Abb, Ansaldo Energia, Leonardo: strategie per rafforzare le aziende di filiera, a cominciare dalle pmi

di Marco de' Francesco ♦︎ Sono i Digital Innovation Hub e i Competence Center a supportare l’industria nell'attuazione di progetti di innovazione, ricerca e sviluppo sperimentale. Così si crea un ecosistema di trasformazione tecnologica che eroga servizi per permettere alle imprese di adeguarsi al cambiamento. Il tema delle filiere, strategicamente importanti per le grandi aziende capofiliera e vitali per molte pmi, viene affrontato da alcuni leader con importanti programmi di supporto. Ci sono tre casi importanti che possono fare scuola. Se n’è parlato nel corso del workshop annuale del Cluster Fabbrica Intelligente, con Gianluigi Viscardi, Fabio Golinelli, Marco Taisch, Giacinto Carullo

Leonardo Vergiate
Stabilimento Leonardo a Vergiate

Come possono le filiere della manifattura evolversi con la trasformazione digitale? Che cosa possono fare, in concreto, per intraprendere questa strada? Non dipende solo da loro. Un ruolo importante è rivestito dalle aziende capo-filiera, che possono dettare i tempi e orientare la supply chain verso l’adozione di tecnologie innovative. Il problema è che occorre che le aziende fornitrici siano in grado di fare quanto richiesto dalla società pivot – il che non è scontato.

Per questo, sin dai tempi della redazione del primo Piano Calenda, è stato disegnato un ecosistema di supporto, che è composto soprattutto (ma, come vedremo, non esclusivamente) dai Digital Innovation Hub (Dih) di Confindustria – che servono a rafforzare il livello di conoscenza e di awareness delle imprese rispetto alle opportunità offerte dalla digitalizzazione – e dai Competence Center, partenariati pubblico-privati altamente specializzati che sono chiamati a supportare le aziende nell’attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale per realizzare nuovi prodotti, processi o servizi con tecnologie 4.0.







 

Ma questo ecosistema di supporto funziona?

In termini generali, c’è un buon esito quando grandi aziende decidono di investire sulle competenze della supply chain con progetti specifici, e si avvalgono fin dall’inizio della collaborazione dell’ecosistema. In seguito, vedremo i casi dei piani Leap 2000 di Leonardo e di Progetto Filiera 4.0 di Abb, nonché quello che è avvenuto in Ansaldo Energia. La selezione dei fornitori più avanzati e la forte focalizzazione su attività ben determinate producono una veloce convergenza delle imprese partecipanti su obiettivi comuni.

Rete DIH Confindustria. In Italia ci sono 258 Dih – di cui 22 di Confindustria

Inoltre, per supportare le aziende nel proprio processo di trasformazione digitale e nel rafforzamento della filiera cui appartengono, è presente nel nostro paese un ecosistema di trasformazione digitale, focalizzato ad erogare servizi per permettere alle imprese di adeguarsi al cambiamento. Tale ecosistema dell’innovazione digitale è costituito da Digital Innovation Hub (DIH), che servono a rafforzare il livello di conoscenza e di awareness delle imprese rispetto alle opportunità offerte dalla digitalizzazione, Competence Center, partenariati pubblico-privati altamente specializzati che sono chiamati a supportare le aziende nell’attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale per realizzare nuovi prodotti, processi o servizi con tecnologie 4.0, e Cluster tecnologici, reti di soggetti pubblici e privati che operano sul territorio nazionale e regionale, elaborando roadmap di medio-lungo termine. Un’altra peculiarità dell’ecosistema dell’innovazione digitale è la sua rete non solo regionale e nazionale, ma anche europea. In questo contesto, la Commissione Europea sta implementando la rete degli EDIH, Digital Innovation Hub Europei, che garantirà un legame stretto e collaborativo tra i diversi ecosistemi digitali presenti in tutta Europa. Anche gli EDIH avranno una particolare attenzione alle pmi. La capacità di fare rete con gli altri EDIH a livello europeo permetterà la complementarità delle competenze e delle specializzazioni, con focus particolare su Intelligenza Artificiale, Calcolo ad Alte Prestazioni e Sicurezza Informatica.

Il Mise ha emanato il decreto per la manifestazione di interesse per la costituzione dei poli di innovazione, che verranno candidati in Europa per essere scelti per entrare nella rete dei digital hub europei (Edih)

Ma entriamo nel dettaglio, traendo spunto dalla tavola rotonda “Il ruolo dell’ecosistema di supporto della trasformazione digitale per l’evoluzione delle filiere”, tenuto di recente nell’ambito del workshop annuale del Cluster Nazionale Fabbrica Intelligente (CFI), l’associazione che, presieduta dal cdo di Ansaldo Energia e ceo di Ansaldo Nucleare Luca Manuelli, riunisce aziende, regioni e università per aggregare gli attori più importanti a livello nazionale in tema di manifattura avanzata. L’evento era intitolato “Produrre un Paese resiliente e sostenibile”. Alla tavola rotonda sono intervenuti il vicepresidente di CFI e coordinatore nazionale della rete dei DIH di Confindustria Gianluigi Viscardi,  l’advanced processes and technologies manager di Abb Italia Fabio Golinelli; il docente al dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano e presidente del Competence Center Made, in rappresentanza della rete dei Competence Center nazionale, Marco Taisch, nonché il chief procurement & supply chain officer di Leonardo Giacinto Carullo.

 

I Digital Innovation Hub e le filiere

Gianluigi Viscardi, ceo di Cosberg, presidente del Digital Innovation Hub Lombardia, coordinatore della rete dei Dih in Confindustria, vice presidente del Cfi

I DIH della Rete Confindustria hanno lo scopo di stimolare e promuovere la domanda di innovazione del sistema produttivo e sono la “porta di accesso” delle imprese al mondo di Industria 4.0. «Il DIH è come il medico di base – ha affermato Viscardi -: “visita” l’azienda, e valuta se è in grado di correre con la velocità richiesta dai tempi». In effetti, i DIH svolgono tre attività in favore delle imprese: la sensibilizzazione e la formazione in tema 4.0, organizzando seminari, workshop e visite di studio; lo svolgimento di assessment della maturità digitale, con appositi strumenti, in vista della definizione di una roadmap per la digital transformation dei processi aziendali; e infine l’orientamento delle aziende verso il citato ecosistema.

La forza dei DIH è quella di poter offrire un livello qualificato di servizi, lavorando in rete tra loro. I DIH di Confindustria si stanno sempre più focalizzando su attività che enfatizzino e sensibilizzino l’importanza della filiera nel processo di digitalizzazione per le aziende; hanno così sviluppato un modello di mappatura della filiera che è di uso comune fra tutti i DIH delle diverse regioni. Questo permette di approcciare e sviluppare progetti comuni, garantendo coerenza e integrazione. Sono già stati svolti alcuni progetti di filiera che hanno enfatizzato la forza della rete; tra questi si evidenziano quelli che hanno visto come capofiliera Ansaldo Energia, Abb e Leonardo. Il ruolo del capofiliera deve essere sempre più trainante per tutte le pmi che fanno parte della filiera stessa. Questo permette a tutta la filiera di crescere condividendo benefici comuni, sfruttando sinergie e cooperando in modo sempre più integrato. Questi tre progetti verranno poi approfonditi successivamente.

La mappa dei competence center. Fonte Atlante 4.0

L’attività dei Competence Center per colmare il digital divide tra imprese di filiera

I Competence Center costituiscono dei centri di eccellenza nazionali ad alta specializzazione che, aggregando le competenze, sono in grado di mettere a disposizione delle imprese un ecosistema di partner (istituzioni, università, centri di ricerca e aziende) con una nativa predisposizione verso le tecnologie digitali, l’innovazione ed il cambiamento. Tra i Competence Center c’è Made, quello di Milano, che ha, tra i partner, quattro università (gli atenei di Brescia, Bergamo, Pavia e il Politecnico di Milano) nonché 43 imprese tra cui alcuni gruppi industriali di primaria importanza, come Siemens, Bosch, Cisco, Prima Industrie, Kuka, Sap. Dispone di un ampio demo-center, di 2.500 metri quadrati, con spazi per co-working, riunioni e aule per la formazione. Fra i dimostratori, sono rappresentate le principali tecnologie dell’industria 4.0 e anche altre: digital backbone, intelligenza artificiale, cloud ibrido, 5G, robotica collaborativa, sistemi intelligenti per l’assistenza all’operatore, gemello digitale, virtual commissioning, produzione snella, qualità 4.0, tracciabilità di prodotto, manifattura additiva, big data analytics, cyber security industriale e IoT.

Esempio di robot collaborativo a disposizione del Conpentence Center Made all’interno della Fabbrica Digitale, messa a disposizione delle pmi

Ma in che modo il Made supporta l’evoluzione digitale delle filiere? Secondo Marco Taisch, docente al dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano e presidente del Made, il Competence Center svolge tre attività principali: orientamento delle aziende, formazione e implementazione di progetti relativi alle tecnologie 4.0. Quanto alla prima, si realizza con seminari, workshop e visite aziendali, demo specifici su use case. «Qualche anno fa – ha affermato Taisch – la maggior parte delle imprese ignorava il termine “4.0”. Ora solo il 5% non sa cosa significhi. Quindi, sotto questo profilo, sono stati conseguiti risultati di rilevo». Quanto alla seconda, non riguarda solo il training, ma anche il “train the trainers”, e cioè l’istruzione dei formatori che poi opereranno in impresa. «Spesso le aziende hanno associato la trasformazione digitale all’acquisizione di tecnologie grazie agli incentivi dello Stato – ha continuato Taisch – In realtà, ha un ruolo cruciale il conseguimento di adeguate competenze, che consentono al personale di utilizzare la nuova strumentazione». Quanto alla terza, «le aziende si rivolgono a noi per essere aiutate a sviluppare progetti di innovazione. Noi le “prendiamo per mano” e le accompagniamo in questi percorsi». In questo contesto Made «aiuta le filiere ad essere allo stesso livello dell’azienda pivot, e questa è un’operazione importantissima, perché il digital divide è il vero gap che l’Italia rischia di scontare».

Lo scorso aprile si è conclusa la fase di valutazione dei progetti presentati in occasione del primo bando pubblicato da Made, previsto dal piano finanziato dal Mise. Una commissione di esperti, formata da componenti esterni, provenienti dal mondo accademico e industriale, ha analizzato le 71 proposte pervenute selezionandone 20 per un valore totale di 2,9 milioni di euro con un finanziamento pari a 1,5 di euro. Le tematiche principali delle richieste riguardavano l’applicazione di tecnologie digitali quali algoritmi per l’intelligenza artificiale e big data analytics, robotica e automazione avanzata, oltre a sistemi e piattaforme IoT per monitoraggio e controllo da remoto per attività di analisi, controllo ed efficientamento delle linee produttive, nonché per abilitare tecniche e metodologie di tracking e di manutenzione predittiva.

Bandi e risultati ottenuti da parte del Competence Center Made

 

L’ecosistema digitale e i progetti di filiera    

La rete dei DIH di Confindustria ha iniziato due anni fa ad ampliare le proprie modalità operative, affiancando al lavoro svolto con le singole imprese uno più strutturato con le filiere produttive, dove l’impresa capo-filiera svolge un ruolo cruciale. «In questo contesto – ha affermato Viscardi – serve l’orchestratore: deve scrivere lo spartito, in modo che tutte le imprese suonino la stessa musica. È un po’ come una sinfonia: se solo un violinista sbaglia una nota, tutta l’opera risulta rovinata».

 

Le grandi aziende e la loro supply chain: Ansaldo Energia  

La lavorazione all’interno dello stabilimento Ansaldo Energia

Tra i Progetti di Filiera della rete dei DIH di Confindustria, si evidenzia il progetto AENet 4.0. un processo innovativo portato avanti da Ansaldo Energia per selezionare e accompagnare i propri fornitori radunati in filiera. La storica industria genovese guidata da Giuseppe Marino – specializzata in turbine e componenti meccatroniche per centrali energetiche –  si è avvalsa di un ecosistema di competenze sia per realizzare l’assessment del network che per promuoverne l’avanzamento tecnologico e la competitività. L’assessment, basato su questionari di autovalutazione, si è svolto in tre Wave, con una adesione complessiva di 63 imprese. Da quest’iniziativa è stato firmato un protocollo di intesa tra Cassa Depositi e Prestiti e Ansaldo Energia che consente alla prima di mettere a disposizione dei fornitori di Ansaldo una serie di prodotti finanziari: a supporto dei processi di innovazione, crescita e internazionalizzazione.

 

Le grandi aziende e la loro supply chain: Abb

Abb è una realtà nota. Da una parte la filiale italiana della multinazionale svizzero svedese dell’automazione e dell’energia fattura, nel Belpaese, fattura 2,5 miliardi di euro, con 6mila dipendenti, dall’altra è un Lighthouse Plant e cioè una grande fabbrica destinata a dimostrare concretamente, a beneficio delle pmi, che certe applicazioni industriali innovative sono praticabili, necessarie e sostenibili per affrontare le sfide della competizione globale. I siti coinvolti sono quelli di Dalmine, di Santa Palomba e di Frosinone, dove si produce l’intera gamma di interruttori: rispettivamente, media, bassissima e bassa tensione.

Abb Dalmine, linea di produzione di interruttori automatici

Secondo Golinelli Abb in quanto impianto faro ha tre traguardi generali: «Essere dimostratori reali delle soluzioni digitali, sperimentate anzitutto nei nostri impianti; diventare un benchmark per le imprese italiane e leader assoluti all’interno del Gruppo». Inoltre, Abb ha un progetto in tasca, che si declina in specifici obiettivi di sviluppo di tecnologie “pratiche”, quelle che abilitano il progresso della manifattura. «Abbiamo una nostra Roadmap – ha affermato Golinelli – che contempla la fabbrica virtuale; i flussi di processo autonomi; i robot collaborativi; la manutenzione predittiva; i componenti polimenrici e metallici; l’economia  circolare; lo sviluppo del personale; la qualità zero-difetti; la salute, la sicurezza e l’ambiente smart; e infine la digital supply chain». Per Golinelli, «più del 60% del valore aggiunto è nella filiera».

 

Abb Dalmine e i programmi per la filiera. Con la nuova frontiera della manifattura additiva. Intervista con Fabio Golinelli

La digital supply chain rappresenta un traguardo importante e ambizioso: consiste nella completa integrazione della filiera. All’obiettivo è stato dato il nome di “Progetto Filiera 4.0”, e vi partecipano, oltre al DIH Lombardia, anche l’Università e la Confindustria di Bergamo. I finanziamenti sono supportati da Ubi Banca. Quanto ad Abb, è soprattutto Dalmine in prima fila su questo fronte. Già gli articoli in ingresso (che peraltro sono 12mila) sono stati dotati di codici a barre, in modo da garantirne la completa tracciabilità. I fornitori potranno visionare online sia le previsioni di vendita che l’andamento delle scorte. Il Progetto Filiera 4.0 è stato definito e pianificato nell’ottobre 2019. Tra il dicembre del 2019 e il febbraio 2020 è stato realizzato l’assessment dei fornitori; i risultati sono stati raccolti a marzo, e ora sono resi noti. Si stanno traducendo in un insieme di azioni di sviluppo e investimenti in digitalizzazione, che continueranno fino al 2022 compreso. A quel punto, secondo Golinelli, si sarà data vita ad un vero e proprio “ecosistema digitale”.  «A regime la filiera sarà più affidabile e più in grado di modificare i propri programmi – ha continuato Golinelli -. A luglio dell’anno in corso avremo il primo importante feedback».

 

Le grandi aziende e la loro supply chain: Leonardo

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aw139 Leonardo

Leonardo è una importante azienda italiana che, con quasi 14 miliardi di fatturato (36 miliardi di portafoglio ordini) e 49mila dipendenti, è operativa, a livello globale, in quattro settori principali: la realizzazione di elicotteri (dai leggeri monomotori ai trimotori da 16 tonnellate); di velivoli (da trasporto, ma anche da combattimento e tattici); elettronica (applicazioni avioniche, sistemi di combattimento); spazio (comparto nel quale è alleata con Thales). La storia dell’impresa, dalle società di mercurio del monte Amiata, al periodo Iri a Finmeccanica, meriterebbe di per sé più di un articolo. In questa sede, ci limiteremo a segnalare che la società, partecipata dallo Stato (tramite il Mef) per il 30,2% del capitale, è quotata in Borsa ed è guidata dal ceo Alessandro Profumo. Per Carullo «è importante sottolineare che la metà del fatturato di Leonardo è realizzato con beni e servizi che sono acquisiti dagli 8mila fornitori, dei quali 4mila hanno sede in Italia. E circa l’80% di ciò che compriamo nel Belpaese viene esportato». La supply chain di Leonardo «è molto complessa, anche a causa dell’alto contenuto tecnologico della componentistica».

I fornitori italiani sono per il 70% piccole e medie aziende. «In questo contesto Leonardo «è interessata alla loro crescita, dimensionale e tecnologica». Di qui il progetto Leap 2020 (Leonardo Empowering Advanced Partnerships) portato avanti dall’azienda insieme ai DIH di Confindustria. Leonardo si rivolge anzitutto alle aziende ad alto potenziale della propria supply chain sviluppato da Elite di Borsa Italiana, piattaforma internazionale di servizi integrati creata per supportare le imprese. Queste aziende generano un volume di acquisto per la società guidata da Profumo pari a circa un miliardo di euro. «Si tratta – ha affermato Carullo – non solo di incrementare le capability delle imprese, ma anche di aiutarle nella formazione manageriale e di facilitare l’accesso ai fondi di innovazione e ai crediti bancari». È una delle iniziative previste dal piano industriale 2018-2022 di Leonardo.  «Vogliamo creare una filiera più efficiente, più economica – ha continuato Carullo -: ridurre il time-to-market, collegare le attività, essere più sincroni. A vantaggio di tutti».

 

L’evoluzione delle filiere in logica di ecosistema digitale

Al giorno d’oggi, l’importanza delle filiere sta diventando sempre più strategica. In Italia si tratta generalmente però di filiere caratterizzate da fornitori di prodotti/servizi tradizionali; in alcune aree dell’Europa si stanno invece delineando filiere sempre più focalizzate sulle tematiche digitali, che coinvolgono anche i fornitori di tecnologia avanzate. Pensiamo ad esempio alle filiere del settore auto che stanno collaborando in logica di ecosistema digitali. Ad oggi, in queste nuove filiere, sono presenti in modo particolare fornitori francesi, svedesi, polacchi e ovviamente cinesi, americani, ma al momento nessuna o pochissime aziende italiane. Quindi, come suggerisce Viscardi a conclusione del suo intervento, «in questa fase di “ricostruzione” del posizionamento del nostro paese dobbiamo porci la domanda se saremo capaci di affiancare alle imprese “tradizionali” che oggi primeggiano nelle filiere internazionali di ogni settore, anche imprese che potranno competere in nuovi ambiti di filiera come ad esempio i nuovi attori degli ecosistemi digitali».














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