Più di un terzo (36%) delle imprese utenti di cloud è convinto che non riuscirà a raggiungere un livello di interoperabilità significativo, tra le varie “nuvole” in uso, entro due anni.
È il dato più eclatante emerso da una recente indagine condotta su scala mondiale da Idc, che evidenzia una certa difficoltà da parte dei rispondenti a governare efficacemente ambienti complessi composti da cloud privati on-premise, cloud privati gestiti (managed private cloud) e più cloud pubblici.
Sfruttando più cloud pubblici, le aziende possono scegliere le migliori tecnologie (il cosiddetto best-of-breed), ridurre i costi ed evitare il vendor lock-in. Tuttavia, se i clienti non dispongono di uno strumento unificato per gestire i vari cloud, il risultato saranno silos di workload e di dati, andando così a ricreare gli stessi problemi dei data center legacy.
I cloud ibridi, ove l’interoperabilità è il fattore distintivo, offrono ulteriori vantaggi: Opex ridotto, migliore sicurezza e conformità, facilità di monitoraggio, di orchestrazione e di gestione, posizionamento ottimale dei carichi di lavoro, accesso ai dati per le diverse applicazioni, automazione completa e molto altro.
Per andare incontro alle esigente degli utenti, i diversi fornitori It e di servizi cloud stanno sviluppando gli strumenti idonei per fornire un’esperienza cloud ibrida coerente. Pertanto, è probabile che tra due anni la maggior parte dei clienti aziendali disporrà di cloud ibridi o, quantomeno, di ambienti multicloud con un significativo livello di interoperabilità.