Covid-19, Bonometti: serrate territoriali o nazionali grave danno per la filiera produttiva

di Marco de' Francesco ♦︎ Secondo il numero uno di Confindustria Lombardia lo stop delle piccole imprese significherebbe la loro chiusura totale. Deve essere la Ue a proclamare un blocco globale del continente, solo in questo modo nessun Paese trarrà vantaggio dalle debolezze altrui. O rischiamo che gli stati concorrenti ci caccino dalle filiere…

Sarebbe «irresponsabile», da parte dei sindacati, forzare il significato del testo del Protocollo governativo – sulla sicurezza in tema di Coronavirus – per proclamare fermate e scioperi strumentali. Che sono nell’aria, secondo il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti. Bene lo stop delle aziende che non si adeguano, ma solo di quelle però. Ci vuole grande cautela, perché la serrata di imprese che fanno parte di filiere strategiche può determinare difficoltà proprio in certi settori, come il farmaceutico, di cui il Paese in questo momento ha estremo bisogno. E perché lo stop di piccole imprese, prive di riserve di capitale, significa la loro chiusura definitiva.

Sarebbe «sconsiderato», continuare ad ipotizzare – come fa il segretario generale di Fim Cisl, Marco Bentivogli – una chiusura totale della Lombardia, nel caso in cui il numero dei contagiati dovesse continuare ad aumentare. Non è più una questione regionale. Serrate territoriali o nazionali non comporterebbero altro che danni, dal momento che Paesi concorrenti ne approfitterebbero per cacciarci dalle filiere.







L’unica soluzione possibile, in questo momento, è europea. L’Unione dovrebbe trovare il coraggio di uno stop globale sul territorio continentale, in modo che nessun Paese sia tentato di approfittare della debolezza altrui. Il governo dovrebbe convincere Paesi importanti come Francia e Germania; i nostri europarlamentari dovrebbero far sentire la propria voce a Strasburgo e a Bruxelles; e i sindacati dovrebbero spingere in questa direzione. Tutto ciò secondo Bonometti, che abbiamo intervistato.

 

D: Cominciamo dall’epilogo. Come finirà con il Coronavirus?

Marco Bonometti, presidente Confindustria Lombardia

R: «Male. Quando tutto sarà terminato, e non sappiamo ancora quando, il mondo sarà cambiato per sempre. Soprattutto quello dell’industria, che non sarà mai più come prima. Questa crisi è destinata a lasciare segni profondi, indelebili. Sulle persone e sulle cose. I pericoli in giro sono enormi: piccole aziende che chiudono, anche per poco, rischiano di essere buttate fuori dalla propria filiera. E le aziende medio grandi sono costrette ad interrompere il ciclo della trasformazione digitale – argomento scomparso definitivamente dall’orizzonte politico e industriale – con conseguenze nefaste in termini di competitività del sistema-Paese».

 

D: Secondo il segretario generale di Fim Cisl, Marco Bentivogli, in Lombardia bisogna mettere in conto la possibilità di una chiusura totale se il numero contagiati dovesse continuare a crescere.

R: «Non ha veramente senso. Non è più un tema regionale: oggi la Lombardia guida la triste classifica dei positivi al virus, dei ricoverati e dei morti; e l’Italia ricopre la stessa posizione in Europa. Ma nulla ci dice che fra due settimane la tragica graduatoria non sarà cambiata completamente. È un fatto di rilievo globale. Ed è una questione che per noi si risolve solo con l’intervento dell’Unione Europea».

 

D: E come?

I casi di Coronavirus nel mondo al 16 marzo 2020

R: «Per ora, nei singoli Stati, più le cose si sono messe male, più sono stati presi provvedimenti graduali, non definitivi. Nessuno ha pensato di chiudere la propria industria nazionale, perché se chiudi tu e gli altri restano aperti, sei morto sui mercati. Problema che non si porrebbe se serrassimo tutti insieme, in Europa, anticipando ad aprile le tradizionali ferie estive. Un blocco totale, coordinato a livello continentale, in modo che nessuno si avvantaggi della fermata altrui. Credo che sia l’unica cosa seria da farsi, ed è strano che questa strada non sia stata ancora percorsa. L’alternativa sono gli stop locali, con tutti gli altri che cercano di approfittarsene, finché non capita a loro».

 

D: Chi dovrebbe incaricarsi di convincere le autorità europee a prendere questa decisione?

R: «Non abbiamo un governo? Si tratta alla fine di convincere Paesi importanti come Francia e Germania, che sono sulla stessa nostra barca. E poi, gli europarlamentari italiani potrebbero far sentire la propria voce a Strasburgo e a Bruxelles. Infine, anche i sindacati esistono in forma continentale. Potrebbero offrire il loro contributo alla causa».

 

D: Secondo Lei è credibile che ciò accada?

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea

R: «Secondo me ci arriveremo per forza di cose, in Europa, ma solo quando le cose si saranno messe male, e la soluzione sembrerà inderogabile. Rischiamo di raccogliere solo macerie, se continua così».

 

D: Secondo Bentivogli, ma per i sindacati in generale, vanno serrate e sanificate, anche per una settimana, le imprese che non riescono a garantire il contenimento del contagio; e quelle che non collaborano con i Rls e Rsu in tema di salute pubblica.

R: «Chi non rispetta le regole del Protocollo governativo – quello che fissa le regole per il lavoro, come la sanificazione delle tastiere e le distanze obbligatorie in mensa ed altro – deve fermarsi. L’atto è stato accettato dalle parti sociali, ed è in realtà l’estensione di un codice di autoregolamentazione messo a punto giorni fa dalle aziende lombarde. Lo so bene, perché ho partecipato alla redazione di quest’ultimo. Ma è chiaro che lo stop va imposto a chi non si adatta al contenuto essenziale del documento. Perché non è così semplice, decidere di fermare un’azienda. Soprattutto se questa appartiene a filiere strategiche per il Paese, soprattutto alla luce del momento particolare. Si pensi all’industria farmaceutica, proprio oggi così importante: ha bisogno di essere assistita da aziende che si occupano di imballaggi, di movimentazione e trasporti, di distribuzione intermedia, di fiale di vetro e di plastica e di tante altre cose. Colpire un’impresa che fa componenti per questo settore non può che essere l’extrema ratio. Un altro esempio è l’ossigeno. Oggi, data la situazione, se ne produce in gran quantità: ma dietro questo gas ci sono aziende che si occupano di bombole di acciaio e altro. E non si possono colpire, nei settori strategici, neppure i manutentori. Ci vorrebbe molta più cautela da parte dei sindacati, secondo me».

 

D: A livello provinciale, per esempio a Belluno, Fiom, Fim e Uilm chiedono di concordare subito fermate collettive coperte con gli ammortizzatori sociali. Questi stop sono ritenuti indispensabili per verificare il rispetto del protocollo nella sua interezza e per sanificare i luoghi di lavoro. Se ciò non avvenisse, ci sarebbe «l’astensione unilaterale dell’intero settore metalmeccanico» e le Rsu potrebbero proclamare lo sciopero sin da subito. Teme che iniziative come questa si estenderanno in Lombardia e in tutta Italia?

Marco-Bentivogli-Segretario-Generale-Fim-Cisl-2015
Marco Bentivogli, Segretario-Generale Fim Cisl

R: «Lo sciopero è nell’aria; ma deve prevalere il buon senso. Sembrerebbe irresponsabile l’atteggiamento del sindacato, che in un momento in cui serve unità, in cui servono decisioni condivise per il bene del Paese, andasse avanti per i fatti suoi, decidendo di chiudere questo e quello. Ripeto: non si può serrare un Paese intero o una parte di esso, a meno che non lo facciano tutti gli altri Paesi europei e sempre considerando alcune eccezioni, come le industrie strategiche di cui si parlava. Altrimenti le piccole aziende che fermi non riaprono più i battenti. E poi qui si vuole mettere tutti in cassa integrazione. Io non sono d’accordo. Per noi industriali sarebbe facile, ma siamo sicuro che per i lavoratori la soluzione giusta sarebbe quella di campare con 850 euro al mese? Non c’è l’affitto da pagare? Cose di questo genere non fanno parte della mentalità di un vero industriale. Il valore maggiore per l’imprenditore sono i lavoratori: non accetto che qualcuno pensi che gli industriali considerino i propri dipendenti come carne da macello. Non è vero, e dobbiamo avere il coraggio di dire le cose come stanno. Gli imprenditori tutelano i propri dipendenti, sia oggi che domani. Prima viene la salute e poi il lavoro. Mentre i sindacati, talvolta, sembrano essersi fermati a duecento anni fa, mentre il mondo continua ad avanzare. Sembrano peraltro volersi sostituire alle decisioni del governo; mentre di fronte alle disgrazie bisogna assumersi grandi responsabilità senza lasciarsi tentare da soluzioni demagogiche e controproducenti».














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