Il micro-minibond di The Outplay/Finint: un esempio interessante (e da imitare) per molti altri

di Laura Magna ♦ Un forte legame con il territorio e un solido piano industriale. Sono queste le caratteristiche di un minibond fuori dal comune, come quello emesso da Finint per la società dell’ ex Vj Andrea Pezzi allo scopo di sviluppare le applicazioni A.I.,  per le Pmi una valida alternativa al tradizionale canale bancario di finanziamento

Un minibond che abbatte tutti i luoghi comuni sui minibond. Come quello secondo cui queste emissioni per essere sottoscritte debbano avere una dimensione minima di 5 milioni; o quello che individua negli emittenti con un fatturato di almeno 20 milioni i soggetti più adatti per incontrare la domanda di mercato. Stiamo parlando della recente obbligazione emessa da TheOutplay, la piattaforma di Marketing Technology del gruppo Gagoo, fondato dall’ex autore e conduttore televisivo Andrea Pezzi (ne parliamo diffusamente  qui ). Un minibond che nonostante non risponda a nessuno dei canoni “classici” ha funzionato per diverse ragioni tra cui un piano industriale solido e trasparente e un legame forte con il territorio.

The Outplay opera nel digitale ed è, in estrema sintesi, una piattaforma che aiuta gli editori a generare più valore per i propri utenti dai contenuti video delle proprie pagine e contestualmente offre ai brand una soluzione trasparente e capace di fornire dati sull’andamento delle campagne in tempo reale. Lo fa servendosi dell’Intelligenza Artificiale: proprio per sviluppare l’AI in una sede nuova a Trento, il management ha scelto di raccogliere risorse attraverso l’emissione di debito. Si tratta, nello specifico, di un titolo da 2 milioni, strutturato da Banca Finint in due tranche da 1 milione di euro ciascuna ( la prima delle quali emessa lo scorso settembre), con una durata di 5 anni (scadenza 30 settembre 2022) e rimborso amortising a partire da marzo 2019.







Il legame con il territorio di Trento

Il minibond è stato interamente sottoscritto dal Fondo Strategico Trentino – Alto Adige, gestito da Finint Investments SGR , che ha come obiettivo lo sviluppo del tessuto socio-economico delle Province di Trento e Bolzano da ottenere anche attraverso l’insediamento di nuove imprese nell’ ambito regionale. Dal punto di vista industriale, il legame con il territorio è rappresentato dal fatto che i proventi derivanti da questa emissione consentiranno di aprire una sede operativa a Trento, che attraverso  la presenza di un centro di ricerca universitario di eccellenza, la vicinanza al Polo della Meccatronica di Rovereto e la possibilità di ampliare le applicazioni dei propri servizi nel settore turistico (ad oggi  Trentino Marketing  risulta cliente di The Outplay per la produzione e distribuzione internazionale di video), favorirà la crescita tecnologica e infrastrutturale dell’azienda.

 

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Andrea Pezzi, fondatore Gagoo

 

Ed è lo stesso Andrea Pezzi a spiegare come: «Ci siamo appassionati all’ipotesi del bond e all’aspetto territoriale da cui il bond emerge: l’eccellenza di Trento. La città ospita un’università molto buona, qui agisce la Fondazione Kessler (l’ente di ricerca della Provincia autonoma di Trento che opera nel campo scientifico tecnologico e delle scienze umane ndr.), qui sono attivi centri ricerche e aziende che operano nel machine learning e nell’AI molto importanti. Stiamo trasferendo tutte le nostre attività a Trento con l’obiettivo di creare un hub – anche grazie all’aiuto di operazioni come questo bond – in cui la nostra piattaforma The Outplay – e poi magari un giorno anche le altre, come MYntelligence (altra controllata del gruppo Gagoo, ndr) – possano incontrarsi con altre competenze sul territorio per diventare piattaforme di Artificial Intelligence destinate alla pianificazione pubblicitaria in grado di prevedere, dato il bacino attuale, quale sia la soluzione migliore finalizzata a ottenere il massimo possibile all’interno del mondo del Paper media», dice l’imprenditore.

 

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Simone Brugnera,responsabile dell’area minibond di Finint

 

Il legame con il territorio è ciò che ha reso possibile la riuscita di questa emissione. Lo spiega a Industria Italiana Simone Brugnera, responsabile dell’area minibond di Finint: «è stato fondamentale avere un investitore come il fondo strategico del Trentino Alto Adige, il fondo territoriale gestito da Finint Investments  SGR, investitore leader in Italia nell’ asset class dei minibond, con 300 milioni  di euro di masse e altri due fondi dedicati di carattere nazionale in gestione.» Spiega Brugnera  «le Pmi che fanno pochi milioni raramente sono strutturate per incontrare il mercato del capitali. Capita quando, come in questo caso,  la proprietà è lungimirante e dota la propria azienda di alcuni elementi chiave per l’accesso a questi mercati: un management capace, i bilanci certificati da società revisione e, tra le altre, un piano strategico e industriale credibile e strutturato. Sul fronte minibond come Banca Finint stiamo lavorando in questo ultimo periodo con diverse aziende piccole e riusciamo a farlo grazie alla possibilità di interloquire con fondi specializzati, prevalentemente con risorse che arrivano proprio dal territorio, e, ripeto, con aziende che abbiano le caratteristiche descritte sopra».

 

 

theoutplay_logo

TheOutplay: un minibond che non rispetta le regole

«Con il termine minibond si può aprire un mondo,- afferma Brugnera – quello delle emissioni da 200mila euro a 500 milioni di euro. In realtà il termine sta a indicare anche che le emissioni sono di società non quotate  a seguito del pacchetto legislativo introdotto con il D.Sviluppo del 2012: è un mercato comunque di nicchia ma il vero e proprio minibond secondo noi è quello che emette un’azienda che vuole costruire un percorso di accesso al mercato dei capitali con una emissione di medio lungo termine, con durate da 5 a 7 anni e taglio da 5 a 10 milioni, emesse tipicamente da aziende con fatturato da 20 ai 200 milioni di euro».

Proprio in considerazione di questo, l’emissione di TheOutplay è rilevante nel contesto generale per almeno altri due ordini di motivi, oltre a quello “territoriale”: «Il primo è che è un minibond sotto la soglia psicologica dei 5 milioni di euro, che è spesso proibitiva per i fondi specializzati. Il secondo è che è in un settore non manifatturiero, che invece è il prediletto dagli investitori. Ciononostante, pur essendo una piccola emissione da 2 milioni, e arrivando dal settore digital e da un’azienda che fattura appena 6 milioni, e punta ai 10 per il 2018, ha un orizzonte medio-lungo di 5 anni», spiega Brugnera, sottolineando gli aspetti non standard dell’operazione.

«Si capisce bene che le dimensioni, sia dell’azienda sia del bond, e il settore di appartenenza sono due elementi fuori dai canoni: si è riusciti comunque a fare un’operazione di questo tipo grazie ad alcune caratteristiche legate ad azienda e investitore», precisa Brugnera. Dell’investitore abbiamo già detto, sul fronte dell’azienda «il plus è un importante piano di crescita chiaro e condivisibile con proprietà e management seri e affidabili». Da cui forse deriva un ulteriore aspetto che rende l’emissione sui generis: «dal momento in cui abbiamo avuto l’ok da parte dell’investitore a livello di struttura ed execution ci abbiamo messo un mese e mezzo a finalizzare l’operazione,mese di  agosto compreso. Il che indica veramente la capacità di execution dell’azienda e apre una prospettiva nuova per quello che potrebbe rivelarsi uno strumento di finanziamento per le imprese davvero alternativo al canale bancario».

Le Pmi che emettono obbligazioni crescono di più, secondo Crif

Uno strumento capace di garantire la diversificazione delle fonti finanziare che è poi un importante volano della crescita. Sulla base di un’analisi condotta da CRIF Ratings, (società di CentraleRischi Finanziari)  nel decennio 2006-2015 le strategie di finanziamento di gran parte delle Pmi italiane non hanno subito significative variazioni, rimanendo fortemente legate al canale bancario. In linea con l’evidenza storica il debito bancario è rimasto ampiamente preponderante tra le fonti finanziarie, con un peso sul totale dei debiti finanziari costantemente oltre l’85%. Solo un numero ristretto di aziende, meno del 6%, ha diversificato le proprie fonti di finanziamento rivolgendosi al mercato dei capitali.

L’analisi delle performance operative delle aziende analizzate evidenzia una correlazione positiva tra la presenza di obbligazioni nella struttura del capitale e lo sviluppo del fatturato. Scrive Crif: «tra il 2012 e il 2015 la crescita media e mediana del fatturato degli emittenti (cioè le società con un’obbligazione presente a fine 2015 e in almeno uno dei precedenti esercizi) è stata rispettivamente pari all’1,6% e al 2,2%, rispetto allo 0,7% e al 1,9% per i non emittenti. La positiva correlazione tra obbligazioni e crescita emerge sia per le imprese di maggiori dimensioni che per quelle più piccole: tra le prime gli emittenti hanno riportato una crescita media dell’8,6% rispetto al 4,6% per i non emittenti. Analogamente tra le imprese di minori dimensioni il tasso di crescita di chi ha emesso un’obbligazione è stato dello 0,6% rispetto allo 0,3% di chi non ha fatto ricorso alle obbligazioni».

 

Headquarters di Finint a Conegliano

Meno banca, più debito: una rivoluzione culturale necessaria

Un’evidenza che alcune aziende iniziano a considerare. «I minibond sono uno strumento utilissimo per tutte le aziende sia piccole che grandi,- spiega ancora Brugnera.- anche se sono soprattutto quelle dotate delle caratteristiche descritte sopra a   usarlo. Nel mese di dicembre abbiamo colocato i minibond di Aziende come GPI, Calligaris e Florian, che hanno un fatturato da 100 a 200 milioni e hanno di recente emesso bond dai 10 ai 20 milioni. E lo hanno fatto nonostante oggi riescano a finanziarsi a tassi davvero competitivi dalle banche. Un segnale concreto che considerano i minibond uno strumento valido», spiega ancora Brugnera.

I minibond sono partiti inizialmente, nel 2012, per far convergere il risparmio previdenziale a medio lungo termine verso la piccola e media  impresa vista la crisi di liquidità della banche, nel 2012. Poi con il QE, il gap di liquidità si è ridotto, ma «sappiamo benissimo che l’effetto combinato di Basilea 3, dello stop imminente alla politica super-espansiva di Draghi e degli NPLs, per l’impresa non è possibile affidarsi totalmente alle banche. E se i minibond vengono emessi a tassi fissi e contenuti, con durate medio lunghe diventano molto interessanti in un’ottica lungimirante e di strategia industriale. Senza considerare che è uno strumento che finanzia la crescita, a tasso fisso, non soggetto a centrale rischi e senza costi nascosti», afferma Brugnera.

Un mercato piccolo, ma che cresce a ritmo esponenziale (secondo l’Osservatorio sui minibond del Politecnico di Milano le operazioni fino a 50 milioni ammontano a 2,2 miliardi di euro, di cui Finint  ne ha seguite circa 600 milioni, un terzo del mercato) e un processo ineludibile: «avere una proporzione del 20/30% dei finanziamenti alle imprese destinato al mercato dei capitali sarebbe  un  ottimo risultato per questo Paese, in cui comunque le banche avranno sempre un ruolo fondamentale  come contribuzione alla crescita. Inimmaginabile al momento, anche psicologicamente, avere proporzioni invertite come in Usa e Uk dove il mercato bancario pesa solo per il 30/40%», conclude Brugnera.














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