Dal 30 giugno si potrà licenziare: buio pesto su che cosa accadrà. Nessuno, ma veramente nessuno, ha fatto proposte

di Aldo Agosti ♦︎ Allarme rosso per l'occupazione: in bilico un milione di posti di lavoro. Il governo per il momento non sembra avere la soluzione, se non il "doppio binario" di Orlando. Confindustria garantisce: non ci aspettiamo un'ondata di licenziamenti. Ma i sindacati sono sul piede di guerra. La parola di Landini (Cgil), Benaglia (Fim-Cisl) e Bombardieri (Uil). E dell'economista Micossi, direttore generale di Assonime

Tre mesi esatti. Poi, cadrà il primo pezzo di muro che fino a questo momento ha tenuto ingessato il mercato del lavoro, per evitare un bagno di sangue e la classica macelleria sociale. Dunque, presto o tardi, si tornerà al naturale equilibrio. Problema: nessuno, Governo incluso, sa bene cosa succederà e come farvi fronte. E come fronteggiare un’eventuale emorragia di posti. A oggi non si vede neanche l’ombra di un piano per il dopo. Nessuno ha ancora formulato una concreta proposta di ammortizzatori sociali e piani di incentivo per i re-impieghi. Non lo ha fatto il Governo. Ma neanche i partiti, i singoli esponenti politici, i sindacati, la Confindustria, le altre associazioni datoriali come Confartigianato o Confapi. Neppure singoli autorevoli studiosi, centri studi, centri di ricerca, università. Niente di niente. 

Nessuno lo sa. Ma la resa dei conti arriverà. Un anno di pandemia, un anno di mercato del lavoro finito sotto anestesia grazie al blocco ai licenziamenti imposto dall’allora governo Conte lo scorso maggio. Da allora, cambio di esecutivo a parte, tutto o quasi è rimasto fermo. Le imprese e l’industria italiana non hanno potuto varare piani esuberi, nonostante i fatturati ridotti allo zero. E soprattutto non hanno potuto dotarsi di nuove e specifiche competenze, vista l’impossibilità di realizzare i piani di uscita. Ora però, un passo alla volta, il mercato del lavoro potrebbe tornare al suo equilibrio naturale, fatto di, scivoli, uscite, pre-pensionamenti in favore dell’ingresso di nuove risorse. E forse il problema sta proprio qui. Parti sociali, governo, economisti, conoscono bene come affrontare la situazione e non lo dicono? Chissà. Ammesso e non concesso che Palazzo Chigi tiri fuori dal cassetto un’altra proroga di tre mesi. Ma tanto prima o poi il mercato dovrà tornare agli antichi equilibri. E allora? Buio pesto. 







Due step verso l’equilibrio

Andrea Orlando, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali

Tutto parte dal primo decreto del governo Draghi, il decreto Sostegni, in cui ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha disegnato un doppio regime di tutela per i licenziamenti. Di che si tratta? Le due date da cerchiare in rosso sono 30 giugno e 1° luglio, a secondo del settore di utilizzo della cassa Covid-19 in attesa del riordino della cig e di veri servizi per il lavoro. In particolare, fino al prossimo 30 giugno il blocco resta generalizzato in quanto riguarda tutti i datori di lavoro. Ma dal 1° luglio e fino al 31 ottobre 2021, invece, il divieto rimarrà solo per i settori destinatari dell’assegno ordinario e della cassa in deroga. Qui, nella maggior parte dei casi, ci si trova di fronte ad aziende con un numero piccolo di dipendenti e che appartengono a settori, come i pubblici esercizi, il commercio, il turismo, le agenzie di viaggio, lo spettacolo, ed i servizi, in generale, particolarmente colpite dalla pandemia.

 

Le deroghe al blocco

Roberto Benaglia, leader della Fim-Cisl

Attenzione però, perché ci sono alcuni licenziamenti che non rientrano nel blocco. Per esempio i licenziamenti per giusta causa che, comunque, obbligano il datore alle procedure di garanzia previste dalla legge. Oppure i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo, ivi compresi quelli di natura disciplinare, i licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia, i licenziamenti determinati da superamento del periodo di comporto. 

E ancora, i licenziamenti durante o al termine del periodo di prova sottoscritto dalle parti prima della costituzione del rapporto, con l’indicazione sia della durata che delle mansioni da svolgere. i licenziamenti dei dirigenti sulla base della giustificatezza: si tratta di un criterio di valutazione più forte rispetto al giustificato motivo oggettivo che si applica agli altri lavoratori subordinati. E infine, i licenziamenti dei lavoratori domestici che sono ad nutum.

 

Macelleria sociale in vista?

Ora, chiarito cosa si potrà fare o no, nel periodo compreso tra oggi e il 31 ottobre, resta una domanda: che cosa succederà poi, nel concreto? C’è chi parla di un milione di posti di lavoro a rischio, con la fine del blocco generalizzato dei licenziamenti. Chi è più prudente e dimezza la stima. E ancora chi non fa previsioni, ritenendo tuttavia che, tra deroghe al blocco in vigore dalla scorsa estate, e ristrutturazioni già avviate, le imprese si stiano riposizionando, e quindi hanno bisogno non di licenziare, ma di strumenti innovativi per gestire le fasi di riorganizzazione (contratti di espansione, politiche attive, sussidi rafforzati, incentivi alle assunzioni, solo per fare qualche esempio). 

 

La grande paura

Il premier Mario Draghi

Nonostante tutto però, la paura c’è. Eccome. Sono infatti 9,4 milioni i lavoratori del settore privato preoccupati sul futuro della propria occupazione, secondo il Censis. In particolare, 4,6 milioni temono di andare incontro a una riduzione del reddito, 4,5 milioni prevedono di dover lavorare più di prima, 4,4 milioni hanno paura di perdere il posto e di ritrovarsi disoccupati, 3,6 milioni di essere costretti a cambiare lavoro. Gli operai spaventati sono 3 su 4. Del resto, nonostante il blocco dei licenziamenti stabilito per decreto, nel 2020 non sono stati rinnovati 393.000 contratti a termine.

 

Nessuna soluzione e nessuna certezza

Ma quali le aspettative e le opinioni di lavoratori e imprenditori. Qui la costante è che non c’è una vera e propria ricetta per il dopo. Anzi. «In una situazione di emergenza servono provvedimenti di emergenza. Il blocco dei licenziamenti è stato lo scudo che ha protetto centinaia di migliaia di posti di lavoro dalle conseguenze drastiche della pandemia – spiega a Industria Italiana Roberto Benaglia, segretario generale della Fim-Cisl -. Valuteremo a fine giugno se sarà stata sufficiente questa proroga o ne serviranno altre. In ogni caso da subito il sindacato deve muovere nuove richieste e il governo deve aprire una nuova fase. Siamo stati bravi come sindacato a giocare in difesa del lavoro: blocco licenziamenti, cassa Covid gratuiti, molti ristori per lavoratori precari».

Secondo Benaglia “è tempo di giocare in attacco, ovvero promuovere il lavoro dove c’è e dove si deve creare: contratti di solidarietà e di espansione come alterativi ai licenziamenti, formazione per la riqualificazione dei cassintegrati nel segno delle nuove competenze, un grande piano per ricollocare chi perde il lavoro irrobustendo l’indennità di Naspi sia come valore sia nel tempo, un grande piano di inserimento dei giovani al lavoro nel segno dell’apprendistato e della acquisizione di competenze per i mestieri e le professioni che servono. Possiamo farcela se faremo capire ad ogni lavoratrice e lavoratore che non è solo ma che ha, a secondo della condizione uno strumento di sostegno e promozione adatto. Non sono i decreti a creare lavoro, ma politiche riformiste e audaci nella promozione delle persone e dei loro bisogni.”

Il segretario generale della CGIL Maurizio Landini. By Ivan Crivellaro

Industria Italiana ha contattato anche la Cgil di Maurizio Landini. Da Corso Italia ribadiscono la “contrarietà al nuovo termine della proroga al blocco dei licenziamenti fissato dal Dl Sostegni. Entro l’estate i lavoratori vanno vaccinati, non licenziati. Quello sui licenziamenti è un provvedimento che deve cambiare. Un errore da correggere. In una fase di emergenza, caratterizzata dalla pandemia, come quella che stiamo attraversando, sono fondamentali la coesione sociale, l’unità del Paese. L’aver invece stabilito che da luglio, in teoria, le imprese industriali potranno ricorrere ai licenziamenti collettivi mentre per gli altri settori di attività continuerà il blocco fino ad ottobre dividerà il Paese.”

Secondo Landini, ex leader della Fiom, quella del governo è “una decisione incoerente rispetto all’impegno del governo di arrivare in autunno ad una riforma condivisa degli ammortizzatori sociali. Non vorrei che ci possano essere aziende che licenziano a luglio per poi chiedere soldi in autunno. Sarebbe molto grave.” In buona sostanza “avrebbe avuto un senso mantenere il blocco dei licenziamenti fino a quando si arriverà a un’intesa sulla riforma degli ammortizzatori sociali da inserire nella prossima legge di Bilancio. Serve, insomma, uno sforzo in più da parte del governo.”

In scia a Cisl e Cgil anche la Uil. “Il prolungamento del blocco dei licenziamenti sino alla fine del mese di giugno è il risultato di un forte impegno del sindacato che ha sempre chiesto di tutelare i lavoratori dalle conseguenze della crisi economica e sanitaria che ha investito il Paese”, ha spiegato il segretario generale Pierpaolo Bombardieri. Tuttavia, noi riteniamo che il blocco debba proseguire ancora, sapendo che solo a settembre, quando gli effetti del vaccino si dispiegheranno in tutta la loro efficacia, sarà possibile cominciare a intravedere una ripresa produttiva e occupazionale.

Carlo Bonomi, presidente di Confindustria.
Carlo Bonomi, presidente di Confindustria

Sponda imprese, la musica non cambia, non c’è una strategia chiara, limpida. Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha più volte ufficialmente sottolineato come “il blocco dei licenziamenti è un finto problema: fino a giugno è comprensibile poi bisognerà partire con una strada selettiva. E visto che sulla cassa integrazione in tempi normali siamo contributori netti per 2,4 miliardi c’è la possibilità di altre 52 settimane di cig ordinaria. Gli imprenditori devono avere la possibilità di operare in un mercato ordinario che non vuol dire licenziare. Piuttosto bisogna mettere in campo tutti gli interventi necessari alle assunzioni”. 

Eppure, da Viale dell’Astronomia, filtra una linea ufficiosa. “Le imprese non faranno nulla di diverso rispetto a quello che detto Bonomi tante volte. E cioè che poiché il 30 giugno il divieto scade per le imprese industriali che possono usufruire della Cassa integrazione ordinaria, nella dannata ipotesi in cui siano nella condizione di doversi riorganizzare, posso tranquillamente usufruire delle 52 settimane previste dall’ammortizzare. Che equivalgono a un anno. Gli imprenditori non prevedono alcuna ondata di licenziamenti.” Insomma, niente panico in Confindustria.

 

Un grande punto interrogativo

Alla luce di tutto questo, è però lecito domandarsi, cosa succederà? Non assisteremo ad alcuna ondata di licenziamenti, come ha scritto due giorni fa il Sole 24 Ore?  Questo perché le leggi del lavoro stabiliscono tempi e modi di recesso che possono implicare dilazioni procedurali significative (alcune settimane o qualche mese)? Forse. O forse no. 

Secondo il direttore generale di Assonime, l’associazione delle spa, ed economista Stefano Micossi, “la questione è molto delicata e va gestita in modo accorto. Il punto è che non si può togliere il paracadute senza prima avere una nuova rete di sicurezza già pronta, mi riferisco a una riforma degli ammortizzatori sociali. Credo che il premier Draghi sia ben conscio di questo. D’altra parte non si può pensare che il blocco ai licenziamenti continui per sempre, perché il mercato ha bisogno di tornare alla sua normalità.” Secondo Micossi, “la moratoria sui licenziamenti è una forma di congelamento che probabilmente non è più idonea dopo la pandemia. Chiaramente una soluzione si troverà, una soluzione di concerto con le imprese e con i sindacati, visto che si tratta di un tema estremamente delicato e sensibile. Una soluzione che consenta di passare da un regime eccezionale di blocco a una condizione di fluidità. Ma, come detto, la riforma degli ammortizzatori è centrale.” Draghi è avvisato.














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