Assobiotec: il sistema non deve frenare la nostra crescita

Ricerca biotech
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di Claudio Barnini ♦ Il biotech italiano cresce, anzi, corre. E guarda avanti con nuovi investimenti. Ma il governo deve fare la sua parte, spiega Riccardo Palmisano, presidente di Assobiotec.

Quasi 500 imprese attive, oltre 9mila addetti per un fatturato complessivo di 9,4 miliardi di euro. Il mondo biotech in Italia, come dimostrano questi dati presenti nell’ultimo Rapporto 2016 Le imprese di biotecnologie in Italia – Facts&Figures, è in grande fermento nel nostro Paese, un comparto ad elevata intensità di innovazione, protagonista di uno straordinario sviluppo, capace di fare da acceleratore di occupazione nell’indotto, dinamico e anticiclico. Qui, per esempio, gli investimenti in Ricerca e Sviluppo sono più alti che altrove: toccano il 25% del fatturato, con punte fino al 40%. E, aspetto ancora più interessante, nella grande maggioranza dei casi il biotech italiano è costituito da imprese micro o di piccola dimensione, che rappresentano l’elemento trainante dell’intero settore. Le previsioni per il fatturato sono rosee: +12,8% nel 2017 e +18,1% nel 2019, a conferma del rilevante contributo che l’introduzione di nuove tecnologie e prodotti porterà allo sviluppo dell’industria biotech nei prossimi anni. Regione traino è la Lombardia, per numero di imprese (141), investimenti in R&S (29,43% del totale) e fatturato biotech (51,11% del totale).







“L’industria biobased italiana rappresenta già oggi il 24% delle imprese biotech attive a livello nazionale”, spiega a Industria Italiana Riccardo Palmisano, presidente di Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica.

Riccardo Palmisano
Riccardo Palmisano

Domanda. Nella sua relazione programmatica della sua presidenza ha tracciato tre linee guida: realizzare una governance efficace, certa e centralizzata, definire una strategia nazionale dell’innovazione e della ricerca di medio e lungo periodo, creare un fondo di Venture Capital dedicato alle biotecnologie. A che punto siamo?

Risposta. Stiamo osservando con grande attenzione l’accresciuto interesse e la sempre maggiore focalizzazione di questo Governo sui temi della ricerca e dell’innovazione nel campo soprattutto delle scienze della vita. Dopo un lungo periodo di miopia, frammentazione delle politiche per la ricerca e l’innovazione, indeterminatezza delle regole sui diritti di proprietà intellettuale, resistenze culturali all’imprenditorialità accademica sono state finalmente introdotte, negli ultimi anni, diverse misure positive a sostegno del settore. Mi riferisco in particolare al riconoscimento dello status di Pmi innovativa, al Credito di imposta stabile sulla ricerca e sviluppo, ma anche all’adozione di un regime opzionale di tassazione agevolata sui redditi generati da valorizzazione della proprietà intellettuale (patent box), così come al sostegno di un piano triennale per rilanciare il miglioramenti genetico in agricoltura all’interno dell’ultima legge di stabilità. Si tratta di misure concrete che insieme a un rinnovato e costruttivo dialogo con le istituzioni rappresentano certamente un’attenzione nuova e costruttiva per il settore.

D. Allora è una strada spianata?

R. Ci sono ancora diversi i punti critici che vanno affrontati per permettere al comparto di esprimere tutte le sue straordinarie potenzialità. Servono stabilità delle politiche, certezza delle regole, creazione di un ecosistema favorevole all’attrazione degli investimenti, così come va riconosciuto il continuum che esiste fra tutte le diverse fasi del percorso del prodotto biotecnologico innovativo: dalla ricerca di base a quella clinica, dall’attrazione dei capitali a quella dei siti produttivi biotecnologici, fino all’accesso al mercato ed alla valorizzazione dell’innovazione che si fa prodotto.

D. Il biotech appare sempre più legato al mondo della diagnostica e alla salute: sono poco più della metà delle imprese di biotecnologie in Italia (53%), con un fatturato di 7,1 miliardi di euro e investimenti in R&S pari a 1,4 miliardi di euro. Quali altri comparti potranno svilupparsi di più?

R. I dati dell’ultimo rapporto realizzato dal nostro Centro Studi Assobiotec in collaborazione con Enea, mostrano da una parte che dal punto di vista del fatturato e degli investimenti in R&S le red biotech restano oggi il motore trainante del comparto. Ma suggeriscono anche che l’Italia potrà giocare sempre più un ruolo di primo piano nel settore delle biotecnologie industriali nel medio e lungo periodo, sempre a patto che si verifichino le condizioni abilitanti, in parte comuni a quelle indicate per il settore della Salute. L’industria biobased italiana rappresenta già oggi il 24% delle imprese biotech attive a livello nazionale (vs il 53% delle red biotech). È costituita da aziende che utilizzano enzimi, prodotti da batteri, funghi e alghe in ambiti applicativi che vanno dalla riqualificazione di molti processi industriali, alla produzione di energia e di bioprodotti, fino ad arrivare alla diagnostica e bonifica ambientale, o al restauro e alla conservazione del patrimonio artistico. È già oggi una realtà affermata, in termini di competitività tecnologica, a livello mondiale nella produzione di biolubrificanti, pigmenti, solventi, detergenti, fitofarmaci, bioplastiche, fibre naturali e altri materiali che costituiscono una valida alternativa ai prodotti della petrolchimica tradizionale. Un settore chiaramente strategico per lo sviluppo del Paese.

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D. Le aziende italiane, a confronto di quelle straniere, come ne escono?

R. In Italia abbiamo una qualità assoluta nel settore della ricerca testimoniata dall’altissimo numero di pubblicazioni a livello internazionale. Ma se è vero che l’Italia pubblica bene dobbiamo anche riconoscere che brevetta poco e industrializza ancora meno. E avere una buona ricerca purtroppo non basta.

D. E che cosa si può fare per dare un maggiore sostegno?

R. Se vogliamo che l’Italia sia attrattiva a livello internazionale è necessario supportare la formazione di cluster e il trasferimento tecnologico, ma anche migliorare le agevolazioni fiscali. In quest’ottica la defiscalizzazione degli investimenti in R&S, di cui ultimamente sta parlando anche il ministro Per Carlo Padoan, sarebbe certamente un provvedimento molto ben visto dal settore, così come la riduzione delle imposte sull’exit dagli investimenti in piccole imprese innovative. E, ancora, una parziale defiscalizzazione degli investimenti in produzione biotecnologica, e non solo in ricerca, potrebbe essere un modo per attirare insediamenti industriali nel nostro Paese.

D. Quali aree geografiche nei prossimi anni potranno essere attirare investimenti?

R. Per la prima volta quest’anno il Rapporto Le imprese di Biotecnologie in Italia ha mappato, attraverso un’elaborazione dei dati Istat, i flussi di export delle imprese biotech. Partendo da questi numeri e grazie all’analisi di precedenti elaborazioni, è immaginabile che gli investimenti nei prossimi anni si concentreranno primariamente verso i mercati dell’Unione Europea, gli Usa e il Nord America in generale. Si confermano mercati importanti per l’export biotech italiano anche i Paesi dell’America Latina e in particolare il Brasile.

Laboratorio biotech
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