Che cosa potrebbe succedere alle nostre industrie grazie alla strategia italiana per l’Ai

di Laura Magna ♦︎ Finalmente anche l'Italia si dovrebbe dotare di una politica industriale nell'area più importante per la competitività economica. La manifattura è al centro. Previsti incentivi e la costituzione di un Istituto Italiano per l'Ai, nonché attività di formazione. Conditio sine qua non è la leadership nei centri di calcolo, sulla quale si sta lavorando a Bologna, anche col Cineca. Ecco che cosa devono fare le pmi italiane. Parlano Patrizio Bianchi, Piero Poccianti ed Emanuela Girardi

Il settore manifatturiero è uno dei tre pilastri su cui si dovrebbe fondare la RenAIssance dell’Italia (dove AI sta per Artificial Intelligence). Il neologismo, decisamente evocativo, è contenuto nell’appena annunciata  Strategia italiana per l’Ai appunto e fa capire da solo quanto ambizioso sia il progetto. A centro del quale ci sono tre elementi: l’uomo, il territorio e le peculiarità del nostro settore produttivo. L’industria, in buona sostanza, è il veicolo a cui puntare, con politiche industriali mirate, per promuovere la produzione di technology stock smart completamente made in Italy che condurrebbe a un ecosistema digitale affidabile, produttivo e sostenibile.

La diffusione dell’IA nell’industria italiana sarà realizzata tramite incentivi ma soprattutto attraverso la formazione continua dei lavoratori e un’educazione orizzontale tra i cittadini. Ci vorranno, per partire, circa 900 milioni pubblico-privato spalmati in cinque anni: serviranno a fondare l’Istituto italiano per l’Ai e un veicolo per il trasferimento tecnologico particolare attenzione ai settori dell’eccellenza italiana, manifattura e robotica, agrifood ed energia, aerospazio e difesa. 







È questo, in estrema sintesi, il contenuto del documento del Mise che disegna la via italiana all’Intelligenza Artificiale, che Industria Italiana ha studiato per capire in quale modo il Paese intende implementare nelle pmi industriale la tecnologia considerata il vero game changer del contesto competitivo. Il primo giudizio che ne traiamo è che contenga sufficienti elementi di avanguardia da proiettare finalmente l’Italia in testa all’ambizioso programma che porterà l’Europa a diventare leader dell’economia dei dati.

Il logo dell’associazione AIxIA

Oltre ad analizzare il documento ne abbiamo parlato con Piero Poccianti, Presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA); con Patrizio Bianchi, professore ordinario di economia industriale e rettore dell’Università degli Studi di Ferrara e con Emanuela Girardi, membro del direttivo di AIxIA e membro del gruppo di esperti di intelligenza artificiale del Mise.

La commissione di superesperti: i nomi eccellenti

Girardi fa parte di una commissione di superesperti in cui figurano nomi eccellenti, come quello del sindacalista Marco Bentivogli ( fino a pochi giorni fa capo della Fim, i metalmeccanici della Cisl), il frate francescano docente di etoca delle tecnologie Paolo Benanti, la super-ricercatrice Rita Cucchiara (direttore del laboratorio Cini di Intelligenza Artificiale), Giorgio Metta, vice direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Ma anche rappresentati dell’industria come il dirigente della StM Marco Cremonini; Walter Aglietti, direttore dei laboratori software Ibm Italia; Marco Barbina, direttore del Software Engineering per la divisione Airborne and Space di Leonardo; Marina Geymonat che in Tim coordina il centro di eccellenza sull’Intelligenza Artificiale. L’elenco completo è online sul sito del Mise. 

 

Ai all’italiana: a tutta dritta sui sistemi fisici embedded tipici della meccatronica

L’Italia, spiega il documento del Mise, presenta casistiche interessanti nella combinazione di IA con sistemi fisici che includono sensori, robot, impianti di automazione. Componenti hardware e software intelligenti dovrebbero essere il pane quotidiano dell’industria italiana: sono i sistemi di embedded Ai che lavorano in prossimità dei dati e dunque hanno bisogno che la nuova tecnologia si sviluppi «at the edge, localizzata il più possibile vicino agli oggetti intelligenti connessi. Si tratta di applicazioni che possono contribuire alla produzione, elaborazione e condivisione di dati e soluzioni orientate alla modernizzazione dell’Italia» anche dal punto di vista «della competitività industriale del sistema Paese». Se il settore pubblico dovrà funzionare da piattaforma e grande collettore di dati passando attraverso una profonda riforma della Pa, l’industria deve ripensare se stessa puntando a diventare sì smart ma soprattutto a funzionare da abilitatore dell’Ai nel sistema.

 

Le pmi italiane devono accettare di condividere i dati

Supercomputer Marconi Cineca

Alla base di tutto ci sono alcuni punti chiave: l’adozione di un approccio umano-centrico che nel contempo abiliti un ecosistema affidabile – con il coordinamento di tutte le tecnologie necessarie per fare funzionare bene Ai, dal 5g alla blockchain – e sostenibile, che incida cioè sul miglior funzionamento delle pmi ma anche della società portando maggior benessere sui territori. Si legge nel documento che «le aziende italiane devono sviluppare politiche data-driven e condividere i propri dati favorendo la nascita di un mercato italiano ed europeo dei dati. Molte stentano a effettuare la transizione verso la digitalizzazione e il paradigma di Industria 4.0 per mancanza di competenze sui modelli di utilizzo dei dati o per timore verso le politiche di condivisione dei dati. Entrambe le questioni dovrebbero essere affrontate anche dal punto di vista normativo oltre che attraverso la formazione».

Le premesse perché la strategia funzioni ci sono tutte, a partire dalla costruzione del più potente supercomputer del mondo che vedrà la luce a Bologna nella seconda parte dell’anno, mentre l’Italia per la prima volta è entrata nella top-ten di questi abilitatori dell’Ai con ben due macchine.

Italia: sul tetto del mondo dei supercomputer

patrizio-bianchi
Patrizio Bianchi è Professore ordinario di Economia applicata. Dopo aver a lungo insegnato all’Università di Bologna, ha fondato la Facoltà di Economia dell’Università di Ferrara, dove poi è stato Rettore fino al 2010. Fino agli inizi del 2020 è stato Assessore al Coordinamento delle politiche europee, università, ricerca, scuola, formazione e lavoro della Regione Emilia-Romagna, nella cui veste ha progettato e coordinato il progetto del Tecnopolo Big Data di Bologna. Dal 2020 è titolare della Cattedra Unesco su Educazione, Crescita e Eguaglianza alla Università di Ferrara. Per la sua attività scientifica è stato nominato Commendatore al merito della Repubblica

Prima di andare nel dettaglio del documento è bene sottolineare che esso sia il primo punto fermo di un lavoro iniziato prima e che porterà l’Italia, sorprendentemente, a diventare leader mondiale della potenza di calcolo, conditio sine qua non del funzionamento dell’Ai. «Il governo italiano si è mosso su Ai in maniera chiara e spedita tanto che l’Italia, per una volta, è in una posizione di grande avanguardia in Europa. Lo dimostrano le idee precise e lungimiranti che il documento contiene e il fatto che accanto alla focalizzazione sulla ricerca scientifica ci sia stata molta attenzione agli usi industriali della tecnologia di cui parliamo. Ma lo dimostra anche il fatto che l’Italia si stia dotando nel frattempo di una capacità di supercalcolo unica in Europa per dimensione: 52 petaflop (ovvero 52 milioni di miliardi di operazioni matematiche al secondo) è la capacità di performance dell’ultimo supercomputer dicasa Eni, l’Hpc5, che si trova nel Green Data Center, complesso costruito nel 2014 a Ferrera Erbognone, in provincia di Pavia. Ma si arriverà a 100 petaflop con il supercomputer che sarà istallato a Bologna nel nuovo Centro Europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (Ecmwf)», dice Patrizio Bianchi.

Intanto l’Italia, a giugno, è entrata per la prima volta nella top ten dei super computer con ben due macchine: l’Hpc5 appunto e il Marconi 100 di Cineca,il consorzio interuniversitario del ministero dell’Istruzione che riunisce 67 atenei e sette enti di ricerca. L’Emilia Romagna concentra, oggi, il 70% della capacità di super calcolo italiana. E proprio a Bologna è in costruzione uno dei centri di supercalcolo più avanzati a livello mondiale, all’interno degli spazi del Tecnopolo: si chiamerà Leonardo e avrà una potenza di 270 petaflop. A novembre, il supercomputer più performante era lo statunitense Summit con una potenza di 200 petaflop. Il documento del Mise sottolinea che l’Europa esprime il 18,8% della capacità di calcolo complessiva globale contro il 45,4% della Cina e il 21,8 degli Usa. Il vero problema del Vecchio Continente è la frammentazione per paesi e la mancanza di grandi accentratori come lo Stato cinese o le big corp Usa.

 

Strategia Ai e potenza di calcolo sono due facce della stessa medaglia

«Strategia su Ai e supercomputer viaggiano insieme perché l’una ha bisogno dell’altro. E questo è evidente se si trasla il tema in campo industriale. Oggi, per esempio, è possibile fare sperimentazione in campo automotive non su un modello fisico, ma su un modello matematico su cui si simulano tutte le condizioni su cui di fatto si utilizza il motore o gli penumatici. È qualcosa che sta già avvenendo, lo fa la Dallara in Emilia. Lo sviluppo di algoritmi di Ai permette di innovare prodotti e processi in maniera più rapida ed efficace», spiega Bianchi. Ma non solo. «Gli esempi potrebbero essere molti. L’analisi dei big data consente di misurare l’effetto delle condizioni meteo sull’agricoltura e di simulare l’efficacia di un fertilizzante al posto di un altro in base alle condizioni del terreno o di ottimizzare i servizi delle assicurazioni. Per fare un esempio di attualità: Ai e super pc consentono di rendere efficiente e più veloce la sperimentazione farmaceutica. Proprio con la macchina di Cineca, sono state selezionate da un set di 400mila molecole le 30-40 su cui fare le prove per verificare la rispondenza a un vaccino per il Covid. Ai consente di gestire enormi massi di dati generando realtà virtuali per fare sperimentazioni che non sarebbero possibili altrimenti. È uno strumento fondamentale per il 4.0 e per innovare condizioni per cui dal vivo ci vorrebbero anni. E va di pari passo con i big data. È un passaggio essenziale per lo sviluppo industriale che però pretende di avere due basi: strategia nazionale e rete di gestione del supercalcolo che diventano conditio sine qua non. Ora l’Italia ha entrambe: la parte di strategia ha dimensioni tali da poter fare da traino in Europa, e così l’infrastruttura europea di super computer, con base nel nostro Paese. Manca ora l’azione di trasferimento alle pmi, che sarà la terza parte altrettanto cruciale per il numero di imprese dinamiche in Italia».

 

Il documento italiano: tre pilastri e sei temi verticali

Impatto in percentuale sul pil del settore tecnologico e dell’intelligenza artificiale

Ma cosa dice il documento italiano? Ne abbiamo parlato anche con uno degli estensori, Emanuela Girardi. Il documento italiano segue le indicazioni del White paper europeo. La strategia è strutturata in tre parti: la prima analizza il mercato globale, europeo e nazionale dell’Intelligenza Artificiale. La seconda elenca gli elementi fondamentali della strategia, e l’ultima approfondisce la governance proposta per l’AI italiana e fornisce alcune raccomandazioni per l’implementazione, il monitoraggio e la comunicazione della strategia nazionale. Il potenziale è enorme: il peso dell’Ai sul Pil italiano è dell’1,2% contro il 3,3% degli Usa e il 2,2% della Cina, come riporta la strategia.

«Abbiamo deciso di seguire la strada che porta alla creazione di un network di eccellenza con i migliori nodi della ricerca accademica in Europa. Ci basiamo su un approccio umano-centrico ma affiancando un ecosistema fiduciario con le imprese, che si realizza definendo un quadro normativo per sviluppo di tecnologie che siano sicure e in linea con i diritti fondamentali e le linee guida etiche. L’altro documento a cui si fa riferimento è la European Data Strategy che definisce l’economia dei dati e promuove la condivisione degli stessi in un framework che tuteli cittadini e imprese e consenta alla piccola e media impresa europea di sfruttarlo con incentivi, strumenti, situazioni ad hoc», spiega Girardi.

Il documento italiano riprende dunque il documento europeo, ma getta il cuore oltre l’ostacolo facendo qualche ulteriore passo in avanti. Mette al centro non semplicemente l’uomo ma il Pianeta, con l’obiettivo di utilizzare l’Ai per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda europea al 2030. «L’approccio innovativo della strategia italiana è quello di utilizzare l’Ai per raggiungere la sostenibilità economica, sociale e ambientale. I pilastri sono tre: approccio antropocentrico, affidabilità e sostenibilità», continua Girardi. «All’interno di questi 3 pilastri abbiamo identificato i sei temi verticali, coerenti con la società italiana: manifattura e robotica, sviluppo di servizi (finanza, sanità e istruzione), trasporti e smart city, aerospazio e difesa, Pa, e digital humanities perché l’Italia ha il più ampio patrimonio culturale e artistico del mondo. Per sviluppate questi sei verticali abbiamo bisogno di tre cose: l’economia dei dati, con infrastrutture cloud e supercomputer. Come facciamo a raccogliere questi dati? Come stimoliamo pmi o pa a raccoglierli, condividerli dentro un framework che tuteli l’uomo e rispetti la Grpd? La AI da sola non basta, serve un approccio sistemico con la connettività, il 5G, la banda larga, il blockchain».

Visione sinottica di tutte le proposte messe in campo dal progetto RenAissance

Ci vogliono 900 milioni per partire

Per attivare le proposte base, che sono solo un punto di partenza, il documento ipotizza anche un budget minimo: 900 milioni di euro, per creare l’Istituto italiano di Ai, un veicolo per il trasferimento tecnologico, alcune iniziative puntuali come il finanziamento di dottorati sul tema. È prevista una partecipazione di investimenti privati ed è spalmato in cinque anni. È importante iniziare a presidiare un tema che tutti gli altri paesi stanno affrontando. Francia, Germania e Inghilterra ha stanziato già dai 3,5 ai 5 miliardi. Noi dobbiamo partire ed un bene che lo facciamo in corsa.

Ovviamente per implementare la strategia sono necessari molti più fondi, ma si potrà attingere anche a quelli europei che puntano su green deal ed economia dei dati. «Se cominciamo a eseguire una parte di strategia per le aziende e la pa sarà più facile richiedere parte di questi fondi europei nei prossimi 5 anni e sarà più facile riceverli e sfruttarli».

Ma come si porta l’Ai poi nelle imprese? Risponde Poccianti: «Bisogna lavorare con le associazioni di categoria e ci sono decine di esempi che possiamo portare a industria e commercianti. Uno su tutti è quello del fornaio in Regno unito che dieci anni fa usava l’Ai per predire che tipo di prodotti avrebbe venduto in base alla stagionalità, agli eventi sportivi in zona e alle festività. In questo modo riusciva ad abbattere l’invenduto del 20-30% incassando un valore immediato. Un’idea che può essere applicata su larga scala e a tutti i tipi di industrie. La sentiment analisys che l’Ai consente fa capire come la pensano i clienti, anche quelli potenziali, sui prodotti. Ed è possibile condurre un enorme lavoro sui processi aziendali. Dobbiamo andare oltre all’impiego di chatbot e robot per ridurre i costi, dobbiamo creare nuove offerte, nuovo valore, anche in termini di sostenibilità. Prodotti con vita più lunga, prodotti riparabili che consentano un guadagno su manutenzione e aggiornamenti e non su sostituzione. C’è bisogno di formazione, di far capire alle aziende che il mondo accademico lavora per creare idee di base che attraverso una catena del valore possono arrivare anche a essere un prodotto».

 

Investire in educazione civica digitale e aiutare le pmi con l’embedded Ai

Emanuela Girardi Founder di POP AI e Membro del Direttivo di AIxIA

I primi passi da fare sono due. Da una parte spiegare quali sono i vantaggi dell’Ai per la pmi e dall’altro come portarlo. «Le pmi sono sul territorio e devi raggiungerle sul territorio. Bisogna comunicare e presentare i progetti e le potenzialità con le camere di commercio e le associazioni di categorie, com’è stato fatto per industria 4.0 per portare nuove tecnologie sul territorio, incontrare aziende e far loro vedere cos’è Ai nella pratica», dice Girardi che invita a guardare le esperienze degli altri Paesi come l’Austria dove è stata utilizzata l’associazione dei giovani imprenditori per incontrare le aziende e mostra loro case study anche piccoli perché toccassero con mano cosa significa sviluppare un progetto. L’Ai consente di dare vita a prodotti non standard ma personalizzati, analizzando le caratteristiche della domanda, sfruttando tipicità della piccola azienda italiane. La personalizzazione di prodotto consumer e prodotto industriale, con l’emebbeded Ai può essere un volano di sviluppo per l’Italia».

L’embedded Ai sposta l’intelligenza artificiale da un modello basato sul clod a uno distribuiti in cui i dati possono esser registrati ed elaborati in loco (edge) o addirittura in dispositivi perfiferici. I grandi cloud sono troppo costosi e spesso inaccessibili per la pmi: lavorando sull’Ai distribuita anche le piccole imprese possono fare, per esempio, controllo qualità sulla linea con utilizzo di sensori e big data. È possibile puntare a infrastrutture su più livelli, con macchine intermedie a più basso costo, macchine molto piccole e grandi cloud solo laddove servano. Abbiamo bisogno di trasferire la ricerca, aziende e accademia devono parlarsi con un filo diretto.

Il documento non si limita a capire come portare Ai alle imprese, indaga anche soluzioni, come l’edge, che proteggano i loro vantaggi competitivi. Un effetto collaterale è la protezione dei dati aziendali nell’era dell’economia dei dati di cui l’Europa vuole diventare leader. Si stanno cercando di indentificare modi per proteggere i dati della piccola azienda. Lo spiega ancora Girardi: «Se condividi i dati rischi che ti rubino segreti aziendali, quindi abbiamo immaginato un modo per condividerli in maniera sicura con modelli di data sharing agreement per tutelare le aziende, ma anche soluzioni tecnologiche in forma di reti di machine learning dove il mercato è fatto di algoritmi e non di dati. Abbiamo affrontato aspetti sia strategici sia concreti per dare indicazioni specifiche su come essere veramente utili alle aziende».

 

Il futuro del lavoro: minaccia o opportunità?

Il documento tratta anche il tema della robotica sgombrando il campo dall’equivoco che abbatta i posti di lavoro. L’investimento in robotica può consentire alle imprese di diventare o rimanere competitive e tra il 1993 e il 2015 ha fatto crescere il Pil procapite dei Paesi Ocse del 10. Negli Usa l’impego di 80mila robot tra il 2010 e il 2015 ha determinati 230mila posti di lavoro in più e 93mila nuovi occupati in Germania con l’impiego di 13mila nuovi robot ogni anno nello stesso intervallo. E se il Wef stima la distruzione di 75 milioni di posti di lavoro nel 2022 stima che ne saranno creati 133 milioni di nuovi. Certamente, il documento italiano avverte che sia necessario un accorto monitoraggio del decisore pubblico per far sì che l’Ai non vada a sostituire il lavoro umano anche a scapito della qualità, pertanto offre delle soluzioni pratiche che vanno dalla progettazione di ecosistemi territoriali per lo sviluppo con particolare attenzione al 5G, al potenziamento del diritto soggettivo alla formazione long life per superare lo skill mismatch agli incentivi alla nascita di campioni industriali europei che possano competere con il colossi di Cina e Usa.

 

Servono davvero altri incentivi? No, serve cultura

Piero Poccianti, Presidente AIxIA

Infine, le politiche fiscali che possono essere utilizzate sono diverse e già esistono, dal credito di imposta, al trasferimento tecnologico che si favorisce detassando i contributi dei dottorati. Il documento accenna agli strumenti esistenti e su quelli invita a fare affidamento facendo rientrare anche gli investimenti in Ai senza ulteriori stratificazioni di norme che rischiano di essere ridondanti.

Anche perché il tema non è tanto di incentivi, ma di cultura. Lo spiega bene Poccianti: «Le imprese spendono tantissimo in consulenti che non necessariamente sono utili e spesso non conoscono uno strumento come il dottorato di ricerca, molto usato in Germania: uno strumento fantastico per il trasferimento tecnologico perché mette in connessione un esperto di tecnologie con i processi dell’azienda per un tempo sufficiente, tre anni, a imparare come calare la tecnologia nei processi. Le aziende italiane sono piccole ma soprattutto sono timorose e negli ultimi venti anni hanno imparato che la finanza porta più soldi del lavoro. Se non invertiamo questo pensiero siamo rovinati. Dobbiamo ritrovare un’economia in cui la finanza sia ai margini e sia di supporto. Altrimenti le aziende chiudono».

Puntare sull’aspetto culturale è fondamentale perché i progetti di Ai sono rischiosi e richiedono tempo e un processo empirico, oltre a una metodologia di tipo agile. «I grandi centri di ricerca e le università si sono evolute e hanno iniziato a capire quali sono le esigenze delle aziende. Dobbiamo lavorare ora sulle strategie delle aziende. Bisogna moltiplicare le iniziative e bisogna che quel documento venga recepito e trasformato in azione», spiega Poccianti che vede nell’Ai l’elemento fondante di un nuovo modello economico, capace di fornire «indicatori nuovi per capire cosa è benessere e cosa è il costo come impatto sul pianeta e non solo economico».

Conclude Girardi: «Oggi è importante lavorare sulla comunicazione: spiegare la strategia ad aziende e cittadini. La società in cui viviamo è permeata di Ai e social network app, ci siamo immersi dentro inconsapevolmente. Ci vuole educazione digitale, perché parliamo di tecnologie duali che portano grandissimi benefici se ben indirizzate e hanno rischi che vanno governati. Lo ha fatto la Finlandia con un corso base online Elements of Ai per educare l’1% della popolazione entro un anno e lo ha fatto il Belgio, con il corso Ai Black Belt, entrambi poi tradotti e resi disponibili per tutti i cittadini europei». Sarà difficile per un paese che l’indice Desi condanna all’ultimo posto nelle competenze digitali. Ma è possibile ed è necessario.














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