Transizione 5.0: aziende, non correte! Meglio attendere i decreti attuativi. Parola di 42 Law Firm

di Barbara Weisz ♦︎ Intervista a Valerio Vertua, partner di 42 Law Firm, che evidenzia pregi e difetti del Piano 5.0. Un passo avanti rispetto al 4.0, soprattutto perché i controlli tecnici sono affidati al Gse, un ente tecnico, e non all'Agenzia delle Entrate. Ma l'iter burocratico è complesso, soprattutto per le piccole imprese. E chi aderisce al 5.0 deve rinunciare agli incentivi 4.0, che viaggiano in parallelo. Insomma: meglio aspettare il testo definitivo del Mimit prima di agire. I beni agevolati dalla misura. L'esclusione delle aziende energivore che non piace a Confindustria

Il Piano 5.0 riconosce crediti d’imposta alle imprese che investono nella transizione energetica. Il meccanismo agevolativo è del tutto analogo a quello degli incentivi 4.0. Ma ne supera un limite: le attività di controllo tecnico spettano al Gse, e non al fisco. È un aspetto considerato particolarmente positivo da Valerio Vertua, partner di 42 Law Firm, intervistato da Industria Italiana sulle agevolazioni per la Transizione 5.0. Molto in sintesi, sono crediti d’imposta dal 35% al 45% sull’acquisto di macchinari e software che abilitano un risparmio energetico. La riduzione dei consumi è il parametro di riferimento in base al quale viene calibrato l’incentivo, e per questo viene sottolineata l’importanza del monitoraggio affidato al gestore dei servizi energetici, che comunque si muove in concerto con l’Agenzia delle entrate.

Con i crediti d’imposta 4.0, invece, si erano presentati una serie di problemi proprio dovuti al ruolo centrale del fisco. Ad esempio, «sulla parte relativa alla ricerca e sviluppo, sono stati fatti molti accertamenti che alla fine sono decaduti, perchè non erano basati su un’adeguata motivazione che li sorreggesse». Ma c’è anche un punto critico. Anzi, diciamolo, un vero e proprio errore, nella norma, l’articolo 38 del decreto 19/2024. Nel comma 16, relativo a controlli e sanzioni, c’è scritto “fruizione” invece che “indebita fruizione”. In pratica, sembra che venga sanzionato l’utilizzo stesso del credito d’imposta, non la presenza di irregolarità. Un aspetto che, segnala l’esperto intervistato da Industria Italiana, «dovrà senz’altro essere corretto in sede di conversione in legge del provvedimento». Nel frattempo, si attendono i decreti attuativi (che sono già in ritardo), perché è sulla base di questi che si capiranno esattamente non solo i dettagli di tutte le fasi procedurali, ma anche i criteri in base ai quali si stima il risparmio energetico e il Gse effettuerà il conseguente monitoraggio. «Il consiglio che diamo alle imprese è di iniziare a ragionare su questi incentivi in termini per esempio di budget, ma anche di attendere il decreto attuativo», perché «la norma prevede diversi passaggi procedurali, ci sono ben quattro diversi documenti che devono essere rilasciati da professionisti indipendenti», e di conseguenza «è meglio conoscere con precisione i criteri prima di passare alla fase dell’investimento».







Il nuovo “Piano Transizione 5.0” introdotto su proposta del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.

L’osservazione è rilevante in considerazione del fatto che il decreto incentiva gli investimento 2024 e 2025. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha già chiarito nelle scorse settimane che c’è quindi una sorta di retroattività, nel senso che si potranno applicare le detrazioni anche su spese effettuate prima dell’entrata in vigore del decreto. Proseguiamo con gli approfondimenti di Industria Italiana sul provvedimento che incentiva l’acquisto di macchinari 5.0, concentrandoci in particolare sulle novità relative ai controlli sui requisiti di risparmio energetico e agli adempimenti per le imprese.

Gli incentivi del Piano 5.0, come salgono con la riduzione dei consumi

Facciamo un passo indietro e ricordiamo molto sinteticamente come funzionano gli incentivi: sono calibrati in base a due variabili fondamentali, l’entità degli investimenti e la riduzione dei consumi. Il requisito minimo è un risparmio energetico del 3%, oppure del 5% sul singolo processo produttivo a cui si riferiscono il macchinario o il software acquistato. A fronte di un utilizzo di elettricità più efficiente, sale il credito d’imposta. L’agevolazione è invece inversamente proporzionale all’aumentare della spesa, con l’obiettivo di rendere il piano più appetibile per le aziende di piccole e medie dimensioni.

Questa la modulazione precisa:

  • Riduzione dei consumi del 3% riferita all’intero sito produttivo, o del 5% in relazione al singolo processo produttivo: credito d’imposta al 35% per investimenti fino a 2,5 milioni, al 15% per investimenti da 2,5 a 10 milioni e al 5% da 10 a 50 milioni.
  • Riduzione dei consumi del 6% nel complesso o del 10% sul singolo processo produttivo: credito d’imposta al 40% per investimenti fino a 2,5 milioni di euro, al 20% per investimenti tra 2,5 e 10 milioni e al 10%, per la fascia di investimento superiore.
  • Riduzione dei consumi del 10%, oppure del 15% se riferita al singolo processo: agevolazione al 45% per la fascia di spesa inferiore, al 25% per quella intermedia e al 15% per quella superiore.

Il risparmio energetico si calcola in base ai consumi registrati nell’esercizio precedente all’avvio degli investimenti, al netto delle variazioni dei volumi produttivi e delle condizioni esterne che influiscono sull’energia. Per le imprese di nuova costituzione, il calcolo prende come riferimento uno scenario controfattuale, i cui criteri saranno individuati dal decreto attuativo.

L’errore nel comma 16: un’evidente dimenticanza, ma bisogna correggerla

Valerio Vertua, partner dello studio legale 42 Law Firm.

Ci sono diversi adempimenti normativi previsti per le imprese, che sostanzialmente servono a dimostrare che gli investimenti producano effettivamente un miglioramento dei consumi elettrici. La prima osservazione su questi aspetti, riguarda un errore nel comma 16. «Se non lo correggono, basta che un’impresa utilizzi il macchinario acquistato con il credito d’imposta perché l’investimento sia a rischio. L’Agenzia non può procedere a recupero automatico, ma può entrare nel merito delle questioni sulla base degli elementi tecnici forniti dal Gse». L’errore è nel secondo periodo del comma 16, in cui si legge che, quando i controlli e le verifiche documentali e in sito tecniche rilevino «la fruizione, anche parziale, del credito d’imposta, il Gse ne dà comunicazione all’Agenzia delle entrate indicando i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda il recupero, per i conseguenti atti di recupero del relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni». Vertua segnala: «bisogna correggere con “indebita fruizione”, perché così sembra che basti utilizzare l’agevolazione per far scattare le procedure che arrivano agli atti di recupero. Invece, è chiaro che la norma si riferisce all’ipotesi in cui il credito d’imposta sia utilizzato in modo indebito». In altri termini, «il Gse deve controllare, sotto il profilo tecnico, che la fruizione non sia indebita, non che sia avvenuta, o che sia avvenuta in modo difforme rispetto alla normativa».

Si potrebbe dire che la ratio della norma è in realtà del tutto chiara, ma la formulazione contiene quello che è evidentemente un errore. Fra l’altro, già corretto ad esempio in altri documenti predisposti per i lavori parlamentari. Nelle schede di lettura alla Camera c’è effettivamente scritto «indebita fruizione, anche parziale, del credito d’imposta».

Il principale punto a favore della norma: controlli e monitoraggio al Gse e non all’Agenzia delle entrate

L’aspetto di maggior rilievo secondo l’esperto dello studio 42 Law Firm è l’aver affidato controlli e monitoraggio al Gse, il gestore dei servizi energetici.

L’aspetto di maggior rilievo secondo l’esperto dello studio 42 Law Firm è l’aver affidato controlli e monitoraggio al Gse, il gestore dei servizi energetici. «Ha una sua logica, perché l’iter procedurale si basa sulle certificazioni e sulle comunicazioni delle aziende al Gse», che è un ente tecnico, in grado di effettuare monitoraggio e verifiche sulla base di competenze specifiche. Il gestore pubblico segue tutto l’iter, e la detrazione si può applicare solo dopo che il Gse ha trasmesso tutti i dati all’Agenzia delle entrate. Questo «consentirà di evitare problemi come quelli che si erano verificati con il credito d’imposta ricerca e sviluppo del Piano Transizione 4.0. L’Agenzia delle entrate faceva accertamenti senza basarsi, obbligatoriamente, su enti tecnici, e molti alla fine si sono rivelati infondati perché non avevano un presupposto tecnico che li sorreggesse». La procedura precisa, schematicamente:

  1. Le imprese presentano la documentazione in via telematica, sulla base di un modello standardizzato messo a disposizione dal Gse, unitamente alla descrizione del progetto di investimento e dei costi (certificazione tecnica ex ante).
  2. Il gestore verifica la completezza della documentazione e trasmette quotidianamente al ministero, sempre con modalità telematiche, l’elenco delle imprese che hanno validamente chiesto l’agevolazione e l’importo del credito prenotato.
  3. Le imprese inviano al Gse comunicazioni periodiche relative all’avanzamento dell’investimento ammesso all’agevolazione.
  4. L’impresa comunica il completamento dell’investimento e allega la certificazione ex post.
  5. Il Gse trasmette all’Agenzia delle entrate l’elenco delle imprese beneficiarie con l’ammontare del relativo credito d’imposta utilizzabile in compensazione.
  6. Il credito d’imposta diventa utilizzabile dopo cinque giorni dalla trasmissione dell’elenco da parte di Gse, fino al 31 dicembre 2025. dopo questa data, la somma non ancora utilizzata è riportata in avanti e si divide in cinque quote annuali di pari importo.

Questo iter richiede l’implementazione di una piattaforma informatica, che consentirà la ricezione delle domande di prenotazione, delle comunicazioni ex post e di quelle, ulteriori, eventualmente previste dal decreto ministeriale relative alla rendicontazione dell’investimento e al credito di imposta spettante, le verifiche della documentazione e i controlli, il monitoraggio sull’andamento della misura agevolativa, anche ai fini del rispetto dei limiti delle risorse, la valutazione, lo scambio e la gestione dei dati trasmessi dal Gse, l’elaborazione di un rapporto analitico sull’efficacia degli investimenti Pnrr assegnati al Mimit.

I consigli alle imprese: aspettare il decreto attuativo per avere chiari i criteri

Sono incentivati software, sistemi, piattaforme o applicazioni per l’intelligenza degli impianti che garantiscono il monitoraggio continuo e la visualizzazione dei consumi energetici e dell’energia autoprodotta e autoconsumata.

Vista la complessa architettura di comunicazioni e controlli, è importante che tutto avvenga sulla base di criteri chiari, l’iter burocratico per una piccola impresa è complesso. Per questo il legale di 42 Law Firm insiste sul fatto che è meglio prendere la decisione di investimento quando ci sarà il testo del Mimit (era previsto entro il primo aprile, 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto 19/2024). Ci sono valutazioni di fondo che andranno fatte: «se un’impresa utilizza il 5.0, non può poi applicare il credito d’imposta 4.0», che è meno conveniente in termini di aliquote, ma è ancora in vigore. Quindi, «la prima domanda che l’azienda deve porsi è: mi attendo veramente un risparmio energetico, oppure no?». Se su questo non ci sono certezze, «conviene stare sul 4.0. Portare avanti una pratica per ottenere l’incentivo 5.0 e non riuscire a perfezionarla rischia di pregiudicare anche la fruizione del credito imposta 4.0».

Ci sono poi altri consigli di natura più specifica. In relazione alla perizia tecnica asseverata già obbligatoria per gli incentivi 4.0 per investimenti sopra i 300mila euro, «noi abbiamo sempre suggerito alle imprese di farla, senza ricorrere all’autocertificazione nel casi in cui è ammessa. Visto che l’Agenzia delle entrate effettua molti controlli, è utile avere la perizia tecnica asseverata che certifica la regolarità tecnica dell’investimento».

Un altro requisito necessario è la presentazione della documentazione contabile della revisione dei conti, che assicura la congruità delle spese. Qui, il riferimento è il comma 15, in base al quale «l’effettivo sostenimento delle spese ammissibili e la corrispondenza delle stesse alla documentazione contabile predisposta dall’impresa devono risultare da apposita certificazione» rilasciata da un revisore dei conti (anche per le aziende non obbligate alla revisione dei conti). Per valutare con precisione questo adempimento, «è fondamentale il rinvio al decreto attuativo. Chiarirà esattamente cosa vuol dire “adeguata documentazione”, che consentirà di poter dimostrare anche a una verifica successiva da parte del Gse la verifica di quanto fatto». Sotto questo profilo, è importante che «fatture e documenti di trasporto riportino il riferimento espresso all’articolo 38 del decreto». In ogni caso, «sarà il decreto a chiarire i criteri, ad esempio sul concetto di congruità».

Così come il provvedimento ministeriale dovrà dettagliare quali sono gli esperti abilitati al rilascio delle certificazioni tecniche. Le indicazioni già contenute nel decreto legge: le certificazioni sono rilasciate da un valutatore indipendente, con requisiti oltre che di indipendenza, di imparzialità, onorabilità e professionalità da fissare con il decreto attuativo. Sono compresi, in ogni caso, gli Esperti in Gestione dell’Energia (Ege) e le Energy Service Company (ESCo), in entrambi i casi certificati da organismo accreditato. La vigilanza sulle attività svolte dai soggetti abilitati al rilascio delle certificazioni spetta al Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

I beni agevolati dal piano: alla Trasformazione 4.0 si aggiungono risparmio ed efficienza energetica

Gli impianti fotovoltaici sono ammessi solo se prodotti in UE, con efficienza a livello di modulo almeno pari al 21,5%, a livello di cella almeno pari al 23,5%.

Ricordiamo con precisione che cosa si può acquistare utilizzando i crediti d’imposta 5.0. Come detto, il beneficio riguarda le spese effettuate nel 2024 e nel 2025. I beni ammessi sono gli stessi già contenuti nel Piano 4.0 (allegati A e B della legge 232/2016), ai quali si aggiungono:

  • Software, sistemi, piattaforme o applicazioni per l’intelligenza degli impianti che garantiscono il monitoraggio continuo e la visualizzazione dei consumi energetici e dell’energia autoprodotta e autoconsumata, oppure introducono meccanismi di efficienza energetica, attraverso la raccolta e l’elaborazione dei dati anche provenienti dalla sensoristica IoT di campo (Energy Dashboarding).
  • Software relativi alla gestione di impresa acquistati unitamente ai software, ai sistemi o alle piattaforme sopra esposti.
  • Investimenti in beni materiali nuovi strumentali all’esercizio d’impresa finalizzati all’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili destinata all’autoconsumo, a eccezione delle biomasse. Sono compresi gli impianti per lo stoccaggio dell’energia prodotta. Gli impianti fotovoltaici sono ammessi solo se prodotti in UE, con efficienza a livello di modulo almeno pari al 21,5%, a livello di cella almeno pari al 23,5%. In questi casi, concorrono a formare la base di calcolo del credito d’imposta per un importo pari, rispettivamente, al 120 e al 140% del loro costo. Agevolabili anche i sistemi fotovoltaici composti da celle bifacciali ad eterogiunzione di silicio o tandem con un’efficienza di cella almeno pari al 24% (senza la maggiorazione sopra descritta).
  • Spese per la formazione specifica sulla twin transition (digitale ed energetica), nel limite del 10% degli investimenti effettuati e fino al un massimo di 300.000 euro.

L’esclusione delle aziende energivore: non piace alle imprese, ma è coerente con la ratio della norma

Bioraffineria di Gela. La norma esclude l’accesso agli incentivi alle aziende energivore, come quelle direttamente connesse ai combustibili fossili. Una precisa scelta politica, secondo il legale di 42 Law Firm.

Ci sono state diverse critiche, in primis da parte di Confindustria, sugli investimenti che invece non sono agevolabili per esplicita previsione normativa. Ovvero quelli riconducili ad attività:

  • direttamente connesse ai combustibili fossili;
  • che nell’ambito del sistema di scambio di quote di emissione UE (Ets) generano emissioni di gas a effetto serra non inferiori ai pertinenti parametri di riferimento;
  • connesse a discariche di rifiuti, inceneritori e impianti di trattamento meccanico biologico;
  • che nel processo produttivo generano un’elevata dose di sostanze inquinanti classificabili come rifiuti speciali pericolosi di cui al regolamento UE n.1357/2014 del 18 dicembre 2014, e il cui smaltimento a lungo termine potrebbe causare un danno all’ambiente.

La norma sui settori Ets, ha segnalato Confindustria in audizione alla Camera, esclude segmenti importanti dell’industria (carta, ceramica, acciaio, metalli non ferrosi, vetro, ghisa, cemento, diversi prodotti chimici, idrogeno). «Si tratta di settori esposti alla concorrenza internazionale e a rischio delocalizzazione – si legge nel testo dell’audizione -, per i quali la decarbonizzazione competitiva rappresenta una priorità. Pertanto, le imprese che appartengono a tali settori andrebbero incluse nel perimetro di 5.0 per supportarle, attraverso l’efficienza energetica e gli investimenti in fonti rinnovabili, nel percorso di abbattimento delle emissioni, con benefici che si trasmetterebbero, a valle, a tutte le filiere produttive».

Su questo punto Vertua è prudente, premette che non si può dire se sia una disposizione giusta o sbagliata. Sottolinea semplicemente che «è una scelta politica precisa. Nel solco delle politiche energetiche UE, ha una logica che abbiano escluso i settori energivori. È chiaramente un fatto voluto, non una dimenticanza». Infine, qualche considerazione sulle potenzialità del Piano 5.0. «È uno strumento in più, che si inserisce in un filone europeo sul risparmio energetico. Ha una sua logica, vedremo quanto sarà efficace, su quest’ultimo aspetto il dubbio esiste», soprattutto in relazione al rischio che sia una misura più adatta alle grandi imprese.














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