Stellantis stuzzica l’Italia con la gigafactory… ecco che cosa chiede in cambio

di Marco Scotti ♦︎ Il nuovo plant del Gruppo automobilistico servirà per corroborare l’elettrificazione della flotta e concludere una transizione che sarà anche aiutata dal Pnrr. Ma in lizza, oltre al nostro Paese, c’è anche la Spagna, che dopo Francia e Germania si candida per ospitare la maxi fabbrica di moderna concezione. I dissapori fra Elkann e Giorgetti e il precedente di Cnh Industrial

Non si amano John Elkann e Giancarlo Giorgetti. Troppe differenze culturali, di estrazione, di visione. Il titolare del Mise vorrebbe che Stellantis mantenesse un 50% di italianità e che avesse ancora la faccia tutto sommato rassicurante della Fiat che fu. Il nipote dell’Avvocato invece guarda al business, alla remunerazione degli azionisti di Exor. E punta a massimizzare la propria quota nella neonata azienda che fonde Fca e Psa. Eppure, le antipatie devono essere state superate, se è vero che nelle ultime settimane ci sono stati parecchi incontri tra Giorgetti e il duo Elkann/Tavares e tra i funzionari del Mise e il top management dell’azienda automotive. In ballo, in effetti, ci sono parecchi spunti di riflessione, che ricadono tendenzialmente sotto un unico nome: “Gigafactory”.

Di che cosa si tratta? L’eponimo è quello impiegato da Elon Musk per Tesla, con la costruzione in Nevada di un plant per la produzione delle batterie che alimentano tutti i prodotti della casa di Fremont. E anche nel caso di Stellantis la Gigafactory servirà per corroborare l’elettrificazione della flotta e concludere una transizione che sarà anche aiutata dal Pnrr. Il Piano di Ripresa e Resilienza, infatti, ha posto al centro dell’intero progetto la green economy, la riduzione delle emissioni, la creazione di una manifattura a impatto (quasi) zero. Passando, ovviamente, per una digitalizzazione dei processi produttivi, della pubblica amministrazione e di tutti gli altri comparti che compongono l’ossatura del Paese. Sulla carta, un progetto straordinario che potrebbe portare a un incremento del pil notevole non soltanto per effetto del “rimbalzo” nel post-Covid, ma anche e soprattutto per un nuovo indirizzo dato all’intera cosa pubblica. Ma tra il dire e il fare, come insegna il proverbio, c’è di mezzo la possibilità di mettere in pratica tutti questi buoni propositi. Il garante della fattibilità dei progetti è Mario Draghi. Il quale si è speso in prima persona per la scrittura del Pnrr e ha la credibilità necessaria in Italia e in Europa per farlo approvare. Ma che c’entra tutto questo con la Gigafactory di Stellantis? C’entra in maniera significativa, come vedremo tra poco. Prima, però, è necessario ricostruire le tappe del rapporto tra Elkann e Giorgetti.







 

I motivi dei dissapori

Il ministro del Mise Giancarlo Giorgetti

Il titolare del Mise e il presidente di Stellantis, insieme a Carlos Tavares, si erano incontrati a più riprese. Il 24 maggio – come riportato da Tag43 – l’appuntamento è stato però glaciale. Sette minuti di colloquio, sostanzialmente serviti a ricordare al duo che guida l’azienda automotive che in Italia non si può fare carne di porco né con i dipendenti degli stabilimenti né con i fornitori. Perché Stellantis (che ancora si chiamava Fca, ma poco importa ai fini contabili) ha ricevuto 6,3 miliardi di finanziamento da parte di Intesa Sanpaolo garantiti all’80% da Sace. Significa che se le cose dovessero andare malissimo lo Stato si ritrovrebbe sul groppone 5 miliardi da ripagare.

Non solo: Stellantis ha potuto beneficiare della cosiddetta “Cassa Covid”, cioè la cassa integrazione agevolata che il governo ha messo a disposizione delle imprese quando ci si è resi conto che la pandemia avrebbe avuto effetti potenzialmente teratogeni su molti settori produttivi. Ovviamente, l’automotive – che ha perso oltre un quarto delle vendite nel 2020 – è stato tra i comparti più colpiti e che hanno necessitato di maggiori aiuti di carattere pubblico. Però ci sono almeno tre motivi per cui Giorgetti non è contento. Prima di tutto, è bene ricordare che a Melfi la cassa integrazione è prorogata per 1.000 operai fino al 27 giugno; sempre nello stabilimento sono state disposte le ferie lunghe dal 9 al 29 agosto per evitare che si accumulino a fine anno e debbano essere pagate; e poi rimane sempre lo spauracchio di possibili esuberi e scivoli per i dipendenti in eccesso. Ecco, in questo clima incerto, il ministro dello Sviluppo Economico non può apprezzare che Stellantis con l’altra mano annunci nuovi piani in Francia dove i sindacati e il governo hanno fatto fronte comune e hanno annunciato il “no” definitivo a qualsiasi tipo di trasferimento della produzione. E, c’è da scommetterci, Giorgetti non avrà perso l’occasione di ricordare al duo ElkannTavares che ci sono contratti da rispettare e che né lui e né Draghi sono disposti a tollerare riduzioni dell’impegno in Italia almeno fino alla definitiva restituzione del finanziamento.

Linea di produzione nella fabbrica Fca di Torino

Non solo: già la scorsa estate si era sparsa la voce che il segmento B delle auto – quello in cui Stellantis è più attiva – avrebbe adottato gli standard francesi (e non quelli italiani) e avrebbe prodotto diverse automobili in Polonia. In sostanza, le catene di sub-fornitura del nostro Paese si sono ritrovate dall’oggi al domani con un “avviso di sfratto” che diceva loro senza mezzi termini che tutti gli accordi sarebbero stati rinegoziati. D’altronde, era prevedibile che la Francia sarebbe stata preponderante. Perché è vero che il primo azionista è Exor con il 14,4% e che la famiglia Peugeot ha esattamente la metà delle quote, ma è altrettanto incontestabile che la presenza del governo francese con il 6,2% ristabilisce immediatamente i rapporti di forza. Quale azienda, infatti, potrebbe mettersi a fare un braccio di ferro con la Francia? Tra l’altro, il consiglio di amministrazione si compone di 11 membri, sei dei quali di provenienza Psa (compreso l’amministratore delegato) e cinque di Fca. John Elkann è sì il presidente, ma le vere deleghe operative sono in capo a Tavares.

Infine, non va dimenticato che Stellantis ha avviato un complesso sistema di riorganizzazione dei concessionari che mira fondamentalmente a rivedere i margini. D’altronde, l’equazione è semplice: l’automotive aveva già avviato investimenti multimiliardari per iniziare la transizione energetica. Il Covid ha drasticamente ridotto i fatturati portandone molti in rosso. Le macchine elettriche hanno – e avranno per i prossimi anni – un costo nettamente superiore a quelle a benzina o gasolio. Tradotto, se ne venderanno meno. Ecco perché nessuno, compresa Stellantis, può permettersi di non portare avanti un sistema di revisione completo di tutte le voci di costo, ottimizzandole in un’ottica di economia di scala. Questo è il motivo principale per cui le fusioni sono e saranno all’ordine del giorno adesso e in futuro.

 

Il precedente di Cnh Industrial

Chn Industrial : i macchinari agricoli automatizzati sono in costante comunicazione con i sensori atmosferici e con quelli impiantati sulle colture, così da ottimizzare al massimo la sostenibilità aziendale, adattando il complesso sistema alla reale situazione

A proposito di fusioni, altro motivo di scontro tra Elkann e Giorgetti riguarda il dossier Cnh Industrial/Iveco. In questo caso Stellantis non c’entra, ma quando alla fine del 2020 venne annunciata la trattativa con i cinesi di Faw nessuno nell’allora governo Conte si sognò di dire qualcosa. L’accordo stentava a decollare perché tra offerta (3,5 miliardi) e domanda (4 miliardi) ballavano troppi soldi per poter far finta di niente. Nel frattempo, però, a Giuseppe Conte è succeduto Mario Draghi e, con lui, è arrivato al potere Giancarlo Giorgetti. Questi, interpellato in proposito, aveva auspicato uno stop alla trattativa.

Il motivo è presto detto: nella bozza preliminare su cui si stava discutendo con i cinesi, era stato inserito nel perimetro di Cnh Industrial anche la parte relativa a Iveco Defence Vehicles (veicoli per la difesa e la protezione civile). Un tema su cui il governo ha immediatamente annunciato di voler attivare la golden power, di fatto facendo scappare a gambe levate Faw che si è vista stritolata nella morsa della politica sia in patria – con le ben note e immaginabili restrizioni imposte dal regime cinese – sia in Italia. Ma Elkann, che ha in testa di monetizzare Cnh Industrial non ha battuto ciglio e ha provato ad aggirare l’ostacolo Giorgetti. Come? Annunciando il nome dell’amministratore delegato di Cnh Industrial per il segmento on-highway (ovvero quei veicoli di grandi dimensioni ma che possono transitare su strade e autostrade), Gerrit Marx. Piccolo dettaglio: questa società ancora non esiste, ma è stata annunciata per l’inizio del 2022, quando verrà creata tramite spin-off delle attività di Cnh con successiva quotazione in borsa. E una volta sul mercato, chi potrà impedire che i cinesi, o chi per essi, rilevino un pacchetto di quote tale da detenere il potere? Anche in questo caso è naturale pensare che Giorgetti non abbia apprezzato.

 

La Gigafactory e la concorrenza della Spagna

John Elkann, presidente di Stellantis e presidente e ad di Exor

È dunque con quest’animo non esattamente disteso che si arriva agli ultimi giorni. Stellantis, infatti, ha annunciato che, dopo Francia e Germania, è pronta a costruire una nuova gigafactory per la realizzazione delle batterie in un altro Paese. E subito si è scatenata la corsa. In lizza ci sono Italia e Spagna. Torino è scesa in piazza subito, chiedendo che Mirafiori venga riconvertita e trasformata in una fabbrica di moderna concezione. Il governo stesso, resosi conto dell’importanza della partita, ha deciso di diventare interventista e di marcare stretto Elkann e Tavares. I quali, a loro volta, non hanno alcuna fretta ma che sanno di poter mettere in piedi un’asta tra noi e gli spagnoli. Facciamo due rapidi conti: Fca (ora Stellantis) ha ricevuto 6,3 miliardi garantiti all’80% dallo stato; si è impegnata a effettuare 5,2 miliardi di investimenti nel nostro paese; il governo, dal canto suo, ha già detto di essere disposto a mettere sul piatto almeno 600 milioni per la realizzazione della Gigafactory. Ma questi soldi – come riferisce il Sole 24 Ore – potrebbero lievitare fino ad arrivare a 1,8 miliardi. Per questo motivo nelle ultime settimane ci sono stati cinque incontri tra il top management di Stellantis e il ministro della Transizione Ecologica Cingolani. Siamo sostanzialmente di fronte a una trattativa. Da una parte il governo che spinge per avere in Italia posti di lavoro e produzioni in linea con il Pnrr, dall’altra Stellantis che mira a ottenere le migliori condizioni possibili, cioè una quota maggiore d’investimento da parte delle istituzioni. Il prestito da 6,3 miliardi andrà rimborsato entro marzo 2023 e dovrà essere rimborsato in tranche trimestrali di pari importo a partire dal 31 marzo 2022. Chiaro e prevedibile che Stellantis punti a ottenere condizioni di favore per il rimborso. Il governo, dal canto suo, chiede che la Gigafactory non rientri nei 5,2 miliardi di investimenti che l’azienda automotive aveva promesso.

Carlos Tavares, ceo di Stellantis

Intanto, c’è da registrare l’agitazione dei sindacati nostrani, che chiedono a gran voce che la fabbrica venga fatta in Italia. Il 15 giugno Giorgetti incontra le sigle dei metalmeccanici. In un’intervista a Repubblica del 14 giugno il segretario della Fim di Torino Davide Provenzano ha chiesto un impegno maggiore: «La gigafactory è importante, ma da sola non basta, serve un nuovo modello che porti volumi e la creazione di una nuova “Grande Mirafiori” mettendo insieme lo stabilimento di corso Agnelli e quello di Grugliasco. “Dalle informazioni che abbiamo la Jeep junior, progettata dagli Enti Centrali a Torino, sarà realizzata in Polonia nella fabbrica di Tychy». Fosche sono anche le previsioni di Fismic Confsal, per bocca del suo segretario generale Roberto Di Maulo. «Come Fismic Confsal dal confronto con il Governo abbiamo speranze e buone aspettative – ha detto a Radiocor – per quanto riguarda i lavoratori italiani di Stellantis, ma c’e’ il rischio che quelli dell’indotto non vengano tutelati in eguale misura». In questo settore, infatti, ci sono aziende su cui la politica di contenimento dei costi sta procurando la perdita di migliaia di posti di lavoro (una stima prudenziale assomma già ad oltre 10mila disoccupati). Queste settimane sono decisive. Finora i governi, da quelli degli anni ‘70 fino alla creazione degli incentivi ad hoc per salvare la Fiat negli anni ‘90, sono sempre stati decisamente accomodanti. Né hanno storto il naso quando la de-italianizzazione dell’azienda fondata dal senatore Giovanni Agnelli è stata portata a termine con pervicacia da Sergio Marchionne e dalla famiglia proprietaria. Se ora le istituzioni riusciranno a fare sì che Stellantis si ricordi della sua origine, allora tutto il sistema manifatturiero nostrano ne beneficerà. Altrimenti, è bene fin d’ora iniziare a prepararsi a raccogliere le inevitabili macerie.














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