Andrea Pezzi: ecco come l’intelligenza artificiale rivoluziona advertising ed editoria online

di Filippo Astone ♦ Insieme all’ex conduttore televisivo diventato imprenditore nelle tecnologie MarTech (Gagoo, My Intelligence e The Outplay) raccontiamo la digital transformation delle aziende editoriali e pubblicitarie. Perché oggi il maggior valore economico sta nelle mani di chi controlla i dati

Poter riconoscere i navigatori Internet per offrire loro pubblicità online personalizzata e a target, monitorando le loro reazioni e costruendo sistemi di AI (artificial intelligence) immediatamente interattivi e strettamente legati ai risultati. E’ questo il cuore del progetto delle società del gruppo Gagoo, creato dall’ex autore e conduttore televisivo Andrea Pezzi, che dieci anni fa ha deciso di dedicarsi al mondo del digital. Soci di Pezzi (che ha l’80%) in Gagoo sono il finanziere Davide Serra (10%) famoso per il suo fondo Algebris; il manager e co-founder Carlo De Matteo (8%) e l’attrice Cristiana Capotondi (2%).







 

gagoo_logo

 

 

Recentemente, The Outplay ha emesso un minibond, che è stato interamente sottoscritto dal Fondo Strategico Trentino – Alto Adige, gestito da Finint Investments SGR (ne parliamo diffusamente  qui ). Il business del gruppo Gagoo, che ha un giro d’affari di venti  milioni di euro, è in crescita e potrebbe cambiare il volto di pubblicità ed editoria in Italia, ma non solo. Nel nostro Paese la pubblicità online è per il 70% in mano a Google e Facebook ma il restante 30% è degli editori tradizionali come Corriere, Repubblica, Sole 24 Ore etc. Ed è soprattutto a questo mondo, quello del traditional media, che TheOutplay e Myntelligence si rivolgono.

Al cuore di Myntelligence (seconda nata dopo TheOutplay tra le controllate di Gagoo) c’è la capacità di riconoscere gli utenti in base a parametri pubblici, che non violano la privacy. «Noi guardiamo a 24 parametri dei device (tutti pubblici come ad esempio la risoluzione dello schermo, il numero dei fonts, il sistema operativo, la versione del browser e quant’altro) e osservandoli durante la navigazione sul web, riconosciamo se il device è lo stesso anche quando l’utente cancella i cookies», spiega Pezzi a Industria Italiana. Per quanto riguarda i numeri, il gruppo proietta sul 2018 un fatturato di 16 mio di euro con una crescita attesa, rispetto al 2017, del 50% e un Ebitda che resterà stabile al 30%.

 

Andrea Pezzi
Andrea Pezzi, fondatore Gagoo

 

«In buona sostanza, con Myntelligence abbiamo creato un sistema di riconoscimento statistico e privacy-safe che consente di identificare in modo univoco ma anonimo i device e a questi attribuire dati statistici relativi agli utenti che li utilizzano come il genere, l’età e le preferenze di consumo. A quel punto, unendo questo dato con la ricchezza dei dati raccolti nel CRM ( customer relationship managementndr.) dell’azienda inserzionista, si ottiene di erogare pubblicità intelligente e ben profilata». Addio quindi pubblicità invasive e fuori contesto, inclusi i fastidiosi  banner che ci inseguono per settimane solo perché abbiamo visitato ad esempio un sito di prenotazioni on line.

Pubblicità che sono totalmente inutili, fanno spendere soldi all’inserzionista e tediano l’utente web. «E’ proprio così, ma la nostra proposta di valore è molto più ampia». La racconteremo nelle prossime righe. Ma prima una domanda basilare : a chi vi rivolgete? «Alle aziende in modo diretto.- dice Pezzi-  Ma anche agli editori online e ai Centri Media. Il principio, molto semplice, è: quanti più dati hai, più guadagni e meno spendi. E questo vale per tutti gli attori del comparto». Detto così, sembrerebbe semplice. In realtà, l’innovazione che le aziende di Gagoo vorrebbero introdurre è tanto più complessa quanto dirompente. Raccontare attraverso le risposte di Pezzi a Industria Italiana come ci si è arrivati non è solo esporre la storia di un gruppo di imprese on line, significa dare luce anche ad un mondo, quello digitale, che sta rivoluzionando pubblicità, editoria e contenuti.

 

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Come funziona il MarTech

 

D.   TheOutplay. In che cosa consiste esattamente la vostra prima nata?

R. Anche TheOutplay è una piattaforma di MarTech (Marketing Technology) e ha come scopo quello di aiutare gli editori a generare più valore per i propri utenti dai contenuti video delle proprie pagine e contestualmente offrire ai brand che vogliono fare pubblicità video una soluzione di grande trasparenza e capace di fornire dati sull’andamento delle campagne in tempo reale. L’advertiser, infatti, attraverso TheOutplay, può investire i suoi soldi scegliendo a quali contenuti associare la propria pubblicità e raggiungendo tutti i publishers che vuole avendo il totale controllo della spesa perché eroga la propria pubblicità attraverso una tecnologia indipendente e terza rispetto a quella dei publishers.

In altre parole, chi investe i suoi soldi su TheOutplay non solo evita che la propria pubblicità finisca su contenuti non appropriati, come è accaduto di recente su YouTube ad una importante banca internazionale, ma ha anche la certezza di non subire le frodi che spesso accadono su internet. MarTech infatti vuole anche dire semplicità e trasparenza e l’azienda che usa TheOutplay come partner tecnologico ha la stessa esperienza di acquisto che già offrono Facebook e Youtube ma con risultati di performance migliori e in contesti editoriali premium. Di questa tecnologia si possono avvalere anche i Centri Media che hanno a cuore la politica di trasparenza e la brandsafety dei propri clienti.

 

 

theoutplay_logo

 

D. TheOutplay ha una particolare specializzazione nei video…

R. Si, TheOutplay è una piattaforma esclusivamente volta al mondo del Video Advertising online. La visione è di costruire una struttura orizzontale che prenda ad ombrello tutti i Publishers, renda liquido il contenuto – in questo caso i contenuti video – e consenta all’advertiser che investe su questa piattaforma di raggiungere tutti i publisher in modo indifferenziato, controllare il contenuto video associato al proprio spot e avere informazioni in tempo reale sulla sua spesa pubblicitaria.

 

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DSP, ( Demand Side Platform ) letteralmente “piattaforma lato domanda”, è un software utilizzato da aziende o centri media – gli attori “lato domanda” della compravendita di uno spazio pubblicitario – per acquistare spazi pubblicitari in Programmatic  Advertising

SSP, (Supply Side Platform)   letteralmente “piattaforma lato vendita, a differenza della DSP, utilizzata dagli inserzionisti per acquistare pubblicità,  è un software utilizzato dagli editori per vendere il proprio inventario di spazi pubblicitari

EXCHANGE è una piattaforma tecnologica che facilita l’acquisto e la vendita di spazi pubblicitari attraverso networks pubblicitari .

DMP, ( Data Management Platform)  letteralmente “piattaforma di gestione dei dati”, è un sistema tecnologico che serve a raccogliere, ordinare e utilizzare dati, utile agli investitori pubblicitari e agli editori per migliorare l’acquisto o la vendita di spazi pubblicitari online .

OTT  ( Over The Top) , ovvero le imprese che forniscono, attraverso la rete Internet, servizi, contenuti (soprattutto video) e applicazioni di tipo “rich media” .

PAID MEDIA ovvero i siti web pubblicati dai tradizionali giornali cartacei

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D. MarTech, AdTech, tutti acronimi nuovi. Di che cosa stiamo parlando?

R. Bisogna, per comprendere meglio la natura delle MarTech come le nostre, fare un passo indietro. Da una diecina d’anni a questa parte il modus operandi nel mercato pubblicitario lo ha determinato la visione dell’ AdTech (Advertising Technology). L’approccio dell’AdTech consiste nella creazione degli anelli di una catena – che è quella del mercato della pubblicità evidentemente – interdipendenti l’uno dall’altro: c’è chi fa la DSP, chi l’SSP, chi l’Exchange; chi fa la DMP. Dunque, sono tutte aziende che hanno bisogno di altri anelli, di altre aziende omologhe per soddisfare l’intero bisogno del mercato: chi vuole investire in pubblicità passa attraverso 4 o 5 anelli/aziende di AdTech e ciascuna è pensata e sviluppata per essere operata da tecnici (Ad Operations) rendendo la materia indecifrabile anche ai marketers più digitali.

D. Oggi l’advertising digitale sta cambiando, orientandosi al MarTech…

R. E’ così. Le aziende di MarTech offrono soluzioni tecnologiche per le quali chiunque investa soldi in pubblicità, ha una piattaforma che gli consente di operare in totale autonomia e senza intermediari: l’obiettivo è dare trasparenza al mercato con soluzioni semplici e di immediato utilizzo. Quando un’azienda vuole investire in pubblicità, tipicamente lo fa su Facebook, lo fa su Youtube e sul cosiddetto paid media. L’esperienza di acquisto di un’azienda quando compra pubblicità su Facebook o Youtube è bella nel senso che le piattaforme – AdWords per Google e/o Youtube e Insight per Facebook – sono semplici, intuitive e consentono di monitorare in tempo reale quello che succede ai propri soldi, quindi chi acquista vede le performance, vede come stanno andando le proprie campagne, cosa sta comprando.

 

 

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L’ecosistema del Digital Ad

 

Lo scenario cambia quando, invece, si decide di investire su uno o più paid media. Quel che accade è che il cliente investe i soldi, il/i Publisher cominciano ad erogare la pubblicità, poi ogni concessionaria fa la sua reportistica personale. Risultato: per vedere la reportistica relativa all’investimento pubblicitario effettuato bisogna attendere un mese, un mese e mezzo dopo l’avvio della campagna. Per di più quei dati – descritti su un foglio excel, con dei numeri fermi immobili non in tempo reale – sono fuori tempo rispetto all’andamento quotidiano.

Le OTT, grazie ad Insight e Adwords, hanno fatto capire alle aziende che investire su di esse ha un’agilità, un’efficacia remunerativa e una trasparenza del tutto inedita. E che, al contrario, l’investimento sul media tradizionale proposto dai publisher può trasformarsi in un vero inferno. Certo – e lo spiegherò a breve – anche le OTT segregano quote di utile dal budget pubblicitario che le aziende potrebbero o risparmiare o addirittura recuperare. E qui entra in gioco TheOutplay. Ma ci arriveremo. Ora vorrei fare un altro passo indietro.

 

 

Rappresentazione dell’ Intelligenza Artificiale

D. Ci vuole parlare di che cosa è successo quando il digitale è arrivato nella produzione dei contenuti?

R. Il digitale è come una radiazione che libera il contenuto dal supporto fisico che fino a ieri era necessario per la sua fruizione. Pensiamo a Napster: è la prima grande azienda digitale a distruggere un vecchio modello di impresa. Napster dice all’industria discografica: «Guarda che il contenitore, disco o cd, non mi serve più. Mi serve il contenuto, cioè il file musicale» Napster – come Google oggi – era un sito bianco con, al centro, una search: scrivevi U2 e Napster ti dava tutte le loro canzoni. Da qui la rivoluzione nel mercato musicale. Dopo è arrivato iTunes ed Apple ha messo iTunes nei cellulari.

La stessa cosa ha fatto Google con gli editori. In inglese per indicare un giornale si dice newspaper mi piace molto la parola composta perché dà l’idea proprio di contenuto (news, notizia) e contenitore (paper, carta). Google ha gettato via la carta sostituendolo con il sito internet. Sito è sinonimo di luogo, ma questo luogo internet non è costituito da spazi fisici, ma da connessioni. Eppure, ancora oggi se si chiede a una concessionaria digitale che cosa venda risponderà «spazi pubblicitari» e infatti ancor oggi lo strumento è il “banner”, riedizione delle manchette dei giornali cartacei: prima si misuravamo i centimetri quadrati sulla carta oggi quei centimetri sono diventati pixel.

 

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’Avere il dato ti consente di costruire piattaforme intelligenti e non solo di governare la data economy ma anche, attraverso algoritmi di machine learning, elaborare sistemi sempre più intelligenti‚

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D. Questo concetto si scontra però contro la forza del modello di Google…

R. Infatti. Google invece dice, «Sai che c’è? Io mi prendo le news non il paper, mi prendo solo le news e divento la piattaforma delle parole degli altri». Facciamo un esempio: un utente cerca la parola computer e Lenovo vuole parlarti, Lenovo vuole essere connesso, vuole parlare con quell’utente, e con tutti quelli che abbiano una simile esigenza. Cosa vende Google? Uno spazio pubblicitario? No, vende una connessione perché internet è fatto di connessioni. Questa è la prima grande rivoluzione digitale. Ma le rivoluzioni digitali nella vendita di contenuti non finiscono qui. C’è anche la sharing economy…

 

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L’inaugurazione della sede di Banca Finint a Conegliano.Finint Investments SGR ha interamente sottoscritto il minbond per The Outplay
R. Che cosa c’entra la sharing economy di Uber e Airbnb con i contenuti informativi?

R. La sharing economy è basata sul concetto di piattaforma, che va molto più in là di Uber e compagnia bella. Google è la piattaforma delle parole degli altri allo stesso modo in cui Airbnb è la piattaforma delle case degli altri, Uber delle auto degli altri, Alibaba degli store degli altri, Facebook delle opinioni degli altri. Infatti Facebook non ha mai scritto un articolo, Instagram non ha mai scattato o postato una foto sua e così via.

D. Faccio una sintesi: il modello, per cui questi attori hanno preso possesso del mercato è – data la liquidità del contenuto – il fatto che il valore non risiede più nel bene fisico, ma nella piattaforma. Un cambiamento enorme….

R. Certo. E se hai la piattaforma gestisci i dati. Siamo nella Data Economy. Gestire i dati significa elaborare delle informazioni che puoi – forse paradossalmente – rivendere agli stessi advertiser che ti hanno consentito di generare il dato. Google in realtà non è padrone dei dati ma quando un Brand investe in pubblicità su Google ricompra i dati che lo stesso Brand ha generato grazie alla pubblicità precedente.

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’Il digitale è come una radiazione che libera il contenuto dal supporto fisico che fino a ieri era necessario per la sua fruizione‚

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D. L’enorme paradosso del mercato è dunque che la piattaforma pur non essendo padrona dei dati è quella che ci guadagna….

R. E qui arriviamo al successivo e ultimo passaggio del ragionamento: avere il dato ti consente di costruire piattaforme intelligenti e non solo di governare la data economy ma anche, attraverso algoritmi di machine learning, elaborare sistemi sempre più intelligenti e di fatto aprire al quarto grande pilastro della rivoluzione digitale, quello dell’Artificial Intelligence.
Il nostro gruppo è giunto al punto della terza fase, quella del dato. Ora stiamo cercando di mettere la testa e il nostro denaro nello sviluppo di Artificial Intelligence applicata all’advertising digitale.

Questo senza essere Google e Facebook perché è evidente che loro questi sistemi li stanno sviluppando e sono molto bravi a farlo. Però c’è tutto il resto del mondo che vale il 30% del mercato ed è quello rappresentato dai Publisher, i quali sono completamente sprovvisti della visione necessaria e soprattutto dei capitali per fare ciascuno per sé dotandosi di un proprio sistema intelligente. Ecco che la creazione di una piattaforma orizzontale destinata agli advertisers e contemporaneamente ai publishers diventa davvero molto interessante e noi già lo stiamo facendo da due anni.

 

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Rappresentazione dell’ Intelligenza Artificiale

 

D. Forse a questo punto sarebbe utile fotografare il mercato di riferimento, per far capire bene come vi si collocheranno le sue aziende…

R. Attualmente abbiamo un mercato suddiviso in due porzioni: il 70% va a Google e Facebook, questo nella pubblicità overall, non parlo solo di video; il 30% è il cosiddetto paid media. Ora per andare ad insinuarsi dentro quel 30%, le OTT che cosa hanno fatto? Hanno inventato l’idea dei dati basata sui cookies e hanno fatto cartello. Facebook e Google gestiscono la maggior parte dei cookies che vanno a comporre i cosiddetti third party data (dati di terza parte) che, grazie all’alleanza con le maggiori DMP sul mercato (Adobe, Oracle etc…), assottigliano ulteriormente quel già risicato 30% su cui i publishers si scornano. Questi dati infatti sono sempre di Google e Facebook che sono i detentori della maggior parte del traffico on line, questi dati sempre basati sui cookies, vengono messi a disposizione del mercato tramite le DMP.

Ogni azienda ha iniziato a costruire la propria DMP, però la DMP è come una cassettiera che occorre riempire di cookies. Un cookie dura una, due, massimo tre settimane. Nessuno fa mistero di questa caducità perché la lunghezza di una campagna in media è di due settimane. Quindi, per ogni campagna occorre comprare cookie freschi e la DMP – alla fine della fiera – serve solo come appoggio per l’acquisto di cookie di terza parte. Tradotto: fatto cento il budget per i media, visto che Google e Facebook hanno già interno il loro sistema di dati, quando si va a investire su un paid media una parte dei soldi, tramite la DMP, va ai dati e una parte va all’impression (numero di volte che una pagina web o un banner viene visualizzato dagli utenti internet).

Si dice che nel 2017 la componente dati sia arrivata al 35% e che nel 2018 arriverà al 45%. Ma concentriamoci ora sul quel già risicato budget pubblicitario allocato sul paid media, quel 30% di cui prima. In realtà questo percentile si dimezza al 15% perché l’altra metà se lo riprendono le OTT attraverso la “complicità” delle DMP. Così i grandi erodono ancora una volta il mondo dei Publisher.

 

 

myntelligence_logo

 

D. Insomma: gli editori tradizionali sbarcati su Internet devono poter competere armati di dati di loro proprietà.

R. Si, anche se i dati che i publishers hanno sono davvero poca cosa. Le aziende inserzioniste invece che, grazie al loro CRM, hanno tantissimi dati sui propri clienti, con Myntelligence posso fare una vera e propria digital transformation. L’uso di dati di proprietà definisce l’idea di Myntelligence: è a partire dall’intelligenza dei nostri clienti che li aiutiamo a riprendere in mano il loro stesso mercato. Anche tenendo conto delle ultime normative UE sulla privacy infatti, la strada obbligata non passa dai cookies.

Con la nostra tecnologia cookie-less (senza cookie) emancipiamo le aziende dalla schiavitù delle OTT. Nella nostra visione la DMP è come un ponte costruito su due montagne, da un lato hai i dati del tuo CRM (le tue mail, gli SMS dei tuoi clienti etc.) ovvero un mondo che non dialoga con la vita reale dei clienti, dall’altra parte la vita on line degli stessi. Grazie a Myntelligence queste due realtà iniziano finalmente a dialogare tra di loro, non solo aumentando la conoscenza che ogni azienda ha dei propri clienti, ma rendendo possibile l’attivazione di questa conoscenza in tempo reale mentre il cliente sta navigando on line. In sintesi, la missione di Gagoo con entrambe le sue aziende è quella di aiutare davvero in modo concreto le aziende che vogliono giocare da padrone la partita del digitale. Lo facciamo con i publisher e le brands grazie a TheOutplay e con gli inserzionisti ricchi di dati come ad esempio le telco, le banche o le assicurazioni, grazie a Myntelligence.

 

Rappresentazione dell’ Intelligenza Artificiale

 

D. Che cosa succede alle DMP dei brand vostri clienti?

R. La DMP grazie a noi diventa un sistema attraverso cui il mondo reale – quello abitato e agito dal cliente – dialoga con l’azienda in continuo. Faccio sempre un esempio, io sono sempre stato correntista della Banca Popolare di Vicenza, e la bellezza del mio rapporto con quella banca al tempo, oggi un po’ meno, passava da una grandissima direttrice molto gentile, intelligente. Il nostro rapporto era bellissimo, la chiamavo, mi rispondeva e se ci vedevamo al bar per caso ci offrivamo un caffè, e ci conoscevamo come persone. Riportiamo questo al mondo delle pubblicità online, quando si va su una banca online la banca ti riconosce perché sei loggato, al contrario quando ti deve parlare con la sua pubblicità sul Corriere della Sera, per esempio, non ti riconosce. E’ come se la mia direttrice mi riconoscesse in banca ma fuori di lì nemmeno mi salutasse.

L’azienda con Myntelligence potrà finalmente seguire le regole della cosiddetta customer journey: se l’azienda è una banca e sa che il cliente ha l’interesse di acquistare una casa, gli potrà offrire una pubblicità per accendere un mutuo. Invece oggi accade la cosa più assurda, ovvero che la mia banca mi offre di aprire un conto corrente anche quando l’ho già aperto perché non mi riconosce, non sa con chi sta parlando. La storia del legame cliente-azienda è un punto rilevante. Non è più un cammino lineare, ma è disseminato da interruzioni e deviazioni rappresentate dai cosiddetti touch-points, cioè elementi di contatto tra azienda e cliente potenziale, presenti in ogni fase del processo decisionale. Quindi diventa cruciale non solo la data ownership ma anche la data longevity, ovvero la capacità di gestire uno stesso dato per tanto tempo e conoscere quindi l’esperienza che il cliente ha, giorno dopo giorno, con l’azienda.

Lavorare con questi dati significa tecnicamente che, ogni volta che incontri un tuo cliente, puoi dargli il messaggio giusto o, semmai non parlargli affatto, se lo hai già incrociato e informato a sufficienza. Invece oggi quando parliamo di dati, quelli dei cookies, la possibilità di vedersi ri-proporre enne volte la medesima informazione/prodotto/servizio è la regola: finché non scade il cookie l’utente si vedrà riproporre l’hotel, il viaggio, il vestito che ha già acquistato. Alla fine tutto il mondo da sempre funziona con la solita vecchia regola del marketing: puoi far crescere la tua azienda soltanto conoscendo i tuoi clienti.

 

 

Mastercard
Mastercard è uno dei maggiori clienti di Myntelligence
D. Ma i centri media non sono vostri concorrenti?

R. No, noi siamo partner dei centri media, soprattutto quelli che si sono resi conto che è la trasparenza la strada necessaria. Del resto stanno arrivando in questo mercato colossi come Accenture, che propongono alle aziende pacchetti di “marketing-as-a-service” (entrano nell’azienda, acquisiscono l’intero budget di marketing e lo gestiscono), facendo di fatto concorrenza ai centri media. Quindi i centri media che vogliono rimanere competitivi hanno interesse ad avvalersi di tecnologie come la nostra. Fortunatamente alcuni centri media si stanno ponendo nel mercato con un approccio costruttivo e cercando di creare valore. I nostri interlocutori in questo settore sono infatti molto proattivi e interessati veramente ad entrare in una relazione che serva al cliente.

D. Chi è il vostro cliente maggiore per Myntelligence?

R. MasterCard. Usa i nostri servizi per erogare servizi a valore aggiunto per le banche loro clienti in tutta Europa.














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