Bcg: per uscire dalla crisi le aziende devono sapersi reinventare

Le società della Future 50 hanno impiegato 15 settimane per tornare ai livelli pre-Covid-19 in borsa rispetto ai sei mesi dell’indice Msci World e oggi viaggiano il 20% al di sopra di tale soglia

Secondo Boston Consulting Group, le società che hanno più probabilità di uscire dalle recessioni più forti di come vi sono entrate sono quelle in grado di reinventarsi: le imprese incluse nella lista Future 50 del 2019 hanno infatti impiegato 15 settimane per tornare ai livelli pre-Covid-19 in borsa, contro i 6 mesi dell’indice Msci World e oggi viaggiano il 20% al di sopra quella soglia. La crisi ha infatti reso improvvisamente attuali tendenze di lungo termine a cui le imprese vitali erano già preparate da tempo o verso cui hanno saputo con prontezza ri-orientare i loro piani strategici. La loro capacità di guardare avanti e reinventarsi continuamente si è così trasformata in un immediato vantaggio competitivo.

Stati Uniti e Grande Cina (Hong Kong e Taiwan incluse) sono i paesi dove hanno sede 40 delle 50 imprese vitali. In questi nei due Paesi si concentra anche il 70% delle imprese a più alta crescita negli ultimi tre anni. La quota europea nella lista Fortune Future 50 è lievemente aumentata per il secondo anno consecutivo a spese della Cina che ha visto scendere la sua rappresentanza dell’8%. Nondimeno, con sole quattro società nell’indice, tra cui l’olandese Adyen (6°) e la svedese Spotify (10°), il Vecchio Continente rimane molto lontano dalle due superpotenze. Il divario si spiega in parte con la mancanza in Europa di campioni digitali che ancora una volta occupano la maggioranza dell’indice. Quest’anno, d’altra parte, è salito dal 12 al 22% il numero di aziende appartenenti al settore farmaceutico e biotecnologico che nella pandemia hanno dovuto dirottare i loro sforzi di ricerca sul vaccino contro il coronavirus oppure trovare soluzioni innovative per compensare i danni del rinvio delle cure non urgenti.







In generale, infine, le imprese vitali tendono a essere giovani e di medie dimensioni perché di norma maturità e grandezza irrigidiscono i processi decisionali, ostacolando l’innovazione. Come dimostrano Amazon, Adobe e Dassault il declino non è però inevitabile. L’importante è mantenere vivo lo spirito imprenditoriale nella forza-lavoro, adottare piani di sviluppo flessibili per cogliere le opportunità quando si presentano e misurare i propri risultati con parametri prospettici quale, per esempio, la percentuale di vendite derivante da nuovi prodotti o servizi.

Bcg sottolinea anche come i tradizionali indicatori di bilancio (ricavi, margine e utile) non sempre un buon indicatore delle performance future. Per valutare le prospettive di successo delle grandi imprese, perciò, il Bcg Henderson Institute ha elaborato l’indice di vitalità aziendale, utilizzando algoritmi di machine learning per selezionare e soppesare i fattori predittivi della crescita a lungo termine.
L’indice poggia su due pilastri: il primo ha un peso del 30% sul giudizio e misura le aspettative del mercato finanziario sull’avvenire di un’azienda. Definito come valore attuale delle opzioni di crescita (Pvgo), questo parametro stima la quota di capitalizzazione di borsa non attribuibile al potenziale delle attività già avviate dalla società.
Il secondo pilastro conta per il 70% e combina 19 fattori rappresentativi della capacità di un’impresa di innovare e prosperare nel lungo termine. Fra gli elementi determinanti del giudizio ci sono, per esempio, una strategia che abbracci scopi ulteriori rispetto alla mera performance finanziaria, la spesa in ricerca e sviluppo, la consistenza del portafoglio brevetti, la quantità di donne negli organi decisionali e più in generale nella forza-lavoro. Nonostante anche le aziende vitali siano ancora ben lontane dal raggiungere la parità di genere, metà delle società nell’indice mostra una presenza femminile superiore al 25% nelle posizioni apicali.














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