Che cosa c’è dietro la partita Confindustria 2024. Bio, king maker, storie e interessi di Gozzi, Garrone, Orsini, Brugnoli, Marenghi, Carraro

di Filippo Astone ♦︎ Confindustria 2024/Seconda parte. L’insoddisfazione della base per le ultime due presidenze, tra rischio irrilevanza e questione industriale da riproporre. L’intervista a Nord Est Economia con la quale Enrico Carraro ha spiegato bene frustrazioni e sogni della base industriale. L’identikit dei candidati. E come potrebbe andare a finire

Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e presidente e amministratore delegato di Duferco Italia Holding. Classe 1954 e nato a Chiavari, già docente universitario di economia, guida un gruppo diversificato (produzione e trading di acciaio, produzione e trading di energia, shipping e tanto altro) che nel 2022 ha fatturato 44 miliardi di euro. Decisionista e sostenitore dell’Europa e della questione industriale, è molto amato in alcune territoriali. A cominciare da Brescia, ma anche Bergamo, Reggio Emilia e diverse altre. Non è esageratamente propenso alle mediazioni e a lasciarsi influenzare, e questo potrebbe nuocergli

Nel precedente articolo (che si può leggere QUI) si citavano le parole attribuite a Emma Marcegaglia, grande sponsor della candidatura di Edoardo Garrone, sulla necessità di un Presidente di Confindustria forte, autorevole ed espressione della grande impresa. Parole che rappresentano un sentire diffuso in tutta la base associativa, e anche al di fuori di essa. Prima di arrivare a bio e storie dei vari candidati, è necessario partire da questo sentimento, ben spiegato dall’industriale Enrico Carraro, uno dei nomi spesso citati per la presidenza, nel paragrafo a lui dedicato al fondo di questo articolo. Spiegato, a dir la verità, in una intervista all’ottima giornalista Roberta Paolini di Nord Est Economia, che riprendiamo.

Molti associati, soprattutto fra le territoriali Nord e del Centro, ritengono che le ultime due presidenze, quella di Vincenzo Boccia e di Carlo Bonomi, abbiano visto una forte crisi di rappresentanza. Pensano che Confindustria non sia più un interlocutore privilegiato per il Governo, che fatichi a farsi sentire. E che abbia trascurato la questione industriale, per fare un lobbismo a tutto campo un po’ vacuo. I grandi, medi e piccoli imprenditori dell’acciaio, della chimica, della meccanica, della farmaceutica avrebbero voluto vedere il loro Presidente, ascoltatissimo, sussurrare a un Mario Draghi o ad una Giorgia Meloni che lo ascoltano con attenzione. Ma si sono convinti, perlopiù, che la considerazione a Palazzo Chigi – e ancor peggio a Bruxelles – sia inesistente. Cortesia istituzionale. Formale e poco più. Del resto, quali sarebbero state le proposte distintive di Vincenzo Boccia e poi di Carlo Bonomi? Qualcuno si ricorda un’idea originale portata avanti con forza da loro due? Un discorso memorabile?







Tra le cause maggiori di tale inadeguatezza, ci sarebbe, anche, secondo alcuni, lo scarso peso specifico imprenditoriale dei due ultimi Presidenti, che qualcuno, forse peccando di malignità, arriva a definire confindustriali di professione, con troppe ambizioni personali rispetto all’incarico, che dovrebbe essere un servizio. Il salernitano Vincenzo Boccia, titolare di una media società tipografica in Campania, specializzata nella stampa di giornali quotidiani (uno dei settori tra i più in crisi di tutti) e che, qualche mese dopo la sua uscita da viale dell’Astronomia, ha dovuto richiedere un concordato al Tribunale. E il cremasco Carlo Bonomi, che un’impresa nel senso pieno del termine non l’ha neppure mai posseduta. E’ presidente di Sidam, società biomedicale di Mirandola, nel cuore del distretto specializzato in quest’area di eccellenza, che nel 2022 ha fatturato circa 22 milioni di euro e che, secondo anticipazioni giornalistiche, per il 2023 guarderebbe ai 30 milioni di euro. Ma di Sidam Bonomi ha solo una piccola quota attraverso la sua società personale, la Synopo. Tra le maggiori fonti di reddito dell’attuale numero uno di Viale dell’Astronomia (la presidenza di Confindustria, come tutte le cariche di vertice associativo, è a titolo completamente gratuito) c’è la presidenza di Fiera Milano, ottenuta nel 2020, quando era già capo di Confindustria. Nel 2022 si parlò di Bonomi alla presidenza della Lega Calcio di Serie A. Non si capiva se si era candidato lui o se era stato tirato in ballo da altri. Ma comunque non se ne fece niente. Nel caso, l’incarico gli avrebbe assicurato un emolumento di circa 300 mila euro.

palazzo confindustria
Sede di Confindustria, Viale dell’Astronomia, Roma

Comunque sia, un Presidente di Confindustria (semmai lo ha fatto, perché questa storia è piena di chiaroscuri) che avrebbe pensato ad altri incarichi nel pieno del suo mandato non sarebbe andato giù a molti industriali dei territori del Nord e del Centro. Non solo per la scarsa eleganza della mossa, ma anche perché avrebbe potuto comportare la fine anticipata del mandato, per incompatibilità. E neppure brillantissima è stata la figura fatta da Bonomi con il tentativo di farsi eleggere alla Presidenza della Luiss Guido Carli, l’ateneo romano di Confindustria. L’incarico è di solito appannaggio del Presidente uscente. Ma Bonomi non avrebbe potuto accedervi perché non è laureato, ma ragioniere. Tuttavia, ha tentato fino all’ultimo. Da questa insoddisfazione nasce il desiderio di una candidatura forte, che ha portato all’ipotesi Edoardo Garrone contro Antonio Gozzi. Era dal 2012, dai tempi del duello fra Giorgio Squinzi (Mapei) e Alberto Bombassei (Brembo) che non assisteva a un duello fra due pesi massimi dell’industria, creatori di grandi strutture manifatturiere indipendenti, conosciutissimi, prestigiosi, autorevoli. La probabilità che il futuro peso massimo di viale dell’Astronomia diventi uno di loro due è molto alta, ragionevolmente sopra il 90%. A differenza del derby Squinzi-Bombassei, non è detto però che questa volta si arrivi a un confronto fino all’ultimo voto. Forse (ma queste sono congetture, perché di lui non si ricordano prese di posizione esplicite) Gozzi è troppo orgoglioso per rischiare di perdere. E Garrone (anche qui sono congetture) potrebbe non voler bruciare le chanches per un futuro round nel 2028. Se uno dei due pesi massimi mollasse la presa, potrebbero tornare in ballo gli altri quattro più piccoli. E fra di loro, quello con più frecce al suo arco è l’emiliano Orsini.

Ma vediamo ora le storie dei candidati.

Emma Marcegaglia, presidente di Marcegaglia. L’imprenditrice è stata presidente di Confindustria e dell’Eni. E’ ancora molto influente in viale dell’Astronomia ed è stata la king maker degli ultimi tre presidenti: Giorgio Squinzi, Vincenzo Boccia e Carlo Bonomi

Antonio Gozzi, siderurgico e decisionista. Manifatturiero doc. Europeista e capo di un impero da 44 miliardi di fatturato

Recentemente, Duferco ha inaugurato a San Zeno Naviglio (Brescia) il primo laminatoio d’Europa totalmente funzionante con energie rinnovabili. Uno dei più importanti investimenti (250 milioni di euro) in siderurgia negli ultimi anni a livello italiano ed europeo

Classe 1954 e nato a Chiavari, Antonio Gozzi fino al 1993 faceva il docente universitario di economia a Genova e il politico socialista con buone prospettive. A 39 anni era arrivato fino al ruolo di segretario regionale del Psi, e poteva ambire a un posto in Parlamento o in qualche altro incarico politico importante. Poi, Tangentopoli (che comunque non lo ha sfiorato) ha spazzato via il Psi e anche queste ambizioni Ma subito è arrivato lo zio Bruno Bolfo (oggi 82 anni e ancora presidente) imprenditore siderurgico di rapido e grande successo, senza figli, che gli ha affidato la guida del gruppo Duferco. Un conglomerato di aziende attive prima nel trading e poi anche nella fabbricazione di acciaio (13 siti produttivi, primo manifatturiero italiano di travi per costruzioni), nello shipping (è il primo importatore di gas naturale liquefatto in Italia, maggiore cliente l’algerina Sonatrach), nella generazione e nel trading di energia, con una componente importante di rinnovabili. Gruppo che Gozzi (che nel tempo diventa titolare di quasi metà delle azioni) porta fino ai numeri monstre del bilancio 2022: 45,8 miliardi di dollari di ricavi e 385 milioni di margine operativo. Una cifra enorme: In pratica, circa 12 volte la Fininvest, 3 volte la Ferrero, e il 40% in più di Exor, l’holding con la quale gli Agnelli-Elkann controllano Stellantis e tutto il resto del loro impero. Numeri imponenti, ma momentaneamente drogati dal trading sulle materie prime e sull’energia, che come noto negli ultimi due anni sono cresciuti di volume e di prezzo a dismisura. Più “realistici”, ma comunque importanti, i numeri del 2021, che ha visto 11,7 miliardi di dollari di ricavi, con 2600 dipendenti. Dopo l’attuale bolla dell’energia e delle materie prime, è molto probabile che il giro d’affari si attesti su quell’ordine di grandezza. Recentemente, Duferco ha inaugurato a San Zeno Naviglio (Brescia) il primo laminatoio d’Europa totalmente funzionante con energie rinnovabili. Uno dei più importanti investimenti (250 milioni di euro) in siderurgia negli ultimi anni a livello italiano ed europeo.

Dagli anni del Psi, Gozzi ha ereditato una certa antipatia per la sinistra parolaia e i comunisti, e soprattutto uno stile marcatamente decisionista. Ama dire le cose senza peli sulla lingua, in modo diretto e chiaro. E secondo alcuni, non è sempre a suo agio con le mediazioni. Ed è possibile, secondo alcuni addirittura probabile, che Gozzi, da presidente di Confindustria, si troverebbe a suo agio con l’attuale maggioranza di centro-destra. Anche se ha forti interessi nelle rinnovabili, Gozzi è sostenitore di una transizione verde non talebana o ideologica, ma progressiva e non tale da uccidere il già problematico e complesso patrimonio industriale italiano ed europeo. Imprenditore con interessi in tutto il mondo, ha una visione globale molto chiara. E soffre quando vede cinesi e indiani battere la concorrenza occidentale perché privi dei freni ideologici e forse inutili che quest’ultima si è auto-imposta. Pensa che il lobbismo industriale debba ormai lavorare soprattutto in Europa, dove è abituato a muoversi con agio, visto che lo spazio decisionale del governo italiano è ormai, nei fatti, ridottissimo. Negli anni alla testa di Federacciai (due mandati dal 2012 al 2018, poi vicepresidente, poi un altro mandato dal 2022) Gozzi non ha perso occasione per battere i pugni sul tavolo in difesa dell’acciaio italiano, della manifattura, della questione industriale. Il suo decisionismo è da molti considerato una virtù. Ma è anche il maggior ostacolo alla sua ascesa al soglio confindustriale. Non è infatti una persona che si farebbe gestire dagli ex presidenti ancora influenti, dai tanti padri (e madri) nobili che in viale dell’Astronomia contano, nonché dall’apparato che fa funzionare la complessa e articolatissima macchina confindustriale. Farebbe molto probabilmente bene, ma completamente di testa sua, anche perché è ricchissimo, ha 70 anni e non ha alcuna ambizione politica o di altri incarichi per l’eventuale periodo dopo la presidenza di Confindustria. E, proprio per questo, molti lo temono.

Lunedì 16 ottobre 2023 è stato inaugurato il nuovo laminatoio Sbm di Duferco Travi e Profilati a San Zeno Naviglio, il più grande laminatoio travi d’Europa, frutto di un investimento strategico di 250 milioni di euro, destinato a rivoluzionare radicalmente la capacità e la potenzialità industriale del Gruppo Duferco. Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso con presidente del Gruppo Antonio Gozzi ha tagliato il nastro inaugurale. Alla cerimonia sono stati presenti anche il Governatore di Regione Lombardia, Attilio Fontana, e il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Questa novità dota il Gruppo Duferco di un impianto produttivo interamente verticalizzato, ottimizzando l’efficienza complessiva del processo industriale sotto tutti gli aspetti

 

Edoardo Garrone. Re dell’eolico e delle rinnovabili. Mediatore e grande ascoltatore, da un quarto di secolo al vertice confindustriale

Impianto Erg. Tratto dall’archivio fotografico del Gruppo ERG

L’imprenditore genovese, classe 1961, rappresenta la terza generazione di una dinastia di industriali nati petrolieri, per la precisione di raffinatori di petrolio, cominciata con il nonno Edoardo, suo omonimo. Erg è infatti l’acronimo di Edoardo Raffinerie Garrone. Poi è stato il turno del padre Riccardo. E quindi il suo e del fratello Alessandro (oggi vice presidente esecutivo), che controllano la società attraverso la cassaforte di famiglia San Quirico. In quest’ultima entità sono presenti anche i cugini Mondini, rappresentati in consiglio da Giovanni Mondini. Con Gozzi, Garrone condivide la scelta di investire nel ricco e promettente business delle energie rinnovabili. Solo che, mentre in Duferco si tratta di una delle varie linee di attività, per la Erg di oggi è l’unico business, perseguito soprattutto con l’eolico, ma anche con il solare e altro. La società dei Garrone è uscita completamente dalla raffinazione attraverso la cessione progressiva ai russi di Lukoil fra il 2008 e il 2014, per un controvalore stimabile attorno al miliardo e mezzo. Oggi Erg è il maggior produttore privato di energie rinnovabili in Italia, e uno dei più grandi in Europa. Nel 2022 ha fatturato 749 milioni di euro, con una redditività molto elevata: 232 milioni di risultato netto di gruppo. I dipendenti sono 573. Numeri di tutto rispetto, ma comunque assai più piccoli di quelli del rivale Gozzi. L’eolico e le rinnovabili sono un’attività industriale vera e propria? Molti pensano di si, ma alcuni, più critici, ritengono invece che si tratti di un business di tipo eminentemente finanziario. Anche perché dipende in larga parte non dal mercato ma da prezzi regolati e decisioni di autorità di tipo politico. Edoardo Garrone è da un quarto di secolo che si prepara alla presidenza nazionale di Confindustria. Come abbiamo scritto, gode di forte consenso fra gli ex presidenti e vari personaggi influenti nell’organizzazione. Non solo Emma Marcegaglia ma anche Diana Bracco, in casa della quale si è svolto il famoso aperitivo di fine dicembre che ha dato il via alla sua candidatura.

Ha esordito negli anni Novanta come leader dei giovani e vice presidente di Confindustria Genova, poi è stato presidente dei Giovani imprenditori (2000-2002). Una esperienza di grande visibilità, in molti casi un trampolino di lancio per la presidenza nazionale (lo sono stati Emma Marcegaglia, Luigi Abete, Antonio D’Amato). Dal 2004 al 2016, Edoardo Garrone ha fatto sempre parte del consiglio di Presidenza di Confindustria, il comitato ristretto di vice presidenti e delegati che affianca il numero uno, l’equivalente del Governo nei sistemi politici. Con Montezemolo (2004-2008) è delegato per internazionalizzazione e fisco; con Marcegaglia (2008-2012) è vicepresidente per l’organizzazione e il marketing associativo, l’incarico di maggiore importanza nella confindustria dell’epoca; con Squinzi (2012-2016), delegato per l’internazionalizzazione associativa. Dopo ben 12 anni, deve uscire dal governo confindustriale per forza. Ma tempo due anni e nel 2018 diventa presidente del Sole 24 Ore, il quotidiano economico di proprietà della Confindustria, carica che ricopre tutt’ora. Caratterialmente, Garrone è diverso da Gozzi. L’imprenditore genovese è forte, determinato e abile negli affari quanto il rivale. Ma lo raccontano più propenso al dialogo, a tenere conto anche delle esigenze di chi ha pensieri e interessi diversi, a convincere sui tempi lunghi piuttosto che a vincere. Per questo, sarebbe la persona forse più rassicurante per buona parte dell’establishment confindustriale. Per attitudine, potrebbe andare d’accordo sia con la politica di centro-destra, sia con quella di centro-sinistra. Come Gozzi, Garrone non ha particolari interessi per un eventuale dopo-Confidustria, quindi non è condizionabile. Abituato a lavorare sui tempi lunghi, forse difficilmente accetterebbe uno scontro fino all’ultimo voto in Consiglio Generale, che l’esporrebbe a una sconfitta tale da determinare la sua uscita da quel mondo che ama tanto (si ricordi che Alberto Bombassei, Alberto Vacchi e Licia Mattioli, dopo aver perso il derby finale per la Presidenza nazionale poi sono usciti per sempre dalla vita associativa). Molto probabilmente, preferirebbe un elegante ritiro per poi vedere, fra quattro anni, se è il suo turno. In tal caso, si potrebbe aprire uno spazio per un outsider come Orsini o Marenghi.

Edoardo Garrone, presidente di Erg e del Sole 24 Ore. L’imprenditore genovese, classe 1961, rappresenta la terza generazione di una dinastia di industriali nati petrolieri, per la precisione di raffinatori di petrolio, cominciata con il nonno Edoardo, suo omonimo. Erg è infatti l’acronimo di Edoardo Raffinerie Garrone.
Oggi la Erg è il principale produttore privato italiano di energie rinnovabili e uno dei massimi in Europa

Enrico Carraro: il candidato meno candidato che ci sia. Che vuole un presidente diverso, maggior ruolo per il veneto, e ha contribuito a far emergere l’insoddisfazione di buona parte della base del centro-nord

Carraro Agritalia Plant assemblaggio cabine

Enrico Carraro. Padovano, classe 1962, è l’industriale più grande e solido fra i nomi “minori”. Il suo Gruppo Carraro (componenti per trattori, macchine movimento terra e automotive) ha infatti un giro d’affari di circa 760 milioni e ha dichiarato l’intenzione di arrivare al miliardo nel 2025. Non tanto di meno della più famosa Erg dei Garrone. Carraro, figlio d’arte, vi è entrato nel 1984, a soli 22 anni, ma ha fatto una carriera progressiva e tale da imparare bene: la massima responsabilità, infatti l’ha conquistata solo nel 2012. Dal 2019 è presidente di Confindustria Veneto, dopo una serie di altri incarichi nelle territoriali locali. Tra tutti, è il candidato meno candidato che ci sia. Il suo nome, fra i primi a essere usciti a fine 2023, è sembrato essere una sorta di provocazione per spronare gli industriali della sua regione a contare di più e a individuare un presidente diverso. Roberta Paolini, nell’attacco a un’ottima intervista che ha fatto a Carraro lo scorso 1 gennaio su Nord Est Economia ha spiegato bene lo spirito dell’iniziativa. Scrive Paolini: «Nel calcio si dice “portarsi via l’uomo” intendendo la capacità di attirare uno o più difensori su di sé, liberando così un compagno di squadra che si trova in una posizione migliore per ricevere il pallone. E magari finalizzare l’azione offensiva. Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto, nel dare la sua disponibilità a sondare un’eventuale candidatura veneta al vertice dell’Aquilotto, ha fatto più o meno questo. E ora che i candidabili iniziano ad emergere, con una disfida in salsa ligure che vedrebbe in campo anche Antonio Gozzi e Edoardo Garrone, si può dire che il ruolo del Veneto, almeno fino a che non si entrerà nel vivo della competizione, sia stato questo. Carraro in questa lunga intervista non lo ammette, ma dice e ribadisce alcune cose».

Di grande interesse i concetti ribaditi da Carraro nell’intervista. Nella quale, con grande eleganza, rimarca anche quell’insoddisfazione verso le ultime gestioni romane. «Quando si chiamano imprenditori a guidare un’associazione come Confindustria, si deve avere una idea di governance differente, in cui il presidente non fa il direttore generale, ma svolge le sue funzioni di rappresentanza con accanto a sé un management dedicato», dice per esempio Carraro. E aggiunge: «Ho già un incarico che mi assorbe molto e non sono alla ricerca di altre poltrone. Ma certamente credo che la Confindustria debba, nella dinamica che porta alla scelta del suo leader, attuare dei ragionamenti diversi dal passato». E poi, senza mezzi termini: «il Veneto nel suo insieme sarà determinante nella scelta del nuovo presidente. È a questo che, prima di tutto, dobbiamo guardare piuttosto che alla provenienza geografica. Abbiamo bisogno di un presidente che abbia certe caratteristiche, che sia un imprenditore di aziende importanti». E ancora: « «Credo che ci debbano essere delle dinamiche diverse nel portare al vertice di Confindustria i presidenti. Non voglio criticare gli ultimi leader, visto anche i contesti in cui hanno dovuto operare. Carlo Bonomi è stato presidente in un periodo terribile, una pandemia, due guerre. Ma il modo di interpretare questo ruolo deve essere differente per il bene delle imprese, a mio parere».

Enrico Carraro, presidente del Gruppo Carraro e di Confindustria Veneto Padovano, classe 1962, è l’industriale più grande e solido fra i nomi “minori”. Il suo Gruppo Carraro (componenti per trattori, macchine movimento terra e automotive) ha infatti un giro d’affari di circa 760 milioni e ha dichiarato l’intenzione di arrivare al miliardo nel 2025. In una intervista a Roberta Paolini di NordEst Economia, ha spiegato lo scontento della base industriale territoriale verso l’attuale gestione centrale e ha spronato gli imprenditori veneti a contare di più

 

Gli outsider: Emanuele Orsini, Alberto Marenghi, Giovanni Brugnoli, tutti imprenditori di successo. Ma non è ancora il loro turno

Gli altri quattro nomi in ballo per la Presidenza di Confindustria diventano dei nani se paragonati a giganti come Garrone e Gozzi. Ma sono tutti medi industriali capaci e credibili, che hanno aziende che crescono e funzionano bene e un curriculum confindustriale che ne legittima le ambizioni. Peccato che questa volta sia il turno di un Big. Ma sono tutti tra i 40 e i 50 anni, e possono tranquillamente stare fermi per aspettare il loro turno, o ambire ad altri incarichi di peso nell’organizzazione. Chi di loro è appoggiato dal Presidente uscente Carlo Bonomi? Domanda difficile, perché nemmeno all’epoca in cui si parlava solo di loro quattro, il numero uno uscente di viale dell’Astronomia ha preso posizione. C’è chi ha scritto che Bonomi avrebbe appoggiato Orsini. Chi che avrebbe appoggiato Marenghi. Chi Brugnoli. Congetture giornalistiche ispirate dagli incontri al bar di chi di volta in volta le scriveva. Non solo Bonomi non si è mai espresso, ma avrebbe mai nemmeno potuto farlo neanche se l’avesse voluto, perché le regole interne vietano di parlare di queste cose con la stampa. E comunque, non è del tutto certo che oggi Bonomi sia determinante per spostare pacchetti di voti significativi. In ogni caso, fra questi candidati “minori”, quello con qualche chanches in più, in caso di ritiro di uno dei grandi contendenti, sembrerebbe essere Orsini. Ma vediamo, in breve, le loro storie.

Emanuele Orsini. E’ il candidato più organizzato e trasparente nella comunicazione. Notizie precise su di lui si trovano nel sito personale che ha creato: www.emanueleorsini.it A livello imprenditoriale, guida la Sistem Costruzioni, che nonostante il nome non si occupa solo di costruzioni, ma è una holding che controlla una quindicina di aziende, con un giro d’affari complessivo di circa 110 milioni. Aziende ereditate dal padre e che lui ha contribuito a far crescere. Nato a Sassuolo nel 1977, presiede anche la Tino Prosciutti (nomen omen, è specializzata in insaccati) che appartiene alla moglie e fattura circa 70 milioni. In Confindustria è stato presidente di Assolegno (2013) e poi di Federlegno Arredo (2017). Dal 2020 è al vertice con Carlo Bonomi, come vice presidente con deleghe su credito, finanza e fisco.

Alberto Marenghi. Classe 1976, è industriale cartario. Guida due aziende: Cartiera Mantovana e Cartiera Galliera. Vice presidente di Sumus Italia Srl e della Fondazione Palazzo Te Mantova. Presidente dell’Automobile Club di Mantova. Membro del consiglio generale di Fondazione Cariverona e del CdA Fondazione Università Mantova. Dal 2014 al 2019 è stato Presidente di Confindustria Mantova. Con Bonomi è il vice presidente con le deleghe più pesanti: organizzazione, sviluppo e marketing. Fino alla discesa in campo dei Big, pensava di poter giocare la sua partita adesso per il massimo vertice, anche per la vicinanza personale e geografica con la Marcegaglia. Molto probabilmente dovrà star fermo qualche turno. Ma si pensa comunque a lui per la Presidenza di Confindustria Lombardia, prossima al rinnovo, o per un altro turno da vice presidente nazionale.

Alberto Marenghi. Classe 1976, è industriale cartario. Guida due aziende: Cartiera Mantovana e Cartiera Galliera. Vice presidente di Sumus Italia Srl e della Fondazione Palazzo Te Mantova. Con Bonomi è il vice presidente con le deleghe più pesanti: organizzazione, sviluppo e marketing. E’ stato presidente di Confindustria Mantova

Giovanni Brugnoli. È Presidente del cda di Tiba Tricot srl di Castellanza (Va), specializzata in tessuti indemagliabili per abbigliamento sportivo, tessuti industriali e per l’arredamento. Il fatturato è di circa 8 milioni di euro. È stato Presidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese da maggio 2011 a giugno 2015. Poi, nel 2016, con Vincenzo Boccia, è diventato vice presidente di Confindustria per il Capitale Umano, delega su molte materie importanti, tra cui la formazione e la scuola. Ha alle spalle due mandati da vice presidente, quindi per ragioni statutarie nel 2024 non potrà ambire a un terzo e dovrà fermarsi almeno per un turno.

Giovanni Brugnoli. È Presidente del cda di Tiba Tricot srl di Castellanza (Va), che fattura circa 8 milioni. Già presidente di Confindustria Varese, dal 2016 è diventato vice presidente di Confindustria per il Capitale Umano













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