Un cobot rivoluzionario in arrivo e tutte le novità e le strategie di Universal Robots. Ce le racconta Gloria Sormani, insieme al suo primo anno da country manager

di Renzo Zonin ♦︎ La multinazionale, 311 milioni di dollari di fatturato, punta a mantenere la leadership un un settore che varrà più di 10 miliardi nel 2027. Nel 2023 sarà disponibile il nuovo robot collaborativo UR20, che vuole proporsi come lo "swatch" dei robot. La sua caratteristica principale? Il peso ridottissimo, nonostante la capacità di carico di 20 kg. Per supportare le Pmi l'azienda punta sulla formazione e da settembre ripartirà la campagna di leasing a tasso zero. Il ruolo strategico del canale. L'impegno per promuovere la cultura della robotica.

Un errore che molte aziende fanno, quando pensano di avere in mano un mercato, è di mettersi tranquille a dormire sugli allori. Non è certo il caso di Universal Robots, l’azienda danese che ha di fatto “inventato” il robot collaborativo o “cobot”, quello capace di lavorare a stretto contatto con gli umani senza dover essere rinchiuso in gabbie di sicurezza. La società, che nel 2021 ha registrato un fatturato record di 311 milioni di dollari (+41% sull’anno della pandemia e +23% sul 2019) continua infatti a innovare, e non solo dal punto di vista strettamente tecnologico.

In Italia, in particolare, negli ultimi mesi ci sono state diverse novità, innescate dal cambio al vertice avvenuto giusto un anno fa: a ricoprire il ruolo di country manager è stata chiamata Gloria Sormani, già in azienda da circa un anno e mezzo.







Compito prioritario del nuovo country manager è stato quello di rassicurare i clienti, in particolare Pmi, sulla presenza e vicinanza di Universal Robots, contrastando la percezione comune di maggiore distanza fra clienti e fornitori (non solo nel comparto tecnologico) indotta dalla pandemia prima e dalla crisi economica poi.

Per questo, Sormani ha lavorato in diverse direzioni: in primis riorganizzando i rapporti con il canale, fondamentale per un’azienda come Ur che opera principalmente tramite partner – sono oltre 1.100 nel mondo, fra distributori, system integrator e società che partecipano al programma UR+. In secondo luogo, è stata rivista ed estesa la gamma di servizi che l’azienda offre ai clienti, inserendo nuovi pacchetti di manutenzione programmata e di check-in con il quale seguire il cliente per un lungo periodo dopo l’acquisto.

Altro punto importante è costituito dalle formule di pagamento dilazionato, con il programma di leasing a tasso zero che, già proposto alcuni mesi fa, aveva ricevuto larghi consensi fra i clienti, ed è quindi ripartito in questi giorni.

Infine, è stato esteso il programma di formazione, sia per quanto riguarda l’Academy, sia dal punto di vista dei corsi dedicati alle scuole, sia per quanto concerne i rapporti con istituzioni come università, centri di ricerca, competence center. A dirigere questo comparto è stato chiamato Paolo Bassetti tecnico esperto e “memoria storica” di UR Italia.

Ur non trascura nemmeno gli aspetti più sociali, culturali e politici del comparto della robotica collaborativa, tanto che continua a perseguire, migliorare ed estendere un progetto che ha visto la luce nell’aprile 2021, quello della Carta delle Idee della Robotica Collaborativa, un documento elaborato da un panel di esperti provenienti da varie realtà (aziende utilizzatrici, produttori di tecnologia, sindacati, istituti di ricerca) nel quale si fa il punto sullo status della tecnologia dei cobot e si indicano delle linee guida non tanto tecnologiche quanto culturali per l’adozione del cobot in azienda, puntando a farne lo strumento che rimetterà l’uomo al centro del processo produttivo, in ottica di Industria 5.0. Inoltre, il documento aiuta a diffondere la conoscenza delle capacità e potenzialità dei cobot, che in molte aziende è ancora sommaria, ma sta rapidamente crescendo, tanto che Sormani osserva, da qualche tempo, un aumento delle aziende che acquistano il loro secondo, terzo o quarto cobot.

Tutte queste attività verranno coronate, nei primi mesi dell’anno prossimo, dalla effettiva disponibilità di una nuova gamma di robot, con una meccanica riprogettata per ottenere cobot più leggeri, con minor numero di parti, minori esigenze di manutenzione e consumi energetici inferiori, ma contemporaneamente con velocità e payload più elevati e maggiore coppia. Il primo modello di questa nuova generazione, l’UR20, è stato annunciato alla fine di giugno, e dovrebbe essere disponibile nei primi mesi del 2023. Con esso e con gli altri cobot della stessa linea che arriveranno in seguito, Ur conta di mantenere la leadership in un mercato che, secondo dati Markets&markets, era di 1,2 miliardi di euro nel 2021, e crescerà fino a 10,5 miliardi di euro nel 2027, con un Cagr del 43,7% dovuto soprattutto al rapido ritorno dell’investimento, ma anche al fatto che i cobot sono più facili da programmare e possono essere adottati da aziende di ogni dimensione, aumentandone la competitività, incrementando la produttività e migliorando la qualità della produzione.

Un cobot riprogettato secondo nuovi paradigmi

Il cobot UR 20 di Universal Robots ha uno sbraccio di 1.750 mm e può portare sino a 20 kg di carico

Quando lo scorso 21 giugno Ue ha presentato il nuovo UR20, ne aveva parlato come di una macchina rivoluzionaria. Eppure le specifiche non sembravano particolarmente diverse da quelle dei suoi predecessori. La novità evidentemente, era altrove.

«La cosa davvero rivoluzionaria dell’UR20 è il peso – spiega Gloria Sormani – Perché è un cobot che porta 20 chili con sbraccio di 1.750 mm e pesa parecchio meno degli equivalenti, anche collaborativi. Il fatto di aver studiato tutta la componentistica per alleggerirlo, rende l’UR20 lo “swatch” dei robot. Nel senso che avendo meno massa da spostare si presta a molte più applicazioni di quanto facciano i corrispondenti sul mercato. È di fatto una nuova serie, con un redesign completo del robot dove certamente molte specifiche sembrano uguali, ma sono applicate a un cobot di concezione totalmente diversa, il che lo rende più utilizzabile in un maggior numero di applicazioni che oggi non si definirebbero come collaborative. Poi c’è anche la tematica del piccolo ingombro, ma non a tutte le aziende interessa».

La riprogettazione in ottica di alleggerimento ha di fatto prodotto un cobot che ha quasi il 50% di componenti in meno rispetto alle serie precedenti. Quindi è una meccanica con una cinematica più semplice e più robusta, con masse sospese inferiori che generano meno usura, e in cui i giunti sono stati riprogettati apposta per semplificare la manutenzione, che vede tempi dimezzati rispetto ai sistemi precedenti (che a loro volta erano stati un netto salto in avanti rispetto alla vecchia serie GB), a tutto vantaggio della continuità operativa. Certo, i tempi di manutenzione non sono tutto. «Abbiamo anche lavorato molto negli ultimi anni per il miglioramento dei software, e anche nell’elaborazione di nuovi pacchetti di service e di garanzia omnicomprensivi. Ora offriamo pacchetti che arrivano addirittura fino a 30 o 42 mesi, e comprendono controlli da parte di UR programmati, un po’ come fare il tagliando alla macchina» aggiunge Sormani. Macchina che magari va benissimo, ma un controllo periodico aiuta a prevenire problemi futuri e a tenere l’apparecchio in perfette condizioni.

«Abbiamo dei pacchetti, dei Performance Check, sia hardware che software, che offriamo ai nostri clienti assieme a delle estensioni di garanzia, allo scopo proprio di ridurre le difettosità. Abbiamo rilevato infatti che essa qualche volta è data da problemi di fabbricazione, ma più spesso è generata da usura precoce dovuta a un certo tipo di programmazione. Magari l’integratore programma benissimo, ma poi capita che l’utente finale modifichi i programmi in modo non perfettamente idoneo e quindi il cobot si usura di più. Con questi controlli periodici diamo una maggiore garanzia sullo stato di forma del cobot, e manteniamo altissima la performance, il che si traduce in una riduzione dei tempi di ritorno dell’investimento». Ma state pensando anche a servizi di manutenzione predittiva, con la possibilità da parte vostra di ricevere i dati dai cobot dei clienti in modo da poter avvisare o intervenire in caso di necessità? «Ci piacerebbe che potessero farlo direttamente i clienti. Essi fanno già manutenzione preventiva e, incamerato un certo numero di dati, mirano alla predittiva. Con i nostri pacchetti di fatto abbiamo iniziato un percorso che ci permetterà di arrivare a formule di questo tipo, lavorando con i clienti e non calandole dall’alto» conferma Sormani.

Il cobot UR 20 in azione

Le proposte per le Pmi

Universal Robots ha una clientela composita, perché il cobot è una macchina versatile e tutto sommato poco costosa. Questo fa sì che sia appetibile sia dalle grandi aziende, sia dalle Pmi, e ovviamente questi due tipi di clientela vengono seguiti con strategie differenziate.

Le Pmi, in particolare, vanno seguite maggiormente (principalmente tramite il canale) perché, per esempio, dal punto di vista tecnologico spesso non hanno competenze interne di robotica, e quindi hanno bisogno di consulenza, formazione eccetera; e dall’altro hanno bisogno di essere in qualche modo assistite nella scelta della migliore formula di pagamento.

«Da settembre riprendiamo la campagna di leasing a tasso zero – concorda Sormani – noi facciamo già forme di leasing e di noleggio operativo, anche se in Italia la formula più diffusa resta il leasing: le aziende italiane ci tengono a “possedere” il bene. Crediamo che in questo momento di incertezza, una operazione di leasing a tasso zero possa essere un buon palliativo per un autunno che si preannuncia duro. Con questo riteniamo di dare una grossa opportunità alle imprese».

Ma al di là di queste formule consolidate, qualche cliente ha cominciato a chiedere se ci sono altre forme di pagamento, per esempio formule pay per use? «Qualcuno sì. Ci è capitato un paio di volte. Il fatto è che si tratta di un modello di business completamente diverso, le mie prime esperienze dirigenziali sono state proprio nel mondo del noleggio e quindi lo conosco bene. Probabilmente richiederebbe di creare un’azienda ad hoc, un’azienda nell’azienda. Comunque, oggi siamo ancora agli albori dell’automazione cosciente e consapevole delle Pmi. Sono tante, ma sono ancora un piccolo numero rispetto al panorama complessivo. Innestare adesso una forma di pay per use può essere un’alternativa, ma sarebbe un inizio molto duro, meglio prima avere un parco macchine adeguato e poi organizzare una cosa di questo tipo».

Un ruolo strategico per il canale

La rete Ur+ conta su 320 partner, che sviluppano pinze, sistemi di visione e propongono ai clienti soluzioni chiavi in mano

Soprattutto quando ci si rivolge alle Pmi, oltre a fornire il cobot e i relativi servizi di manutenzione, spesso bisogna portare un pacchetto completo, una soluzione chiavi in mano. In questo, il ruolo dei partner è fondamentale.

«Noi abbiamo i nostri partner che sono in primis i distributori, che non sono meri commercianti ma partner tecnico-commerciali, che devono mettere a disposizione di UR una sala prove, venditori, tecnici. Sono delle piccole Universal Robots, insomma, che fanno più il “chiavi in mano”, utilizzando l’ecosistema UR+ – racconta Sormani – E poi ci sono i system integrator, da quelli generici che magari comprano il cobot una tantum a quelli certificati che sono quelli con cui abbiamo un rapporto più stretto, in quanto siamo loro fornitori preferenziali, e con i quali sviluppiamo le applicazioni, facciamo studi, eccetera. E poi ci sono i costruttori di macchine – al prossimo BiMU presenteremo appunto dei macchinari realizzati da costruttori con i nostri robot, perché vogliamo far vedere che il cobot non è qualcosa di “staccato” dalla macchina ma sta diventando un vero e proprio componente articolato del macchinario».

Complessivamente, la rete di Ur conta oltre 1.100 partner nel mondo. Ci sono 800 fra distributori e system integrator, e 320 partner all’interno della rete Ur+, ovvero aziende terze che sviluppano pinze, sistemi di visione, rivestimenti eccetera. «Questa rete è la nostra forza e il nostro vero elemento differenziante» puntualizza Sormani. In effetti, questa rete è ciò che fa la differenza fra vendere un cobot e offrire una soluzione chiavi in mano. Essa comprende sia partner che progettano hardware, sia sviluppatori software. Alcuni partner possono ricoprire molteplici ruoli: a volte il distributore è anche sviluppatore software e quindi è nella rete Ur+, dove magari porta il suo know-how specifico su specifici settori applicativi.

Valutare l’impatto sociale del cobot

 

La Carta delle idee della robotica collaborativa è stata redatta con il contributo di 12 esperti. Farà da punto di partenza per ampliare il dibattito sulle idee emerse con l’obiettivo di realizzarle concretamente.

Nonostante i robot siano entrati nelle fabbriche da decenni, sono ancora diffuse credenze come quella secondo cui il robot riduce l’occupazione, eccetera. Credenze smentite dai dati, visto che tipicamente dove si investe di più in robotica cresce l’occupazione. Sta di fatto che per contrastare questi miti è importante diffondere la “cultura” della robotica, e studiare il fenomeno anche da un punto di vista sociologico e politico. Universal Robots ha voluto dare il suo contributo al dibattito e si è messa al servizio del decisore politico, facendo presente la propria esperienza nel settore e le richieste che raccoglieva dalle aziende. Tutto è nato dagli Stati Generali della Robotica Collaborativa, che si sono tenuti nel novembre 2020. Lì Ur ha coinvolto 12 stakeholder, 12 esperti di automazione che provenivano dal sindacato, dalle imprese (Pirelli, Ferrero, Continental…), dalle università, dai centri di competenza, e ognuno di loro ha espresso un’idea sull’uso più evoluto, razionale, ottimizzato della robotica collaborativa nei vari ambiti di interesse. Poi partendo da queste 12 idee è stata redatta la Carta delle Idee, il “manifesto” presentato nell’aprile 2021 con un messaggio del Ministro dell’Università e della Ricerca (ne abbiamo parlato qui: Il Manifesto di Universal Robots: la Carta delle Idee della robotica collaborativa – Industria Italiana).

Secondo Sormani, «è stata un’operazione importantissima a livello politico e di supporto alla robotica collaborativa in generale, e non solo in ottica pro-Universal Robots. Il problema culturale è importantissimo, ed è importante fare opera di sensibilizzazione. Il tema dell’impatto culturale, al di là della politica, dei sindacati eccetera, lo vediamo tutti i giorni in azienda. Abbiamo avuto clienti che ci hanno detto “noi dobbiamo acquistare 6 cobot, ma li prendiamo uno alla volta così gli operai non si spaventano”. Quindi anche andando più su nella catena bisogna tenere conto del dato culturale, e la Carta delle Idee ha dato una bella scossa, a giudicare dalla partecipazione che abbiamo avuto, soprattutto sulle primissime edizioni». Il documento, fra le altre cose, mette in rilievo il ruolo dell’uomo nel processo produttivo, e come la robotica collaborativa contribuisca a mettere l’uomo al centro molto più delle altre tecnologie di automazione. In un’ottica di reskilling, per esempio, l’operaio che prima interagiva in modo limitato con macchine automatiche, perché non era in grado per esempio di riprogrammarle via Plc, con il cobot può con facilità istruire il dispositivo, andando quindi a ricoprire un ruolo più importante e coinvolgente. «Questo documento è un prodromo di quello che sarà Industria 5.0, che vedrà di nuovo l’uomo al centro dell’automazione» ribadisce Sormani. Potete trovare la Carta delle Idee a questo indirizzo: Scopri la carta delle idee della robotica collaborativa 2021 (universal-robots.com).

Formazione e dintorni

Paolo Bassetti, responsabile del settore educational e Academy Universal Robots

Essendo la cobotica una tecnologia relativamente nuova, la sua rapida diffusione e accettazione passa anche attraverso adeguati programmi di formazione, come accennato poco sopra per la parte reskilling. Da tempo Ur dispone di un’Academy di formazione, con un’aula attrezzata in sede dove si potevano istruire 12 persone per volta. All’inizio della pandemia è stato necessario passare alla formazione a distanza, ma già da circa un anno le lezioni in presenza sono riprese, pur con le dovute precauzioni (in particolare il dimezzamento dei posti disponibili). Oltre a questo, Ur sta certificando alcuni partner per farli diventare Authorized Training Center: il primo a diventare operativo è stato quello di Fortek, a San Benedetto del Tronto, e altri si stanno preparando fra Lombardia e Veneto. Il corso base fatto presso questi partner avrà lo stesso valore di quello svolto a Torino; per i corsi di più alto livello, per adesso, bisogna ancora recarsi alla sede di Ur Italia. Oltre ad avere una propria struttura per la formazione, Ur fornisce cobot alle scuole. Ma tutta la sezione formazione di Universal Robots sta ora facendo un ulteriore passo avanti. «Paolo Bassetti è stato nominato responsabile del settore educational e Academy, sia per trasformare l’Academy e i programmi di formazione in generale, anche quelli per i tecnici, in qualcosa di molto più focalizzato sul distributore; sia per tenere i contatti con il mondo dell’educational, quindi scuole, università, centri di competenza. E questo compito lo svolge da tecnico, quindi con la professionalità e competenza che lui possiede, essendo in un certo senso la “memoria storica” di Ur Italia. Inizieremo in autunno a tenere i primi corsi per certificare i professori, che poi a loro volta certificheranno i loro alunni come esperti di robotica collaborativa. Si tratterà di un programma dedicato alle scuole che già dispongono di un cobot o in procinto di acquistarne uno. Riteniamo di fare un passo importante, perché questo programma è pressoché identico a quello che seguono i tecnici delle aziende. Quindi l’employability dello studente che segue il nostro programma è altissimo. Inoltre i robot collaborativi si trovano più frequentemente nelle piccole e medie imprese, che raramente comprano robot industriali, e quindi anche qui l’employability è importante perché i ragazzi, usciti da scuola, si rivolgono in primis alle Pmi del territorio» afferma Sormani. C’è un altro aspetto che aiuta l’employability di chi frequenta i corsi Ur: il cobot usato nei corsi non è una sorta di sofisticato giocattolo o dimostratore tecnologico, come succede per altri produttori: i ragazzi studiano e fanno pratica sul vero cobot che, un giorno, troveranno in azienda. Questo aspetto è molto sentito dalle scuole, in particolare dagli istituti tecnici, per i quali poter inviare alle aziende diplomati con una conoscenza concreta della cobotica è un plus non indifferente. E tra l’altro innescherà un circolo virtuoso, perché la scuola che garantisce maggiori opportunità di lavoro attirerà poi un maggior numero di studenti. I primi a partire con questo programma saranno alcuni istituti tecnici del Veneto e della Lombardia.

Per quanto riguarda la collaborazione con università e competence center, il discorso è un po’ diverso, in quanto la partnership con questo tipo di soggetti è più orientata a fornire know-how, si tratta in genere di progetti di sviluppo per la soluzione di problematiche e per la creazione di soluzioni ad hoc, richieste dalle imprese a queste istituzioni.

Un anno da country manager

Gloria Sormani, country manager Italia di Universal Robots

È passato un anno da quando, nel settembre 2021, Gloria Sormani è diventata country manager. È il momento giusto per i primi bilanci?

«Una cosa che ho notato, fin da quando un paio di ann i fa sono entrata in Universal Robots, è che qui siamo tutti allineati con le strategie della casa madre, e questo non accade molto spesso. Anzi, soprattutto nelle multinazionali si registrano spesso quelle antipatiche dicotomie del tipo “ah sì ma loro stanno lontani e non capiscono come vanno le cose in Italia”. Questo tipo di divisione non ce l’abbiamo, anche perché in UR sono molto orientati sulla Pmi, che ha una mentalità simile in Germania come in Italia. E sono anche molto aperti a sperimentazioni e consigli. Quindi il bilancio è più che positivo. A livello di risultati, l’Italia in questo momento è numero uno in Sud Europa per ordinato, per marketing, a livello globale per pacchetti service venduti – afferma Sormani. Certo i prossimi mesi non si preannunciano facili, ma personalmente dico sempre ai miei (avendone passate parecchie di queste crisi) di pensare a quello che non si è ancora fatto. Cioè, non pensare alla crisi, ma procedere a testa bassa e focalizzarsi su tematiche che ci stanno a cuore dove ci sono ancora spazi importanti di crescita. Quindi questo è il lavoro che stiamo facendo con tutta la squadra, il futuro non ci fa paura».

E questo come si concretizza nei confronti del cliente? «UR resta molto vicina alle aziende, e lo dimostriamo partendo con il leasing a tasso zero. Vuol dire che il cliente paga 600, 800, 1000 euro al mese il suo cobot. In più il leasing si cumula con le formule del piano transizione 4.0, con la Sabatini eccetera, e il cliente finisce quasi per avere il cobot pagato dallo Stato prima di averlo pagato lui…». L’iniziativa, in effetti, è ancora più interessante oggi che i tassi, che per anni erano rimasti al palo, hanno ricominciato a crescere. Per la cronaca, l’offerta di Ur è a tasso zero perché gli interessi li paga per il 75% Universal Robots, e per il restante 25% il distributore. «È uno sforzo da parte di tutta la catena UR» conferma Sormani. E sempre nell’ottica della vicinanza al cliente, oltre alle formule agevolate per il leasing, l’azienda offre molto altro. «Offriamo il service, tanti materiali gratuiti, il nostro obiettivo è di rendere facile e poco oneroso il passaggio alla robotica collaborativa nel lungo periodo».














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