Cluster Fabbrica Intelligente: ci vuole un “Piano Marshall” per una rapida riscossa post Coronavirus

di Marco de’ Francesco ♦︎ Le proposte del CFI. In primis, l'istituzione di un coordinamento operativo che coinvolga tutti gli stakeholder di settore: governo, sindacati, Confindustria e i suoi DIH, Cluster, Competence Center. Poi approfittare del rallentamento per completare la trasformazione digitale delle imprese. Cioè ultimare gli investimenti per la piena interconnessione di macchine e sistemi nell’ambito della fabbrica e per l’integrazione di filiera

Trasformare il tempo del momentaneo ristagno della manifattura in un’opportunità per una rapida riscossa post-Coronavirus. La proposta al governo è del Cluster Fabbrica Intelligente, associazione che dal 2012 riunisce aziende, regioni, università ed enti di ricerca, istituzioni regionali con l’obiettivo di indirizzare la trasformazione digitale dell’industria italiana, e di creare una comunità manifatturiera avanzata, stabile e competitiva. Il problema da risolvere è che l’epidemia ha rallentato gli approvvigionamenti che alimentano i processi manifatturieri: ovunque i governi creano zone rosse e pongono limiti alla circolazione. E con lo slowing di filiere domestiche e globali, garantire la continuità dei processi produttivi diventa più un’avventura che una sfida.

Prima di entrare nel merito, il presidente Luca Manuelli sottolinea la sua soddisfazione per il mantenimento della continuità produttiva anche durante le misure per evitare il contagio. «La priorità è ovviamente la salute dei dipendenti. Tuttavia, garantendo le giuste distanze e le adeguate precauzione, è ovviamente possibile conciliarla con la continuità delle attività operative, che è indispensabile per la sopravvivenza dell’intero sistema, e per tutte le ricadute che ciò ha sull’economia e sulla società», dice Manuelli, «Bene ha fatto Confindustria a richiedere che ciò avvenisse e il Governo ad accogliere questa esigenza».







Il Cluster avanza l’idea dell’immediata istituzione di un coordinamento operativo che coinvolga tutti gli stakeholder di settore, dall’esecutivo ai sindacati, al CFI, a Confindustria con i suoi DIH ed i Competence Center, per una duplice risposta “di sistema”. La prima questione riguarda come l’innovazione tecnologica può supportare la gestione dell’emergenza attuale, consentendo di contenere i danni mantenendo le aziende almeno parzialmente operative. Si tratta, ad esempio, di favorire la diffusione dello smart working, del digital manufacturing anche nelle più piccole aziende della filiera, e di utilizzare i tempi vuoti per il reskilling e l’upskilling del personale.

CFI_Luca Manuelli
Luca Manuelli, Presidente CFI

La seconda questione è come la tecnologia può aiutare le aziende a rendere più competitive le proprie fabbriche in vista della ripresa dopo la crisi mettendo in pista un vero e proprio “Piano Marshall per la manifattura”: approfittare del momento di rallentamento per completare la trasformazione digitale delle imprese, sia dal punto di vista del completamento degli investimenti necessari per la piena interconnessione di macchine e sistemi nell’ambito della fabbrica, che da quello dell’integrazione di filiera. Per uscire da questo periodo più forti e competitivi. Lo Stato dovrebbe intervenire rafforzando i benefici fiscali già in atto destinando le nuove risorse all’adozione di tecnologie e strumenti che siano in grado di agire sulla mitigazione degli impatti della crisi e di agevolare la ripresa attraverso investimenti in grado di supportare efficacia ed efficienza del sistema manifatturiero nazionale.

Questo modello dovrebbe essere completamente condiviso ed implementato in maniera integrata in Europa: confidando nel comune interesse di Francia e Germania, che insieme all’Italia pesano per circa l’80% della manifattura europea, si potrebbero definire congiuntamente le priorità per allocare al meglio le risorse congiuntamente messe a disposizione. Queste sono le principali linee guida espresse da Luca Manuelli, presidente di CFI, per affrontare questo nuovo scenario di crisi.

La proposta del Cluster e la prima risposta di sistema: quella per l’emergenza

Gli smart worker in Italia. Fonte Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano

Bisogna anzitutto evitare che le aziende chiudano. Il Tavolo di Coordinamento dovrebbe selezionare le filiere strategiche della manifattura, quelle il cui stop potrebbe creare un serio pregiudizio alla sostenibilità economica del Paese. Ad esempio, secondo il CFI, quelle di automotive, machinery, oil&gas/energy, food e fashion. In questi contesti, occorrerebbe individuare le tecnologie utili al contenimento del danno e promuoverne, anche con il sostegno di incentivi e finanziamenti agevolati, un utilizzo diffuso. Una di queste è senza dubbio lo smart working. Con questo termine si intende l’esecuzione del lavoro caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e da un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita con accordi tra dipendente e azienda.

Ma, con tutta evidenza, data la situazione, bisognerebbe considerare la versione più spinta associata al telelavoro, e cioè dell’attività svolta da remoto (anche a domicilio) grazie all’assistenza di strumenti informatici e telematici. Si tratta, in un certo senso, della delocalizzazione degli uffici. L’attuazione di programmi di telelavoro è facilitata se l’azienda già adotta il Cloud computing, per cui i dati sono gestiti su server remoti cui i dipendenti si collegano. Il telelavoro oggi diventa una realtà per tutte le attività di supporto alla produzione e deve essere una opportunità per liberare spazi nella fabbrica a favore di una maggiore integrazione dell’operatore di fabbrica nel sistema produttivo, valorizzando  la dimensione fisica del lavoro “di fabbrica” che non può essere sostituita. Infatti, anche le aziende manifatturiere svolgono parecchi processi accessori che possono essere garantiti da remoto, creando le condizioni di maggiore sicurezza per le risorse che continuano a lavorare in fabbrica garantendone la continuità operativa.

Pro e contro dello smart working. Fonte Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano

Appare oggi decisivo operare rapidamente affinchè in tempi di emergenza sanitaria si garantisca l’adozione di modelli di lavoro e di tecnologie in grado di proteggere la dimensione fisica della manifattura. In particolare ci riferiamo alla messa in sicurezza delle operazioni di logistica sia interna che esterna, che rappresentano occasioni di pericolo se svolte in tempi e spazi ristretti. Riguardo invece le operazioni produttive, la massima attenzione immediata dovrebbe essere rivolta alle tecnologie di supporto in grado di rendere indipendenti gli operatori nello svolgimento di operazioni gravose o complesse in modo da eliminare attività che necessitino di uno stretto contatto con un altro operatore. Le azioni immediate dovrebbero essere una priorità del Governo, a supporto di piani di azione rapida in grado di scongiurare la fermata delle operazioni produttive e il rallentamento del flusso delle merci che porterebbe al blocco di una parte decisiva del sistema economico nazionale.

Inoltre le piattaforme digitali offrono ulteriori opportunità collegate alla possibilità di fare formazione, sempre a distanza, per favorire il reskilling del personale, soprattutto per formare quelle competenze necessarie per applicare al meglio le nuove tecnologie. Questo può accadere anche in situazioni di relativo vuoto lavoro: ad esempio Infosys, una delle più grandi compagnie di servizi ingegneristici e di sviluppo SW al mondo, presso il campus di Bangalore, anche quando l’assorbimento di risorse nei programmi operativi non superava il 30% dei circa 30mila dipendenti, ha fatto sì che il restante 70% fosse impegnato in formazione permanente. È un caso estremo, ovviamente non del tutto assimilabile alla manifattura italiana: ma è senz’altro un esempio di come il tempo non vada mai sprecato e come la tecnologia può supportare al meglio tale approccio.

 

La proposta del Cluster e la seconda risposta di sistema: il “Piano Marshall per la manifattura”

Obiettivi del piano Transizione 4.0. Fonte Mise

Per CFI il Tavolo dovrebbe contemporaneamente analizzare, definire e promuovere con agevolazioni o finanziamenti speciali un “Piano Marshall per la manifattura”, di durata triennale o quinquennale, per dare impulso alla  trasformazione digitale delle aziende con un approccio di filiera, in modo che, quando l’epidemia sarà un ricordo, le nostre imprese saranno pronte per competere con rinnovata energia nei contesti internazionali, e le nostre filiere saranno più efficienti, veloci e resilienti. Per capire, bisogna fare un passo indietro. La digital transformation delle imprese italiane si è di fatto fermata a metà strada. C’è di
mezzo il continuo cambiamento dei piani nazionali, da “Industria 4.0” a “Impresa 4.0” e a “Transizione 4.0”, o la maggiore attenzione alla misura (passaggio dall’iperammortamento al credito di imposta) rispetto allo scopo, o ancora la programmazione di corto respiro. Comunque sia, la storia del fenomeno in chiave italica si può riassumere in questi termini: una prima fase – concentrata soprattutto nel 2017 – a supporto dell’acquisto di macchine intelligenti predisposte per l’interconnessione, che in molti casi non si è completamente finalizzata.

Dall’iperammortamento al credito d’imposta. Fonte Mise

Nella manifattura, non si è indirizzata completamente la logica delle piattaforme. a supporto dell’integrazione dei mondi dell’OT (Operation Technology) e dell’IT (Information Technology), perdendo di vista l’essenza della trasformazione digitale: ossia che la rete industriale – quella grazie alla quale i componenti di un processo produttivo si scambiano informazioni – e quella informatica – che serve a memorizzare, recuperare, trasmettere e manipolare dati – comunichino tra di loro. Tale gap si è ulteriormente ampliato all’esterno delle aziende, visto che poche filiere sono integrate. Eppure in molte di esse la marginalità si gioca sull’efficienza operativa delle imprese che le compongono. Diventa cogente, dunque, l’aggiornamento tecnologico di tutti gli attori coinvolti: è necessario, ad esempio, sincronizzare il meccanismo della fornitura, con ordini automaticamente allineati a fronti dei processi di ripianificazione.

Ciò significa che, ai fini di massimizzare i benefici per la filiera, tutto il mondo delle Pmi deve tenere la stessa traiettoria e velocità evolutiva delle aziende più grandi e avanzate. Il che, per la verità, è tutto tranne che semplice. Per CFI, si deve approfittare del momento per chiudere il cerchio. Altrimenti, ripartire sarà molto più difficile per noi ed il gap di competitività indotto dalla perdita di produttività tenderà ad ampliarsi ulteriormente.  Peraltro per CFI, il modello del Tavolo va discusso e condiviso con l’Europa. Germania, Francia e Italia, Paesi tutti e tre colpiti dal virus, rappresentano l’80% della manifattura continentale. Se si riuscisse a dar vita ad un “Piano Marshall” a livello UE, con la condivisione delle filiere strategiche e dei campioni da preservare, delle azioni sul piano dello sviluppo tecnologico e delle competenze da mettere in campo e di un piano di finanziamenti alimentato anche con risorse prevenienti da Strasburgo e specificamente dedicati agli investimenti produttivi, le fabbriche europee uscirebbero da questa crisi più forti, più competitive con i loro “avversari” naturali, gli Usa e la Cina.

 

Le ragioni alla base della proposta del Cluster: la situazione della manifattura

Export Italia-Cina al 31/12/2018

Con la diffusione del virus e il crescendo di misure restrittive dei governi alla circolazione, due fenomeni hanno colpito la manifattura italiana. Anzitutto, pesa la difficoltà dell’approvvigionamento, dal momento che le molte aziende di settore sono inserite in filiere internazionali che hanno a che fare con la componentistica cinese; e la Cina fino a pochi giorni fa era bloccata. Ora pare che il gigante orientale – primo Paese al mondo, nella manifattura, con una quota di valore aggiunto del 29,5% – si sia rimesso in moto. In questo Paese si è registrato a febbraio il dato peggiore di sempre per l’indice PMI (Purchasing Managers Index, è elaborato da Markit Group e riflette la capacità di acquisizione di beni e servizi): 35,7, contro il 50 di gennaio e soprattutto contro il 46 atteso dagli analisti; ma è probabile che i dati di marzo saranno più confortanti.

C’è comunque da attendersi un forte calo delle esportazioni italiane, in un contesto in cui i trasporti internazionali rallentano e la domanda mondiale è destinata a contrarsi. Ma anche le filiere domestiche risentono di più di un problema. Con la realizzazione di zone rosse e la parcellizzazione dei dipendenti attivi nello shop-floor, molte piccole industrie faticano a trovare una soluzione per continuare ad essere operative. Mentre le grandi aziende si sono attrezzate con lo smart working, che ha consentito loro di destinare parte delle attività non di fabbrica in situazioni protette, limitando i danni, le Pmi si sono spesso fatte trovare impreparate, sia in termini di mezzi che di metodologie.

In queste circostanze, il tema critico è quello di garantire la continuità operativa e rispettare il time-to-market. Attualmente, il 60,1% delle imprese manifatturiere consultate dal Centro Studi di Confindustria, (in un’indagine ripresa da Il Sole 24 Ore) afferma di risentire delle conseguenze negative del virus. Nell’ordine, i comparti del manufacturing più colpiti sono il tabacco, l’abbigliamento, l’elettronica, la chimica, la farmaceutica, l’automotive, l’arredo, il tessile, le bevande e i macchinari. Sempre secondo l’analisi di CSC, il 27% delle aziende ha già subito una contrazione delle revenue.

 

Le ragioni alla base della proposta del Cluster: l’attesa risposta dello Stato sarebbe insufficiente alle esigenze della manifattura

|Il presidente di Confindustra Vincenzo Boccia nella Conferenza Stampa di chiusura delle Assise di Verona
Il presidente di Confindustra Vincenzo Boccia

Nei prossimi giorni il governo emanerà un primo importante decreto legge sull’emergenza economica, di un valore stimato in 25 miliardi di euro destinato ad essere progressivamente incrementato in relazione al possibile escalation della crisi (in realtà alcuni esperti sostengono che ne servirebbero 3 volte tanto). Secondo Il Sole 24 Ore, i capitoli che assorbiranno la maggior parte delle risorse saranno quelli della Sanità e della cassa integrazione, con un pacchetto di assunzioni di 1.200 fra medici e infermieri. Ma ci sarà anche una sezione più direttamente correlata alle sorti delle imprese: una garanzia pubblica su finanziamenti agevolati che le banche erogheranno alle aziende, utilizzando le riserve della Cassa depositi e prestiti. Questo consentirebbe alle imprese di non affondare, e alle banche di evitare effetti negativi sui bilanci. Ma il decreto sembra strutturato per incidere sulle conseguenze della crisi, e non sulle cause. Non pare destinato ad influire sul problema più grande per la manifattura, e cioè quello, già citato, della difficoltà di portare avanti il lavoro.

La ragioni alla base della proposta del Cluster: il piano di rilancio di Confindustria e il Piano Marshall per la manifattura convergono nella necessità di sostenere con forza la trasformazione digitale

Il piano di rilancio stilato da Confindustria delinea un investimento di massa in infrastrutture materiali, sociali e immateriali all’avanguardia. L’idea è che per far fronte all’arretramento della domanda privata, lo Stato, con risorse congrue, favorisca la crescita della domanda pubblica. Una sorta di compensazione, con un occhio alle teorie macroeconomiche di Keynes. È un piano straordinario triennale, che parte dall’avvio di tutti i cantieri e punta a realizzare tutte le opere già programmate, introducendo misure di sblocco dei procedimenti. Per far ciò occorrerebbe garantire liquidità alle imprese, anzitutto potenziando le attività del Fondo di garanzia per le Pmi, ma anche dilazionando il pagamento dei debiti tributari e con altre misure. È previsto un progetto di semplificazioni, per liberare il potenziale di investimento necessario alla transizione energetica, alla decarbonizzazione e all’economia circolare. Si tratta, come si vede, di misure generali per l’economia; ma Il piano di Confindustria potrebbe rivelarsi allineato con il “Piano Marshall per a manifattura” nella misura in cui auspica un incremento delle aliquote dei crediti di imposta già previsti per gli investimenti delle imprese, a partire da quelli stabiliti nel Piano Transizione 4.0. si potrebbe, cioè, partire da questa idea per definire le modalità di sostegno al finanziamento della seconda fase della trasformazione digitale delle imprese, quella che, come abbiamo visto, riguarda la convergenza tra IT e OT e l’integrazione delle filiere.














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