2019: per Confindustria un anno difficile

Secondo il Centro Studi dell’associazione imprenditoriale l’attività economica in Italia all’ inizio di quest’annoresta debole. Gli investimenti sono in calo così come la fiducia dei consumatori. Il mancato recupero del settore edile con i cantieri dei lavori pubblici bloccati zavorra la dinamica complessiva del Pil italiano

Anche se per qualcuno il 2019 potrebbe regalarci “un possibile nuovo boom economico”, sicuramente è di avviso contrario Confindustria, che anzi, dati alla mano,  prospetta per l’Italia “un anno difficile”: «L’export è debole, gli investimenti sono attesi in calo, e soffre l’industria. Tengono finora i consumi, ma con un futuro incerto. Dai mercati infine possibile rischi sul credito». È questo che si legge in una nota del Centro Studi dell’associazione di Viale dell’Astronomia, che smentisce quanto professato da chi, probabilmente in preda all’entusiasmo, non ha fatto i conti con i numeri, non propriamente incoraggianti, che si stanno registrando.

Infatti, prosegue il Csc, «l’attività economica in Italia a inizio 2019 resta debole. Il Pmi a gennaio è sceso a 48,8 (da 49,5 nel 4° trimestre 2018), con un calo marcato nel manifatturiero – per valutazioni più negative su ordini e produzione, meno nei servizi. Per la produzione industriale a gennaio è atteso un piccolo rimbalzo, anche per la ricostituzione delle scorte, ma il trasporto di gas a uso industriale è sceso del 5% e preoccupa il calo degli ordini (-2,0% a fine 2018). Nei mesi successivi la dinamica della produzione rischia di essere ancora negativa, dopo il forte calo dell’ultimo quarto del 2018 (-1,1%), quando si è ridotto molto il fatturato (-1,6%), specie nei beni intermedi».







Certo, non proprio i dati che si leggevano sulle pagine dei quotidiani tra gli anni ‘50 e ’60, quando il cosiddetto “miracolo economico italiano” aveva portato il Pil a una crescita annua media del 5,9%, mentre ora «anche se il Pil risalisse dal secondo trimestre – dichiara il Csc – è alta la probabilità di una crescita annua poco sopra lo zero». Lontani anche i tempi in cui si registrava un incremento delle esportazioni del 12% annuo: anche in questo caso Csc è tombale e denuncia come le vendite italiane siano «diminuite del 2,3% in dicembre, con un calo marcato sui mercati extra-UE e lieve crescita nell’intra-UE – continua la nota del Centro Studi Confindustria – Ciò conferma la forte frenata dell’export nel 2018, specie verso Turchia, Stati Uniti, Cina, Opec e partner commerciali europei (Germania). A inizio 2019 le attese sono deboli, con il Pmi ordini manifatturieri esteri in flessione da 4 mesi consecutivi».

Investimenti e consumi

Quadro a tinte fosche anche per quanto concerne gli investimenti, che sono attesi in calo a causa del peggioramento della fiducia delle imprese, «che in particolare giudicano peggiorate le condizioni per investire, fa prevedere una frenata della spesa per macchinari, attrezzature e altro capitale fisso. La produzione di beni strumentali in Italia è già scesa bruscamente nel 4° trimestre 2018 (-1,3%). Da inizio 2019, inoltre, restano in campo minori incentivi fiscali per gli investimenti produttivi».

Anche i consumi non sembrano essere particolarmente brillanti: «Nel 4° trimestre 2018 – si legge nella nota di Confindustria – erano cresciute di poco sia la produzione di beni di consumo (+0,2%), sia le vendite al dettaglio (+0,3%). Ma a gennaio 2019 le immatricolazioni di auto sono diminuite di un ulteriore 4%, l’indicatore dei consumi ICC è sceso dello 0,3%, sono caduti gli ordini per i produttori di beni di consumo. La fiducia delle famiglie è diminuita a febbraio, con peggiori attese sull’economia che potrebbero alimentare il risparmio a scapito della spesa; sono rimasti stabili, invece, i giudizi sulla situazione economica della famiglia. Ciò può essere spiegato dall’occupazione ferma in Italia, ma non in calo, nella seconda metà del 2018, che sostiene i redditi».

 

Intervento Edilizia Acrobatica

 

Focus sul settore edilizio

Il Csc si focalizza anche sul settore edilizio, che nel nostro Paese genera un valore aggiunto di 65 miliardi di euro e occupa 1,6 milioni di persone: «Riaprire i cantieri potrebbe avere un forte impatto espansivo sulle costruzioni e su diversi altri settori – conclude Confindustria – Ciò potrebbe alzare il Pil italiano di oltre l’1% in tre anni rispetto allo scenario previsivo di base, con un aumento molto limitato del deficit». Va notato che nel 2017-2018, a fronte di una dinamica fiacca di produzione e valore aggiunto, i giudizi e le attese degli imprenditori del settore avevano mostrato un andamento più favorevole. La divaricazione tra indicatore di fiducia e dati sulla produzione ha iniziato a manifestarsi già nel 2015, quando si era fermata la caduta dell’attività edile e il clima di fiducia aveva preso rapidamente a migliorare.

Come avvenuto anche in altri settori, le valutazioni meno pessimistiche degli imprenditori sembrano aver riflesso proprio l’essere usciti dalla lunga e profonda caduta dell’attività, che aveva toccato il suo punto di minimo nel 2014, piuttosto che più solide prospettive per il comparto. «Il settore delle costruzioni in Italia – si legge nella nota – ha un peso molto significativo nel sistema economico: genera un valore aggiunto pari a 65 miliardi di euro (il 5% del totale); occupa 1,6 milioni di persone (oltre il 6%); è costituito da un tessuto produttivo di circa 500mila imprese (11%); gli investimenti in costruzioni valgono circa il 45% del totale realizzato in Italia (130 miliardi di euro nel 2017, su 290). Dunque, il mancato recupero del settore edile zavorra la dinamica complessiva del Pil italiano».

Il settore delle costruzioni in Italia si trova al centro di una lunga filiera, che comprende vari comparti manifatturieri e dei servizi. Tra i primi: produzione di minerali non metalliferi, prodotti in legno, prodotti in metallo. Tra i secondi: intermediazione immobiliare (circa 300mila addetti, quasi 250 mila aziende), studi di ingegneria e architettura. Tenendo conto degli effetti diretti e indiretti che generano nella filiera, le costruzioni attivano un valore aggiunto totale quasi doppio rispetto a quello del settore.

Stime aggiornate a inizio 2019 indicano che in Italia ci sono cantieri bloccati per un valore complessivo di 27 miliardi di euro, senza contare la TAV Torino-Lione (indagine ANCE). Questo valore si riferisce a investimenti in opere pubbliche la cui realizzazione è ferma per ragioni burocratiche. La stima potrebbe anche essere inferiore al valore effettivo dei lavori fermi, perché l’indagine non copre tutti gli appalti.

«I progetti – aggiunge Confindustria – restano bloccati per vari motivi: a) un quadro normativo spesso incerto e frammentato, dovuto anche alla revisione del Codice degli appalti; la decisione di demandare a norme di secondo livello, di portata giuridica non chiara, buona parte della disciplina attuativa del Codice ha creato confusione e incertezza negli operatori; b) un processo decisionale complesso, da semplificare rivedendo il ruolo del CIPE, restituendogli la competenza in materia di programmazione e controllo; c) un quadro regolatorio così complicato avrebbe bisogno di una PA con forti competenze in materia di programmazione e controllo del processo di attuazione degli investimenti, che sembrano invece mancare». Nel debole contesto economico italiano, riaprire tali cantieri potrebbe avere un forte impatto espansivo sulle costruzioni e su diversi altri settori. Ciò potrebbe alzare il Pil italiano di oltre l’1% in tre anni rispetto allo scenario previsivo di base, con un aumento molto limitato del deficit (stime CSC).

L’ Italia e il Resto del Mondo

Se l’Italia piange, il mondo non sembra passarsela molto meglio, con la Cina che rallenta i ritmi, la manifattura in calo e la Bce che tiene i tassi a zero. E, come se non bastasse, ci sono reali rischi anche di una frenata del mercato Usa. La manifattura, in particolare, sta registrando una significativa frenata in tutta l’Eurozona. I dati qualitativi confermano a inizio 2019 i segnali di rallentamento dell’area euro, già apparsi nel 2018 (fermo il PIL in Germania nel 4° trimestre). La fiducia di imprese e famiglie nell’Eurozona continua a scendere (106 a gennaio, da 111 lo scorso anno). Si indebolisce il manifatturiero, come indica il Pmi sceso a febbraio sotto la soglia neutrale (49,2): le imprese europee addebitano il calo della produzione industriale alla riduzione della domanda, soprattutto estera, attesa più debole nei prossimi mesi. Crescono, invece, i servizi (Pmi a 52,3 a febbraio).

Per quanto riguarda la Bce, «resta attivo uno stimolo monetario nell’area: i tassi a breve saranno fermi a zero almeno fino all’estate 2019 e la Bce  proseguirà i reinvestimenti in titoli pubblici e privati delle somme incassate da quelli in scadenza. Il freno ai tassi a lungo termine, comunque, è minore. Il cambio dollaro/euro resta debole (1,13 a febbraio, da 1,23 un anno prima), offrendo un sostegno all’export ma non uno scudo dal nuovo rincaro del petrolio (64 dollari al barile, da 60 a gennaio). Ciò può servire, però, ad alimentare la bassa inflazione nell’area (+1,4% a gennaio, +1,1% la misura core)».














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