Aumentare la competitività della manifattura? Serve pragmatismo digitale!

di Piero Macrì ♦︎ Il modello as a service riduce la barriera d’ingresso agli investimenti: così è più semplice implementare soluzioni di Industrial IoT. Iveco: cobot, blockchain e realtà aumentata. Marelli: digitalizzazione “no cobot”. Parmalat: rivedere l’organizzazione. Ifm electronic: edge e piattaforme software. Schunk Intec: cobotica per la fabbrica digitale. Siemens: industrial edge e Ai. Balluff: logica open. Eplan: progettazione condivisa in cloud. Mitsubishi Electric: approccio incrementale alla fabbrica digitale. Keb Automation: partire dai processi. Se n’è parlato in ina round table promossa da Messe Frankfurt Italia

Il modello as a service, basato sull’uso e non sulla proprietà del bene, sia esso software o hardware, può diventare l’elemento di accelerazione della digitalizzazione poiché riduce la barriera d’ingresso agli investimenti. Il costo iniziale per sostenere l’implementazione di soluzioni Industrial Iot va gestito con più flessibilità, soprattutto in fase iniziale. Avviare un progetto di manutenzione predittiva? Molte aziende, soprattutto pmi, ma anche grandi aziende, si trovano in difficoltà poiché non trovano le risorse per finanziare il progetto nel breve periodo. Certo, ci sono gli incentivi fiscali ma va da sé che la formula tradizionale di vendita non è più coerente con le esigenze delle imprese che aspirano a diventare 4.0.

«Da parte nostra vediamo con grande interesse una proposizione as a service ma non tutti i fornitori la implementano, dice Stefano Faccio, head of machinery safety industry 4.0 & digital manufacturing operation di Marelli Automotive Lighting Italy. Sulla stessa lunghezza d’onda l’opinione di Iveco. «Esiste un grandissimo potenziale nell’offerta di tecnologie abilitanti la digitalizzazione, ma c’è di mezzo il ritorno dell’investimento, che per policy aziendale deve avere dei tempi molto stretti, a volte anche di soli 6 mesi», spiega Michele Abbondandolo, manufacturing engineering manager di Iveco. Accanto a questo esiste il tema della flessibilità. «Le soluzioni non sono mai uguali a sé stesse, si integrano con quanto è già installato. Devono perciò essere adattabili poiché non esiste una fabbrica digitale per definizione, osserva Daniele Ferrari, Ot manager engineering department di Parmalat. Le soluzioni vanno create in funzione degli obiettivi, che sono diversi per ciascuna singola azienda. Ricordiamoci che le tecnologie abilitanti non sono plug & play. Esiste un percorso complesso da affrontare. Si deve avere la possibilità di fare una prova sul campo, individuare lo use case più promettente, far evolvere il tutto in un proof of concept per poi essere industrializzato».







E’ questo il messaggio che arriva da end user del calibro di Parmalat, Marelli e Iveco, aziende che hanno partecipato alla round table promossa da Messe Frankfurt Italia in occasione delle presentazione di Sps Italia 2022 e incentrata sul tema “Produttività, efficienza e flessibilità. Il ruolo dell’automazione avanzata a supporto della competitività della manifattura italiana”. Insomma, da parte dei fornitori si deve comprendere che gli investimenti in trasformazione digitale vengono presi in considerazione se esistono le condizioni per avere ritorni economici in tempi rapidi. La risposta arriva da alcuni dei fornitori di tecnologia di automazione avanzata che hanno partecipato all’evento: Balluff Automation, ifm electronic, Eplan, Keb Automation, Schunk Intec, Siemens e Mitsubishi Electric.

Serve pragmatismo digitale

Stefano Faccio, head of machinery safety industry 4.0 & digital manufacturing operation di Marelli Automotive Lighting Italy

Automazione semplice o avanzata? «Il focus è sempre lo stesso: aumentare il rendimento dei processi, produrre nel minor tempo possibile con standard di qualità più elevati, osserva Ferrari. Tuttavia, con l’esponenziale aumento di nuove tecnologie, tanta è la scelta che si corre il rischio di investire in risorse e progetti che non hanno futuro». La causa? Secondo il manager di Parmalat, il problema sta in un eccesso di virtuosismo tecnologico. In altre parole, si dovrebbe porre più attenzione su una visione d’insieme ovvero sincronizzare e rendere armonici tutte le tecnologie che vengono messe in gioco nel disegno della fabbrica 4.0, dando ritmo a tutti i processi d’impresa. «Si scade spesso in una visione limitata, di tipo tattico e non strategico, tecnocentrica, che focalizza l’attenzione sul particolare. Per un’azienda come la nostra la missione continua ad essere sempre la stessa, produrre latte. Tutto quanto è tecnologia abilitante la digitalizzazione deve essere a supporto di questa attività», aggiunge Ferrari.

Insomma, il messaggio che arriva dagli end user è chiaro: stiamo attenti a non mettere il carro davanti ai buoi, a porre la tecnologia come driver dell’innovazione senza avere chiara la direzione strategica. Importante è avere la consapevolezza che per realizzare la fabbrica digitale servono data scientist, ma allo stesso tempo architetti e geometri. I primi per mettere a punto l’architettura d’impresa fondata sui dati; i secondi per realizzarla nel migliore dei modi, robusta e resistente, a prova di futuro. Come dice Abbadandolo, vale una regola generale: creare un mix di competenze per innovare con intelligenza, non solo artificiale, con esperienza e creatività coerenti con il business d’impresa.

 

Centralizzato verso distribuito

Michele Abbondandolo, manufacturing engineering manager di Iveco

On edge e in cloud. Dove e come deve avvenire l’elaborazione? Dipende. Non esiste un’unica risposta. Il tutto va considerato in funzione di quelli che sono i risultati che si vogliono ottenere. Più edge e meno cloud o più cloud e meno edge? «Sono infrastrutture complementari che possono essere utilizzate con un grado di intensità variabile a seconda della specifica natura elaborativa, afferma Faccio. Da un punto di vista di potenza di calcolo, l’edge deve supportare l’elaborazione di dati real time, che danno informazioni sull’operatività di fabbrica». Insomma, con la digitalizzazione si dà vita a un data center distribuito che consente elaborazione intensiva (edge a livello di produzione) ed estensiva (cloud a livello d’impresa). In questo scenario, come sottolineato dal manager di Marelli esiste un grande vantaggio. Sia edge che cloud sono infrastrutture incrementali e quindi flessibili. L’edge ha latenze molto basse, ovvero tempi di risposta che sono coerenti con l’operatività di fabbrica e va quindi privilegiato per gestire tutto il traffico dati e l’elaborazione che ha pertinenza con la produzione. «Per noi, dice comunque Ferrari, la questione è piuttosto semplice: tutto quello che è business critical rimane nell’edge, tutto quello che è add on alla produzione va nel cloud».

 

I progetti in Iveco: cobot, blockchain e realtà aumentata

Iveco S Way

Molte e diversificate le applicazioni che vengono adottate in Iveco. «Abbiamo una vista a 360 gradi che si traduce nel progetto factory for future. Esistono più aree di intervento. Dall’implementazione dei cobot nelle varie fabbriche e plant europei, nonostante uno dei problemi principali sia legato alla sicurezza. Ci stiamo riuscendo per qualche piccola applicazione ma abbiamo applicato dei sensori per rallentare la velocità di movimento. E poi blockchain utilizzata per la tracciabilità. Essendo un’azienda multisite è mandatorio creare sinergie e trovare soluzioni implementabili su scala industriale. Stiamo anche testando la realtà aumentata, ma il problema principale, se usata in produzione, è il fattore ergonomico. Per quanto riguarda quest’ultima tecnologia si devono fare ancora passi avanti. E’ per il momento utile nella formazione e in applicazioni di incoming material».

 

La digitalizzazione “no cobot” di Marelli

Marelli – Sistema di scarico per veicoli a motore

«Sensoristica, algoritmi di intelligenza artificiale per la predizione del guasto e controllo qualità. Sono tante le tecnologie disponibili ma non è per niente facile selezionarle, testarle e implementarle. Soprattutto tradurle in una soluzione industriale applicabile su più siti produttivi, dice Faccio. Non mi parlate però di cobot. Mi occupo di sicurezza delle macchine e sulla base della mia esperienza i nostri processi non sono gestibili con robotica collaborativa. In Marelli il cobot non è sostenibile né da un punto di vista economico né da un punto di vista dell’efficacia, in particolare per ragioni di sicurezza». Anche in Marelli vi sono soluzioni che utilizzano blockchain per tracciabilità componenti mentre la realtà aumentata viene utilizzata per l’assistenza da remoto. «Posso testimoniare che nel remote service l’AR è davvero efficace. Pensare di utilizzarla in produzione non è però al momento fattibile: ha costi elevati e si fa fatica a giustificarne il ritorno dell’investimento. L’abbiamo sperimentata e, spesso, il limite più grosso è di ordine ergonomico».

 

Parmalat, serve rivedere l’organizzazione

Parmalat produzione latte

«Lo sappiamo bene, digitalizzazione significa convergenza Ot e It, dice Ferrari. E’ indispensabile, ma non è né facile né scontato. Sono due mondi completamente diversi. Ciascuno fa il suo mestiere ed esiste un’ampia sovrapposizione di responsabilità. Spesso gli uni e gli altri non si fidano. Perché si possano ottenere dei risultati esiste la necessità di rivedere l’organizzazione di ruoli e competenze, che nel tempo dovrebbero poi dare vita anche a nuove figure che assimilano i due domini applicativi, di fabbrica e di gestione del dato. La digitalizzazione, l’abbiamo ormai compreso tutti, non è un’opzione. Serve a mantenere o scalare posizioni sul mercato. In poche parole, serve a rimanere vivi. Se bene studiate, implementate e ingegnerizzate permettono di aumentare gli standard qualitativi e di produttività. Per noi che viviamo in azienda dobbiamo dimostrare il vero vantaggio tecnologico. E per sostenere questo percorso è indispensabile avere una strategia aziendale di medio e lungo termine. Difficile, infatti, fare delle scelte corrette, se non si ha chiara la direzione in cui si vuole andare. Le tecnologie abilitanti le conosciamo. Ma il processo per implementarle con successo non è immediato. Si deve capire quali sono quelle davvero utili. Al momento ci stiamo concentrando più sulla parte OT, sulla qualità e selezione dei dati».

 

Ifm electronic: edge e piattaforme software

Interno magazzino ifm. Sono magazzini che nascono con un’idea precisa: realizzare ambienti ad alto livello di automazione. Il che vuol dire una sensorizzazione spinta che inizia orami a coinvolgere sistemi Agv e Amr che necessitano di evoluti sistemi di visione

In piena sintonia con quanto affermato dagli end user, il punto di vista di Carlo di Nicola, manager di ifm. «La tecnologia deve essere in sintonia con obiettivi di performance, qualità e disponibilità degli impianti il che vuol dire essere in grado di avere la tecnologia che possa offrire a oem ed end user una prospettiva end-to-end, espandibile e non limitata al particolare. Partendo dal basso, dal dato, che deve essere selezionato in funzione di precisi obiettivi di produttività, qualità e continuità operativa». Per ifm, la conoscenza di processo o del singolo macchinario va re-interpretata in logica digitale. Competenze Ot vanno integrate con quelle It. Il che presuppone la disponibilità di una infrastruttura edge a supporto dell’automazione dei flussi dati, dal field al cloud, il tutto intermediato da piattaforme software e intelligenza artificiale che devono produrre input per decisioni operative. «Guardare oltre il particolare per noi significa dare alle imprese tecnologie che servano a interconnettere fabbrica e impresa. Essenziale, quindi, vedere il potenziale tecnologico oltre il perimetro dello shop floor, applicato e associato alle applicazioni di supply chain aziendale. La tecnologia a supporto della digitalizzazione, la vediamo come una cassetta per gli attrezzi: prendo quello che mi serve per ottenere dei benefici con un ritorno di investimento in tempi molto brevi altrimenti il rischio è che la tecnologia rimanga sempre allo stadio di progetto pilota senza evolvere a vera risorsa produttiva».

 

La cobotica Schunk Intec per la fabbrica digitale

Adatta a molte operazioni: la pinza universale SCHUNK JGP-P è affidabile per il carico e lo scarico a tempo ciclo ottimizzato di macchine utensili, lavori di assemblaggio e attività di Pick & Place

Robotica collaborativa ovvero robot e operatore nella stessa area di lavoro. «L’applicabilità di questa tecnologia non è senza ostacoli, ma guadagna di anno in anno nuovi spazi all’interno della fabbrica, liberando risorse da compiti ripetitivi e gravosi, dice Andrea Lolli, sales manager sistemi di presa Schunk Intec Italia. Tra il 15 e 20% dei cobot venduti in Italia è dedicato al carico scarico di macchine utensili. Ma si estende a soluzioni dedicate per l’intero ciclo di attrezzaggio della macchina. Se guardiamo alla variabilità della produzione, che interessa ormai molta parte delle aziende che lavorano per lotti sempre più diversificati, e la necessità di riattrezzare il singolo centro di lavoro con maggiore frequenza e rapidità per la lavorazione successiva, il cobot diventa l’assistente di fabbrica ideale riducendo, se non eliminando, tutta una serie di operazioni che vengono svolte manualmente, che richiedono impegno fisico ed espongono gli operatori a potenziali rischi. I cobot possono essere anche inseriti in attività di post produzione, come per esempio quelle di finiture superficiali, che possono comportare l’utilizzo di tool spesso affilati. In buona sostanza, con i cobot si realizza più automazione, meno impegno fisico e postazioni di lavoro allineate al nuovo modo di produrre, dove personalizzazione fa rima con low volume production».

 

L’intelligenza artificiale di Siemens

Industrial Edge, la soluzione Siemens che porta l’IT nell’ambiente di produzione. Si tratta di una soluzione di digitalizzazione che aggiunge l’elaborazione dati (mondo IT) a livello di macchina ai dispositivi di automazione (mondo OT), portando in modo sicuro la potenza, la flessibilità e l’intelligenza dell’Edge Computing, e quindi un’analitica sofisticata, al livello di produzione

Sistemi di visione per controllo qualità, manutenzione predittiva, efficienza energetica. L’edge computing, corroborato da algoritmi di intelligenza artificiale e in combinazione con il cloud, entra di prepotenza nella dimensione di fabbrica, permettendo di definire un ambiente ad alta digitalizzazione in grado di acquisire dati sul campo, processarli a un primo livello, di macchina o di prossimità, e interagire con il cloud per l’elaborazione big data. «L’Industrial Edge di Siemens permette una vera e propria orchestrazione di tutte le componenti che concorrono all’elaborazione dei dati per tutte quelle esigenze operative che richiedono bassa latenza e tempi di risposta veloci», afferma Cristian Sartori, product management team leader automation di Siemens. I dati dove servono, dunque, direttamente in ambiente di produzione, con applicazioni e intelligenza per favorire lo sviluppo di soluzioni a bordo macchina. L’intelligenza artificiale di Siemens è l’elemento che introduce il livello più estremo dell’automazione, ovvero la possibilità di portare in produzione algoritmi che consentono un’autonomia decisionale senza l’aiuto dell’intervento umano. In ambito di manutenzione predittiva, per esempio, algoritmi basati su logica di reti neurali consentono ai manutentori di avere una diagnostica dettagliata consentendo di intervenire nel momento più opportuno per evitare malfunzionamenti e fermi di produzione.

 

Balluff, flessibilità innanzitutto

Bcm per il condition monitoring di Balluff

«La flessibilità è la chiave di volta per il successo della fabbrica digitale. Si devono ormai proporre soluzioni che possano essere implementate a seconda delle esigenze, anche in modo incrementale in funzione del percorso di trasformazione che l’impresa sceglie di intraprendere. Fabbrica 4.0 è un enorme puzzle e ogni singolo tassello può essere parte del tutto se aderisce a uno standard industriale. Occorre sempre pensare in logica open. In era di digitalizzazione industriale dove l’interconnessione è tutto la tecnologia proprietaria è improponibile», E’ quanto afferma Fabio Rosso, technical support and solutions di Balluff, l’azienda che si propone come partner strategico nell’ambito delle soluzioni sensoristiche in ogni settore dell’automazione. Partire con progetti piccoli ma pensare in grande, dunque. Acquisendo sin da subito vantaggi concreti, senza correre il rischio di non raccogliere il ritorno dell’investimento. «La nostra esperienza ci insegna che il percorso verso una smart factory è fatto di tanti piccoli passi. La si costruisce tassello per tassello in base a esigenze produttive ma non è un progetto che ha un inizio e una fine, è un’attività continua il cui obiettivo è raggiungere nuovi livelli di efficienza, qualità, flessibilità e trasparenza dei processi».

 

Eplan, progettazione condivisa in cloud

Il software Eplan 2022

Progettazione elettrotecnica di macchine utensili, centri di lavoro, impianti e linee di produzione. Velocità e precisione esecutiva del progetto dipendono sempre più dalla disponibilità di processi strutturati, integrati, collaborativi, accessibili in cloud. È questo il motivo che ha spinto Eplan, società del Friedhelm Loh Group, di cui fa parte anche Rittal, ad estendere l’utilizzo in cloud della propria piattaforma di progettazione. «La progettazione è diventata integrata. Ogni fase è parte di un processo produttivo. Digitalizzazione è interconnessione. Qualunque software o componente è parte di un tutto. Il dato di progettazione è lo stesso che mi ritrovo in fase produttiva e manutentitva, spiega Giovanni Di Pumpo, direttore commerciale Rittal – Eplan software & service. Una logica che contribuisce a una maggiore qualità del prodotto andando ad eliminare tutta la ridondanza di informazioni che è stato finora il vero limite della progettazione. Il cloud è il tessuto connettivo della nuova progettazione. E’ la modalità che consente di mettere in condivisione un patrimonio dati tra tutti gli stakeholder della supply chain. La strada è ormai segnata, si va verso un modello as a service».

 

Mitsubishi electric, l’approccio incrementale alla fabbrica digitale

Il cobot Melfa Assistita di Mitsubishi Electric

«L’approccio all’automazione avanzata deve essere incrementale, afferma Giovanni Mandelli, automation solution manager factory automation division di Mitsubishi Electric Europe. Partire in piccolo ma pensare in grande con step intermedi che consentano di avere un controllo sul ritorno dell’investimento». La multinazionale giapponese propone un approccio consulenziale ai suoi clienti, e tendenzialmente lavora con un metodo che permette di implementare nuovi progetti step by step, avanzando a mano a mano che le parti già realizzate hanno dimostrato il loro “valore”, soprattutto in termini di Roi. «E’ un modello cui si richiamano tutte le nostre soluzioni di automazione avanzata sempre più smart grazie all’introduzione dell’AI che per Mitsubishi fa riferimento al brand Maisart. Soluzioni Ai possono essere applicate in qualsiasi ambito. Nella robotica collaborativa, ad esempio, per modificare dinamicamente il movimento in funzione delle attività che si devono eseguire in collaborazione con l’operatore, garantendo al tempo stesso un mantenimento della performance di produzione e la sicurezza sul lavoro. Particolare attenzione in questo momento sull’area energy saving con soluzioni in grado di estrapolare dei dati dall’ambiente di produzione per mettere in atto delle azioni che consentano di ridurre i consumi energetici».

 

Keb Automation, partire dai processi

L’ecosistema di Keb

Nella visione di Keb Automation il vero “nirvana” dell’Industria 4.0 è l’impresa connessa vale a dire l’integrazione della conoscenza in tutto l’ecosistema d’impresa, nella sua dimensione di fabbrica e di business, che coinvolge tutti i suoi stakeholder: dipendenti, clienti, partner e fornitori. «L’errore che spesso si commette quando si propone alle imprese un percorso di digitalizzazione è mettere in primo piano la tecnologia, quando invece è importante parlare di processi, afferma Marino Crippa, direttore marketing e vendite di Keb Automation, player tedesco dell’automazione. Secondo il manager il peccato originale dei progetti di digitalizzazione è mettere il carro davanti ai buoi. «L’approccio “technology first” impedisce di ottenere tangibili ritorni di investimento. Il rischio è avere delle bellissime macchine IoT ready che non riescono a creare efficienza di processo». E’ da questi presupposti che Keb ha sviluppato la piattaforma Noa (Network of Automation). L’obiettivo è orchestrare i diversi processi aziendali e diffondere la conoscenza trasversalmente a tutti i soggetti della value chain. La piattaforma è concepita per abilitare servizi di intelligence, on premise e in cloud: per la gestione remota, per il miglioramento delle performance, della produttività e della qualità di prodotto, sfruttando il nuovo paradigma dell’intelligenza artificiale e del machine learning.














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