Universal Robots, ovvero: un cobot per collega

di Filippo Astone e Marco Scotti ♦︎ La multinazionale danese, leader mondiale nella produzione di robot collaborativi, ha una quota di mercato superiore al 60% nel nostro Paese. Il nuovo Ur16e aumenta il payload fino a 16 kg, ampliando le possibilità di impiego. Nei prossimi anni il giro d’affari dei cobot crescerà del 1600%

«A livello mondiale Universal Robots ha una quota di mercato intorno al 60% nel segmento dei cobot. Un dato che in Italia è lievemente più alto perché i nostri competitor sono arrivati con grande ritardo. In undici anni di attività globale abbiamo venduto oltre 37mila robot collaborativi, soprattutto alle pmi. Anche perché la collaborazione uomo-macchina garantisce una linea più produttiva dell’85% rispetto a quelle tradizionali. La peculiarità di questi strumenti, infatti, è di essere facilmente programmabili, leggeri e versatili. Abbiamo appena lanciato il nostro nuovo nato, Ur16e, che ha una flessibilità di carico utile al polso (il cosiddetto payload) di 16 kg. Inoltre, abbiamo inaugurato lo scorso 17 settembre, a Torino, il primo Authorized Training Center, il centro di formazione certificato che sviluppa corsi per studenti, aziende, clienti e system integrator».

Alessio Cocchi è il Sales Development Manager della branch italiana di Universal Robots. Ed è lui che ci spiega le innovazioni dei cobot, i motivi per cui possano incrementare la produttività di alcune linee e quali siano i progetti di espansione in Italia della multinazionale danese (la sede principale è a Odense) che nel 2018 ha fatturato 234 milioni a livello globale.







Il robot collaborativo, o cobot, permette di eseguire operazioni ibride tra uomo e robot. L’aspetto fondamentale è che essendoci maggiore libertà di suddivisione di compiti tra uomo e robot, diventa possibile cercare di automatizzare e sfruttare meglio le skill dell’operatore. Si tratta di un’automazione che permette di massimizzare la resa sia del lavoratore che del robot. L’uomo, in particolare, può svolgere solo compiti ad alto valore aggiunto, mentre i compiti di mera manipolazione, come ad esempio il prelievo di componenti dal magazzino, vengono svolti dal robot

Secondo Siri, l’Associazione italiana di robotica e automazione, le vendite di robot collaborativi nel 2018 nel nostro Paese sono arrivate a 480 pezzi, e le stime di crescita sono di un 50% all’anno per i prossimi cinque anni. Questo perché si tratta di una tecnologia nuova che consente l’impiego di questi dispositivi in parti della fabbrica che prima non venivano toccate dai cobot. Ad esempio: nel caso delle applicazioni stagionali, prima venivano effettuate totalmente dall’uomo, oggi invece le attività possono essere delegate anche ai robot collaborativi in diverse aree della fabbrica.

A livello mondiale, il mercato diventerà sempre più importante nei prossimi dieci anni. Una analisi di Abi Research, ad esempio, stabilisce che entro il 2030 il giro d’affari arriverà a 11,8 miliardi di dollari, contro i 711 milioni del 2019, con un incremento di oltre il 1600% in undici anni.

La spesa sostenuta per l’acquisto di robot. Fonte Kpmg

Cocchi, quali sono le novità di Ur16e?

Si tratta del nuovo robot che abbiamo introdotto e che permette di incrementare le possibilità di utilizzo da parte dei nostri clienti. In particolare, l’upgrade più significativo riguarda i sei kg in più di carico utile al polso rispetto all’Ur10. Siamo passati da 10 a 16, il che estende le possibili applicazioni industriali per le quali i robot collaborativi vengono presentati.

 

Ma è vero che siete stati voi a inventare i cobot?

Sì, abbiamo lanciato nel 2008 l’Ur5 che, come dice il nome, aveva una capacità di carico utile al polso di cinque kg. Da allora abbiamo venduto circa 37mila cobot.

La gamma e-Series di Universal Robots

Siete anche leader di mercato?

Sì, siamo in prima posizione a livello globale con circa il 60% del mercato. Un dato simile a quello italiano, dove raggiungiamo quasi il 70% del complessivo perché i nostri competitor sono arrivati tardi.

 

Come procede il mercato italiano e che strategia state attuando?

Stiamo andando bene, cresciamo in modo molto significativo con un incremento a doppia cifra. Oggi nel nostro Paese sono installati circa un migliaio di cobot Universal Robots. Per quanto concerne le strategie, abbiamo scelto di avere un solo ufficio, a Torino, che fa da fulcro commerciale e da quartier generale. Inoltre abbiamo quattro distributori dislocati lungo il territorio: Pst, che segue il Nord-Ovest; Alumotion, che gestisce Lombardia ed Emilia Romagna; Meko per il Triveneto e Fortec che si occupa di tutta l’area a sud della Toscana. Il mercato italiano è interessante perché ha ottime competenze tecniche, i clienti sono molto attenti alle nuove tecnologie, ci sono eccellenti system integrator e costruttori di macchina, si cercano costantemente integrazioni tra robot e cobot per andare nei loro mercati. Quello che stiamo notando è che ci sono ottime opportunità per estendere il cobot sul mercato.

Alessio Cocchi, Country Manager di Universal Robots per l’Italia

Qual è il vostro cliente tipo?

Per quanto concerne le dimensioni, tendenzialmente ci rivolgiamo alle Pmi, che sono anche il nostro target di espansione maggiore. Il primo cobot in assoluto che Universal Robots ha venduto, in Danimarca, è stato acquistato da una piccola impresa. L’idea di fondo è di avere un robot ad alte prestazioni e tecnologia ma molto facile da installare in qualsiasi reparto e tipologia d’azienda. Il focus, quindi, è per lo più rivolto alle Pmi che tipicamente non possono permettersi un prodotto tradizionale o con automazione rigida. Il nostro cobot è riuscito a rompere questa eredità entrando in tutte le aziende (a volte anche micro). Se invece guardiamo i settori, siamo piuttosto trasversali: andiamo dall’automotive alla general industry, passando per la manifattura. Questo perché abbiamo un prodotto capillare e facile da utilizzare.

 

Quali sono i principali benefici offerti dai cobot?

Può essere prezioso per svolgere e trasportare quegli oggetti che mediamente l’operatore manipola. Si può programmare la sequenza delle operazioni, si può stabilire se a essere decisivo sia il cobot o l’operatore e anche la modalità di attivazione. Inoltre, il robot collaborativo garantisce di poter svolgere quelle attività ripetitive o, addirittura, pericolose, che un tempo dovevano essere realizzate dall’uomo. Rimane, ovviamente, il fatto che il valore aggiunto è quello umano. Ma l’interazione tra lavoratore e cobot garantisce una produttività maggiore anche dell’85% rispetto a una linea solo umana o con hard automation. Il cobot, infine, ha un ulteriore vantaggio: è molto semplice da usare, il che lo rende perfetto per la Pmi: anche un operatore di linea che sa programmare il controllo numerico della macchina è in grado, dopo una giornata di training, di impostare le funzioni principali del robot collaborativo.

Il cobot Ur16e di Universal Robots

Che tipo di innovazione porta in azienda?

Di solito le aziende erano abituate a un tipo di manufacturing rigida, un’automazione meno flessibile che veniva installata e/o creata ad hoc a seconda delle richieste del cliente. Con l’arrivo del cobot, invece, tutto questo viene stravolto e si creano delle macchine molto agili, leggere, montabili da qualsiasi parte senza andare a cambiare il layout della fabbrica. Abbiamo robot collaborativi molto compatti e snelli che necessitano di soli 220V per funzionare. Tutto questo, unito al fatto che è molto facile da programmare, fa sì che possa essere impiegato in maniera flessibile nei diversi reparti che ne fanno richiesta in base ai picchi di lavoro.

 

Quali sono le principali applicazioni?

Soprattutto quelle meccaniche, di assemblaggio e avvitatura. Inoltre, per quanto comporta il food&beverage, il cobot può spostare prodotti o procedere alla loro pallettizzazione. Per quanto concerne, infine, il settore della plastica, il robot collaborativo sta iniziando a prendere piede per svolgere piccole lavorazioni, come nel caso del sorting. Quello che abbiamo visto è che grazie all’intervento delle nostre macchine si riescono a ottenere dei task in maniera più agile e performante, oltretutto con notevoli risparmi di spazio.

Ur16e, il nuovo cobot di Universal Robots, design compatto e capacità di polso di 16 kg

Quali sono invece i principali difetti?

Principalmente lo sbraccio, ovvero l’area di lavoro in cui può essere impiegato, e il carico utile al polso, cioè il payload. È normale, quindi, che se qualcuno si aspetta di poter far svolgere a un cobot incarichi particolarmente gravosi, sta proprio sbagliando oggetto: serve un robot!

 

E le maggiori difficoltà per il loro utilizzo?

Partendo dall’assunto che sono prodotti estremamente semplici e versatili, a fare da ostacolo nell’adozione di questa tecnologia c’è sicuramente l’aspetto burocratico-normativo: le aziende meno preparate pensano che una volta completato l’acquisto, il cobot sia pronto a essere impiegato, magari dopo aver installato un trapano o altri utensili. Invece non è così: prima di partire bisogna seguire una specifica normativa che regola l’impiantizzazione di questi strumenti. Per questo è necessario svolgere un’analisi dei rischi in fase di progettazione. Perché il cobot, di suo, è piuttosto sicuro, ma è ovvio che se gli viene applicato un utensile potenzialmente dannoso diventa un problema per l’operatore che gli lavora a fianco. Noi, ovviamente, anche tramite i nostri partner, ci occupiamo di tutto, compresa l’installazione in tutta sicurezza. Ma è naturale che l’aspetto burocratico sia quello che spaventa di più. Anche se, ribadisco, sono tutti temi che si risolvono abbastanza in fretta.

L’Academy di Universal Robots

Lo scorso 17 settembre avete inaugurato a Torino il vostro primo training center italiano: quali sono le sue peculiarità?

Si tratta di uno dei 13 centri di formazione che Universal Robots ha attivato a livello globale. Quello di Torino è il primo di una serie di centri formativi che inaugureremo in futuro in modo da essere più vicini ad altri mercati e a un numero maggiore di clienti. Chiunque può iscriversi sul nostro sito e fare un corso gratuito di due ore. Per chi vuole approfondire, c’è la classe per programmare dal vero i robot e chiunque può iscriversi tramite la piattaforma web per un costo di circa 1.000 euro per uno o due giorni di training. Principalmente ci rivolgiamo a tre categorie di persone: tecnici di system integrator; docenti e studenti che hanno completato il percorso di studi e che vogliono arricchire il loro cv; i nostri clienti che vogliono imparare a programmare il loro cobot.

Il cobot utilizzato dagli alunni dei corsi in aula di Universal Robots













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