Oltre il Cad: per Autodesk il nuovo paradigma della progettazione è il Generative design

di Renzo Zonin ♦︎ Il design generativo è un nuovo approccio che permette di trovare il perfetto bilanciamento fra performance e costi. Stimola l'innovazione, suggerendo soluzioni mai sperimentate. E consente di realizzare oggetti più leggeri, riducendo gli scarti. La soluzione Netfabb, che unisce il meglio di manifattura additiva, per creare il prodotto, e sottrattiva, per le finiture della superficie. Il caso Mjk Performance. Ne parliamo con Ingrid Paoletti (PoliMi) e Matteo Crocetti e Tiziano Vertua, di Autodesk

Si sente dire spesso che viviamo in una società virtuale, smaterializzata, fatta di bit. In realtà, l’umanità non ha mai avuto a disposizione tanti materiali come adesso, e tante tecnologie di produzione. Le civiltà antiche potevamo definirle in base al principale materiale che usavano (pietra, bronzo, ferro…). La nostra può usare ogni materiale, trasformarlo in mille modi, e vogliamo definirci “virtuali”?

La realtà dei fatti è che la materia è e sarà sempre presente nella nostra civiltà, affiancata da una dimensione digitale che comprende realtà aumentata, realtà virtuale, metaversi e chissà quante altre tecnologie in futuro.







Ma la cosa importante è che la dimensione digitale e quella materiale da tempo hanno trovato un punto d’incontro. Ormai usiamo il digitale per progettare praticamente tutti gli oggetti materiali che usiamo, o almeno tutti quelli prodotti in serie. E questo connubio fra mondo digitale e mondo materiale non è statico, ma si sta evolvendo. E se fino a qualche anno fa l’apporto del digitale era teso soprattutto a fornire ai progettisti strumenti di disegno tecnico più evoluti del solito tecnigrafo, negli ultimi anni cominciano a diffondersi applicazioni ben più sofisticate. I sistemi di simulazione, per esempio, permettono da tempo di studiare un prodotto prima ancora che il primo prototipo sia stato costruito. I calcoli delle strutture vengono fatti da anni con software di analisi agli elementi finiti. Persino lo studio dell’estetica di un prodotto si può fare senza costruirlo, osservando rappresentazioni 3D su uno schermo.

Ma si può andare oltre, utilizzando tecnologie sofisticate. Il generative design è una di queste tecnologie, che consente di cambiare completamente il paradigma della progettazione: se fino a oggi la bontà di un progetto era dettata soprattutto dalla bravura del progettista e dalla sua conoscenza del problema specifico, dei materiali disponibili e delle tecnologie di produzione, con il generative design la cosa fondamentale è che il progettista sappia “porre le domande giuste”: ovvero descrivere al software le caratteristiche desiderate per il prodotto, i materiali che è possibile usare, e le tecnologie di produzione e finitura disponibili. Sarà il programma a creare il progetto, in tutte le varianti possibili, ottimizzando il tutto in modo da ridurre costi dei materiali, tempi di produzione, peso dell’oggetto, probabilità di deformazioni o rotture.

Accoppiando i sistemi di generative design con metodi di produzione innovativi, come la manifattura additiva (nota come stampa 3D), è possibile ottimizzare ulteriormente non solo i risultati, ma anche il workflow di progettazione e produzione. Ci sono soluzioni, come Autodesk Netfabb, che forniscono in un unico pacchetto tutti gli strumenti necessari per gestire facilmente workflow di produzione relativi alla cosiddetta “flexible manufacturing”, un approccio basato su strumenti di progettazione innovativi (come il generative design) e altrettanto innovative tecniche di produzione di tipo ibrido, che sfruttano nel migliore dei modi una combinazione di tecnologie additive e sottrattive.

Di questi argomenti si è discusso in un recente webinar di Autodesk, intitolato “Dalla progettazione alla produzione – un viaggio tra il Design Generativo e la Produzione Ibrida“. E per capire meglio il complesso rapporto fra materiali e digitale, si è iniziato mostrando l’applicazione dello studio dei materiali e dei software di progettazione generativa e modellazione a uno dei settori più sofisticati e sfidanti. Aerospaziale dite? Armamenti? No. Arte.

La falsa contrapposizione fra materiale e digitale

Ingrid Paoletti, professore associato della facoltà di Architettura del Politecnico di Milano

Spesso sentiamo ripetere da sedicenti guru che la nostra è una società fondata sul digitale e sul virtuale. Una società quasi eterea, insomma, all’interno della quale i processi digitali stanno “smaterializzando” ogni cosa. Certo, negli ultimi anni, con il progredire dell’informatica, abbiamo visto smaterializzarsi alcuni aspetti delle nostre attività. Ma la materia è ben lontana dallo sparire dalle nostre vite. «È sbagliato pensare alla nostra società digitale come immateriale ed eterea: da qualche parte la materia c’è. Ma se impariamo a rispettarla e non la trattiamo come scarto, allora parlerà alle nostre idee, risveglierà la nostra progettualità, inciderà sulla nostra scala di valori. Facciamo politica con la materia» scriveva nel 2021 Ingrid Paoletti, professore associato della facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, introducendo la sua monografia “Siate materialisti!“.

Concetto che Paoletti ha ribadito e ampliato durante un recente seminario Autodesk. «Bisogna superare la dicotomia fra materiale e digitale. Il digitale non è così etereo come si vuol far credere, da qualche parte prima o poi la materia viene fuori». Di più, proprio le tecnologie digitali ci stanno dando nuovi strumenti per conoscere a fondo la materia, e per utilizzarla nel migliore dei modi. Si va dalle attrezzature scientifiche per indagare sulla fisica dei materiali ai programmi di simulazione che consentono di conoscere in anticipo il comportamento di oggetti, già nella fase di progettazione Cad. Insomma, il digitale ci permette oggi di capire meglio la materia, e di lavorarla in modi nuovi, traendo spunto proprio dalle sue caratteristiche più che tentando di imporre alla materia il nostro modo di lavorare. In questo, disporre degli strumenti digitali in aggiunta a quelli tradizionali è un indubbio vantaggio. Come dice il vecchio adagio, chi ha solo un martello vede tutti i problemi sotto forma di chiodi.

Struttura in rattan con parti in legno realizzate con Cnc

A conferma di questo, Paoletti ha mostrato alcuni interessanti esperimenti effettuati al Politecnico. In uno di questi esperimenti si è partiti dal concetto di intreccio con materiali naturali e flessibili come il vimini e il rattan, usati da secoli per costruire cesti e parti di mobili. «Ci siamo chiesti se fosse possibile riprodurre in digitale i pattern degli intrecci, in modo da dare loro rigidità e da poterli usare in ambito architettonico. Abbiamo studiato il materiale a livello molecolare, per capirne meglio la consistenza. Si trattava di una struttura di tipo vascolare, a cellule con molti spazi all’interno. Abbiamo quindi inserito i parametri che avevamo trovato nei software, per simulare la struttura che volevamo ottenere – una sorta di grande paravento». Successivamente si passò a simulare via software le caratteristiche di flessibilità del rattan per capire le possibilità di curvatura del materiale, usando curve Nurbs e passando al progettista dati importanti sui possibili punti di rottura. Le simulazioni sono state poi integrate e confermate dall’osservazione su modelli materiali. «Il risultato finale del progetto è una struttura formata da alcune stecche di supporto in legno, realizzate con macchine Cnc, intrecciate con le stecche di rattan che sono quelle che rendono la struttura rigida. Abbiamo ricreato l’idea del cestino, cioè della rigidità ottenuta attraverso una parte strutturale che si intreccia con un’altra flessibile che comunque rende rigida la struttura, lasciando però totale libertà al progettista» conclude Paoletti. Naturalmente, è importante che la progettazione in qualche modo “assecondi” le caratteristiche del materiale che verrà utilizzato nella realizzazione pratica.

Andrew Anagnost, ceo di Autodesk

L’idea di Paoletti quindi è di «usare lo strumento digitale come opportunità per conoscere la materialità e quindi esprimersi al meglio. Lo abbiamo fatto sotto forma di workshop, lo facciamo spesso anche “invadendo” gli spazi del Politecnico… ci sembra l’approccio più giusto, da un lato simulare, dall’altro poi capire cosa vuol dire quella simulazione nella realtà. Anche in termini, per esempio, di tolleranze.

Alla fine, possiamo affermare che mondo digitale e mondo materiale non sono in contrasto fra loro, e il digitale non segnerà il tramonto della materialità, almeno finché gli esseri umani non si trasformeranno in entità fatte di puro spirito. Anzi, il digitale è il miglior alleato del materiale. «Nella progettazione, partendo dalle caratteristiche dei materiali è possibile estrarre informazioni importanti che ci aiutano a definire meglio i progetti nell’ambito digitale – spiega Paoletti -Esperimenti fatti con materiali naturali, come il vimini o il rattan, ma anche con polimeri come il Pla o addirittura con filati, ci hanno dato ottimi risultati dal punto di vista delle strutture generate, sia con tecniche additive che sottrattive». Infatti Paoletti, con i suoi ricercatori, impiega spesso tecniche miste (per esempio superfici sottrattive o anche dei tessili su cui poi stampano in 3D) e si muove su quei “territori di confine” dove c’è maggiore possibilità di fare innovazione.

Le nuove frontiere della progettazione

Matteo Crocetti, tecnico commerciale di Autodesk

L’utilizzo di nuove tecniche di progettazione, come il generative design, rappresenta un cambio di paradigma per molti motivi. Matteo Crocetti, tecnico commerciale di Autodesk, nota per esempio che, nota per esempio che «la ricerca delle forme dipende moltissimo dal tipo di materiale usato. Quindi non dico che sia un vincolo, ma in ogni caso l’uso di un determinato materiale consente al progettista di prendere determinate direzioni che non avrebbe potuto prendere con altri materiali». Il filo logico fra reale e digitale è uno degli obiettivi che Autodesk cerca di realizzare. «Tentiamo di raggiungere con l’esperienza digitale, anche con strumenti come il generative design, un risultato che sia subito producibile, estremamente diretto e collegato alla realtà – prosegue Crocetti – Quindi avere la possibilità di ottenere quello che si è disegnato, attraverso la produzione – anche industriale e comunque prototipale. Autodesk ha sviluppato la tecnologia di generative design che è sul mercato da almeno 5 anni, nella piattaforma di Fusion 360, in generale per il manifatturiero ma poi anche per altri settori come l’architettura (con strumenti come Revit)».

Attraverso il generative design insomma, Autodesk sta cercando di cambiare quello che è il paradigma del Cad in generale. «Il Cad è uno strumento che viene dato in mano al progettista, ma di fatto è inattivo – chiarisce Crocetti – fa quello che gli viene chiesto: tirare delle linee, modellare in tridimensionale, ma fondamentalmente non dà altri feedback se non la parte grafica. Tutto quello che è creazione viene dall’esperienza del progettista o del designer, dal contesto nel quale ha vissuto, dall’azienda in cui lavora eccetera. C’è tutta una serie di influenze che portano al risultato finale del progetto. Il generative design è nato per tentare un approccio completamente diverso: cercare di dare soluzioni a problemi, e non semplicemente per disegnare qualcosa in un tecnigrafo elettronico».

Tipico processo di sviluppo di un prodotto con Cad

Le sfide di riferimento alla cui soluzione può contribuire il generative design, in questo campo, sono almeno tre. Prima di tutto può aiutare a trovare un bilanciamento ottimale fra performance e costi. Secondo, può favorire l’innovazione, perché è in grado di suggerire soluzioni che prima non sono mai state esplorate, sia da un punto di vista costruttivo che di materiali. Terzo, fa sì che i progettisti non siano più limitati dalla propria esperienza e conoscenza del prodotto da costruire.

Mjk Performance ha usato il generative design per parti di motociclette

Crocetti spiega come cambi il processo di progettazione dal tradizionale Cad al generative design con un esempio. «Se un ingegnere deve progettare una piastra di sostegno per una motocicletta, partirà dal concetto, e disegnerà una o più soluzioni che possono risolvere il problema. Una volta decisa la soluzione a livello morfologico, interverranno i vari dipartimenti che devono produrre l’oggetto, magari chiederanno modifiche, variazioni di materiale eccetera. Così questo processo, che in teoria dovrebbe essere lineare, diventerà un valzer di rimbalzi che allungano il ciclo di sviluppo. Le cose cambiano introducendo nel processo strumenti di generative design. Essi proporranno una serie di soluzioni al problema, magari basati su tecnologie produttive diverse, con materiali diversi. tutte queste soluzioni sono già producibili con la tecnologia che si è scelta. Quindi usando il generative design potrei avere indicazioni per un prodotto ottenibile tramite stampaggio, o con sottrazione a tre assi partendo dal pieno, o una soluzione additiva magari con altri materiali, e così via». Naturalmente, il progettista potrà semplicemente scegliere una di queste soluzioni e procedere con la produzione, oppure selezionarne una e apportare ulteriori modifiche.

Quando il produttore di motociclette Mjk Performance ha utilizzato questa tecnologia ha avuto ottimi risultati, per esempio in termini di riduzione dei pesi e di maggiore produttività. «Siamo passati da un modello digitale al prototipo nel giro di un paio d’ore – ha commentato Phil Butterworth, progettista e comproprietario dell’azienda – Ero stupefatto, appariva come una cosa che i miei clienti avrebbero comprato immediatamente. Era sportivo, con belle geometrie e leggero. Per me adesso usare il design generativo è una scelta ovvia».

Generative design e ottimizzazione topologica

Soprattutto nei primi anni dall’introduzione, il generative design è spesso stato confrontato (o anche confuso) con l’ottimizzazione topologica. In realtà, si tratta di due cose diverse. «Il generative design è qualcosa di più dell’ottimizzazione topologica – puntualizza Crocetti – perché permette di esplorare tutte le possibili soluzioni a un problema di progettazione, mentre l’ottimizzazione topologica si limita a ottimizzare una soluzione già proposta». Per fare un esempio, se dobbiamo trasportare merce da New York a un Los Angeles, l’ottimizzazione topologica può cercare per le mie navi una rotta più breve di quella che percorro abitualmente, mentre la logica del generative design andrebbe a esplorare altre possibilità, proponendo per esempio di spostare le merci per via aerea o mediante camion o treni, e proponendo i relativi dati di tempi e costi. «In pratica, il generative design è in grado di restituire delle soluzioni a un problema ben posto. Queste soluzioni sono tutte le combinazioni fra i materiali che voglio sperimentare e tutte le tecnologie produttive di cui dispongo. La soluzione sarà completa dei range di costo della produzione, e soprattutto il risultato finale è comunque un oggetto Cad, che i progettisti potranno importare su qualsiasi programma Cad per operare con ulteriori modifiche, aggiunte eccetera».

Con strumenti di design generativo, vengono proposte più soluzioni possibili in base alle tecnologie produttive e ai materiali richiesti

Un ulteriore vantaggio del generative design è costituito dalla sua intrinseca sostenibilità. Progettando con il generative, creo oggetti leggeri, perché il software minimizza l’impiego di materiale, riducendo nel contempo gli sprechi. In questo è aiutato dalla possibilità di esplorare materiali diversi e migliori per ogni prodotto. Infine, semplificando l’assemblaggio e quindi il disassemblaggio dei prodotti, migliora la “circolarità” (possibilità di riciclo/riuso eccetera) dell’oggetto. «Il generative è una tecnologia di design esplorativo che ci può aiutare a migliorare, nella progettazione di tutti i giorni, i nostri componenti. Non è solo legato al 3D printing ma anche alla produzione in larga scala, dalla fresatura al casting e molto altro» conclude Crocetti.

Verso la flexible manufacturing

Tiziano Vertua, technical sales specialist di Autodesk

Per decenni Autodesk ha supportato i clienti nell’evoluzione che li ha portati a passare dal tradizionale ciclo di vita dei prodotti a un processo connesso, grazie allo sviluppo di una serie di  funzionalità di trasformazione. «Abbiamo fornito tutto questo attraverso singoli prodotti, che nel tempo si sono evoluti in quelle che chiamiamo le Collections, le quali sono semplicemente l’accoppiamento di una serie di diverse soluzioni al fine di aiutare il lavoro quotidiano degli ingegneri. Le abbiamo messe a disposizione tramite abbonamento, e tramite formule che sempre più sfrutteranno la potenza del cloud – afferma Tiziano Vertua, technical sales specialist di Autodesk – ma il nostro percorso di trasformazione digitale non è ancora concluso, perché intendiamo mettere a disposizione dell’intero ecosistema le funzionalità di una vera e propria piattaforma».

Centrale a questo proposito è il concetto di Flexible Manufacturing. «Per noi, flexible manufacturing significa molte cose, ma in sostanza è la capacità di rispondere a questi cambiamenti di prodotto, alle tempistiche e alle nuove opportunità di business dell’ultimo minuto con agilità, limitandone i costi aggiuntivi e i ritardi. Le sfide che si presentano le vediamo quotidianamente: la localizzazione (come scegliere  il luogo di produzione? Nel nostro stabilimento o vicino alla domanda?), la capacità (soprattutto su prodotti custom), il throughput, i costi, l’inventory… per risolvere tutte queste problematiche, è fondamentale l’abilità dell’azienda, che deve essere in grado di utilizzare questi nuovi metodi costruttivi».

Additive e Hybrid manufacturing

Una delle possibilità è ricorrere a tecnologie di produzione “ibrida”. Per manifattura ibrida, si intende quella che vede, nelle diverse fasi della realizzazione di un prodotto, l’alternarsi di tecnologie additive e sottrattive. Per esempio, è possibile stampare un prodotto in 3D in una forma “grezza” per poi eseguire la finitura della superficie tramite macchine sottrattive. Le due tecnologie, additiva e sottrattiva, dovranno insomma coesistere. Anche perché l’additive esiste ormai da 40 anni, è anche diventata in un certo senso “di moda”, ma ancora stenta ad affermarsi nel mainstream. E non sono in pochi a chiedersi quanto tempo ci vorrà ancora perché non venga più considerata una tecnologia “di nicchia”. Certo è importante, per sfruttarne al massimo le potenzialità, ridurne i costi e i tempi di preparazione del modello, e pianificare le operazioni di post-processing. Se ben usato, l’additive può realizzare design molto complessi, minimizzandone il peso e massimizzando il valore del componente in termini di performance.

Il processo di produzione di un oggetto da realizzare in additive con finitura finale in sottrattiva

In un processo di progettazione e produzione complesso, come quello mostrato in figura 7, la parte di progettazione è pensata per ottenere un prodotto che va stampato in 3D ma che successivamente viene rifinito con tecnologie tradizionali di asportazione. «Questo comporta alla fine del processo generativo del pezzo alcune lavorazioni convenzionali, anche solo per rimuovere le strutture di supporto, che in alcune tecnologie sono molto importanti; oppure per portare determinate parti del pezzo in tolleranza, perché sarà importante in fase di assemblaggio con altri pezzi» spiega Vertua.

Alla base di queste tecnologie, per Autodesk, c’è il concetto di risparmio «Risparmiare tempo, risparmiare denaro, risparmiare materiale, per rendere tutto più sostenibile – puntualizza Vertua – e noi stiamo lavorando nell’implementare i vari software tenendo presente questo obiettivo».

Un workflow ottimizzato

Il workflow dell’additive manufacturing vedrà quindi una prima fase, quella di preparazione del modello, nella quale si userà un Cad per progettare, poi si passa il progetto al software di generative design per ottimizzarne la struttura e creare il “lattice” in base all’analisi dei carichi fatta con un tool Fem. Infine si procede a tassellare la geometria e a ottimizzarla, apportando eventuali modifiche. Nella seconda fase, la preparazione del vassoio di stampa, si va a definire la geometria effettiva da stampare (Near Net Shape) tenendo conto di eventuali procedure successive sottrattive da usare, e si procede a simulare il processo di stampa per risolvere eventuali criticità nel gruppo di oggetti da produrre insieme (pack). Infine, si prepara il file del modello (Stl o Mesh) da passare alla stampante, o in alternativa si pilota direttamente la stampante per realizzare il pezzo.

Esempio di workflow ottimizzato per la manifattura additiva e ibrida

La soluzione Netfabb

Netfabb è la soluzione Autodesk per la produzione in tecnologia additiva/ibrida. Si tratta di un prodotto end to end, che comprende strumenti di design optimization (come il generative design), tool di simulazione, strumenti di preparazione della produzione additiva e software per le operazioni di finitura con Cnc.

Netfabb e generative design usati per ottimizzare il flusso di acqua di raffreddamento per gli stampi in Panasonic, risparmiando acqua e riducendo il tempo ciclo

Nell’ottica dell’ottimizzazione e della riduzione di pesi e costi dei materiali, assume grande importanza lo strumento per realizzare – tramite analisi agli elementi finiti – forme lattice di tipo non uniforme, che riducono la massa e massimizzano la resistenza del prodotto. Per quanto riguarda la riduzione dei costi, Netfabb aiuta il progettista anche riducendo in fase di progettazione gli errori che portano alla produzione di parti distorte, rottura dei supporti, e altri difetti del pezzo in lavorazione. Tanto che è possibile incorporare nel progetto parti compensate per contrastare eventuali distorsioni in produzione. Molte fasi di progettazione sono scriptabili, in modo da ottenere più rapidamente e con minor fatica elementi come griglie o altri formati da ripetizioni di parti.

Infine, il software aiuta nella creazione delle lavorazioni finali con Cnc per la finitura dei pezzi prodotti.














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