto anti-crisi in 10 punti, che rimane assolutamente attuale».

Strategia Ceemet

 

D: Si parlava di formazione?

R: «Come no! Un articolo specifico del piano potrebbe essere riassunto in questa espressione: “Skill! Skill! Skill!” Si dice ad esempio che i decisori politici nazionali, su impulso europeo, dovrebbero investire per rendere l’istruzione e la formazione professionale più attrattiva. Dobbiamo lavorare per portare i giovani in fabbrica, e creare un’occupazione di qualità. Il piano del Ceemet ha il pregio di partire da un’idea: la digitalizzazione, che darà impulso alla crescita economica, è un fatto europeo, non nazionale. Senza una strategia continentale non si va da nessuna parte. I singoli Stati non possono, da soli, sostenere gli enormi investimenti necessari per l’acquisizione delle infrastrutture necessarie, per la sicurezza informatica e per la protezione dei dati. L’Europa può fare molto anche semplificando le normative, e anche, quanto agli investimenti in tecnologia e industria, superando la burocrazia esistente, creare uno sportello unico per i finanziamenti europei che sia pienamente operativo, un unico punto in cui le imprese possano ottenere tutte le informazioni necessarie al riguardo. Nel commercio, poi, dovrebbe agire con una sola voce. Un altro cardine del piano è che l’industria va posta al centro delle iniziative del legislatore, che dovrebbe consultarla sempre, senza interferire però nelle relazioni tra le parti sociali».

Un esempio di meccatronica: entro la fine di quest’anno, nel nuovo stabilimento Rittal di Haiger verrà installata una rete mobile privata 5G

 

D: Invece, come presidente di Afil, qual è la sua linea?

R: «Lavorare alla realizzazione di quell’ecosistema necessario a creare un territorio sempre più competitivo. Per fare questo siamo passati dal concetto tradizionale dei gruppi di lavoro alle strategic community. Mi spiego meglio. Il cluster riunisce attorno allo stesso tavolo i portatori di interesse della manifattura, per partecipare alla definizione della roadmap regionale e di progetti in tema di fabbrica intelligente a livello lombardo, con forte connessione la sistema Nazionale e extranazionale. Le strategic community sono quindi comunità di esperti di imprese create attorno a particolari tematiche tecnologiche rilevanti per il manifatturiero avanzato, come l’Intelligenza Artificiale, l’economia circolare, la stampa 3D, ecc. , in vista di una programmazione di medio e lungo termine».

Strategia Afil

 

D: Quale vantaggio avete ottenuto con questo passaggio?

R: «Le strategic community consentono di costruire filiere regionali di innovazione coese e strategicamente allineate che comprendono Università, Centri di Ricerca e, soprattutto, Pmi e grandi imprese. Insieme, queste superano la frammentazione per crescere culturalmente, sviluppare collaborativamente progetti, stabilire priorità strategiche e dialogare con le Istituzioni attraverso il cluster. Per animare le strategic community il cluster organizza gli innovation lab: cicli di webinar e workshop che servono a stimolare l’interesse delle aziende sulle tematiche di cui ci occupiamo per poi consolidarle all’interno appunto delle SC. Tutto questo serve anche per attrarre all’interno delle comunità le grandi imprese, che in Italia non sono molte, ma sono quelle che più di altri hanno respiro internazionale e visione sull’evoluzione delle tecnologie, potendo quindi svolgere il ruolo di pivot, di champion. Sono i motori di allineamento, che ora guidano le strategic community e orientano gli innovation lab».

Frosinone02
Un esempio di meccatronica in Italia, lo stabilimento Abb di Frosinone, lighthouse plant del cluster fabbrica intelligente insieme a quello di Dalmine 

D: La linea ha avuto successo?

R: «Afil è stato il primo cluster a livello Europeo contattato dal World Economic Forum per dar vita al nodo lombardo di una rete globale di “Advanced Manufacturing Hub”: un network di ecosistemi industriali di eccellenza costituiti da imprese, istituzioni accademiche e di ricerca, finanza ed atri attori della società civile che condividono su scala globale modelli di riferimento e nuovi paradigmi per il manifatturiero del futuro, utilizzando la piattaforma del forum. Ad ottobre scorso abbiamo lanciato l’Advanced Manufacturing Hub lombardo con Afil come capofila. Un importante riconoscimento, per il nostro lavoro, una grande opportunità per il nostro territorio».














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