Lo spazio torna ad attirare investimenti e tra 10 anni la Space Economy varrà mille miliardi

di Laura Magna ♦︎ Grazie anche agli investimenti privati di miliardari come Bezos, Musk e Branson i viaggi nello spazio tornano ad affascinare e l'Italia è ben posizionata per ritagliarsi la sua fetta. Grazie al lavoro di colossi come Avio e Leonardo (con Thales Alenia Space e Telespazio), di Pmi quali Sitael e Argotec e di start-up come D-Orbit, Picosats e Latitudo. I progetti di Leaf Space e Aiko, Caracol. La visione di Gianluca Dettori, fondatore di Primo Space

Una generazione di “astropeneurs” si fa strada anche in Italia. Sono i seguaci di Jeff Bezos, Elon Musk, Richard Branson che con Blue Origin, SpaceX, Virgin Galactic hanno dato vita all’industria privata dell’aerospazio. Un settore – che globalmente vale 430 miliardi di dollari e punta ai mille entro dieci anni – in cui il nostro Paese può giocare un ruolo di primo piano. Perché vanta industrie importanti e consolidate come Avio e Leonardo (con Thales Alenia Space e Telespazio), ma anche medie imprese come Sitael e Argotec, specializzate nella costruzione di piccoli satelliti e Altec, che si occupa di servizi logistici di supporto alla Stazione Spaziale Internazionale. Mentre si fanno strada una miriade di start-up, dalla comasca D-Orbit, che è focalizzata nei trasporti spaziali, alla triestina Picosats, nello sviluppo di tecnologie per microsatelliti, alla napoletana Latitudo attiva nell’utilizzo dei dati geospaziali.

Ma soprattutto perché ha una peculiarità che pochi altri hanno, «ovvero la sovranità della tecnologia. In Italia c’è un fornitore che sa fare qualsiasi elemento di un device spaziale, dal software, al motore, al lanciatore, allo chassis. Questo perché siamo la seconda manifattura d’Europa e la sesta nel mondo. E non è un caso che siamo stati i terzi al mondo a lanciare un satellite negli anni ’70, dopo Usa e Russia». A dirlo a Industria Italiana è Gianluca Dettori, manager in Olivetti e uno dei pionieri di Internet in Italia. Da general manager di Lycos Bertelsmann per l’Italia, Dettori ha lanciato il primo motore di ricerca online al mondo – in Italia – e nel 1999 ha cofondato Vitaminic, piattaforma per la distribuzione di musica digitale su web e mobile (una Spotify ante litteram), portandola alla quotazione sul Nuovo Mercato di Borsa Italiana nel 2000.







Dettori è senza dubbio un visionario. Ed è significativo che oggi, occupandosi di venture capital (è anche presidente di Vc Hub, l’associazione di riferimento del settore) con Primomiglio Sgr, abbia dato vita al primo veicolo di investimento in campo europeo con focus sulla new space economy, con una dimensione target di più di 80 milioni di euro. «Abbiamo deciso di fondare Primo Space avendo notato che alcuni venture nel mondo si erano mossi su diversi investimenti nel settore e che di fatto si stava formando una nuova asset class, pur non essendoci alcun operatore specializzato – dice Dettori – Primo Space è stato riconosciuto da Cdp con il fondo di fondi Vc e dell’European investment fund come progetto più credibile in Europa. Nell’anno che si chiude al primo trimestre 2021 il settore della new space economy intanto ha attratto nel mondo oltre 8 miliardi di investimenti venture (il doppio anno rispetto a marzo 2020)».

 

Space economy: un mercato da mille miliardi in profonda trasformazione

Gianluca Dettori

La space economy vale oltre 400 miliardi di dollari secondo il provider di dati Statista e una cifra simile per la Space Foundation. Di questi enorme giro di affari, l’80% deriva da aziende di tipo prettamente commerciale. Un report di Morgan Stanley, dal titolo “Space: Investing in the Final Frontier“ prevede che il settore raggiungerà la dimensione di mille miliardi di dollari nei prossimi anni. È proprio l’effetto dell’ingresso dei privati, reso possibile dall’abbassamento delle barriere di entrata, che traina oggi nel campo anche il venture capital che si stima nel 2019 abbia investito oltre 4 miliardi di dollari globalmente e 8 miliardi l’anno successivo.

 

La space economy? Come Internet

«All’incirca un quinquennio fa nel campo spaziale è successa una cosa che ha cambiato lo scenario. Una dinamica simile a quella che abbiamo visto con internet – dice Dettori – Internet nasce come infrastruttura pubblica di ricerca e militare, a un certo punto viene resa disponibile ai privati per scopi commerciali. Con lo spazio è accaduto lo stesso: da ambito di ricerca e militare è diventato alla portata delle imprese private. Esiste un anno zero di questo nuovo corso, ed è lo Space Act di Obama mirato a liberalizzare il mercato dei lanciatori, con tutta la tecnologia che era a guida pubblica, in mano alle agenzie spaziali e alle grandi aziende sviluppate intorno a grandi commesse di Nasa negli Stati Uniti e di Esa in Europa». Con l’apertura ai privati, dai pionieri Jeff Bezos, Elon Musk, Richard Branson, sono nate decine di società focalizzate su progetti a rapido sviluppo e con scopo commerciale. I progetti di lancio anno dopo anno sono aumentati in maniera esponenziale perché nel frattempo i costi della tecnologia si sono abbassati in maniera drastica (e la tecnologia ha offerto sempre più opportunità di realizzare in pratica la visione degli imprenditori).

 

Satelliti da un chilo che cambieranno il mondo (non solo lo spazio)

Eos Beatrice. Con l’apertura ai privati, dai pionieri Jeff Bezos, Elon Musk, Richard Branson, sono nate decine di società focalizzate su progetti a rapido sviluppo e con scopo commerciale. I progetti di lancio anno dopo anno sono aumentati in maniera esponenziale perché nel frattempo i costi della tecnologia si sono abbassati in maniera drastica

E torna la metafora di Internet. «Prima un hard disk che conteneva un giga di dati era grande come una stanza; oggi un tera byte sta in un microchip. Un satellite come “cubesat”, oggi, è un cubo con il lato di dieci centimetri e pesa anche un chilo, con fotocamere di tutti i tipi, sensori, batterie a bordo». Grazie ai cubesat e ai lanciatori riutilizzabili, come il Falcon 9 di SpaceX, l’accesso allo spazio si fa sempre più democratico. È già in orbita la più grande costellazione di microsatelliti di sempre, Starlink: sempre firmata Musk, 1360 oggetti che scannerizzano il pianeta, raccolgono dati dalla terra e offrono servizi.

 

L’industria italiana dell’aerospazio, con Torino e Bari al centro

L’ingresso dei privati non ha fatto scemare quello del pubblico. Per guardare in Italia, l’Asi (Agenzia Spaziale Italiana), con un miliardo di euro all’anno di budget e un approccio sistemico continua a essere di fatto l’abilitatore di tutto l’ecosistema. L’Italia è il terzo contributore dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea e il secondo in Europa come budget spaziale in proporzione al Pil. Nel Pnrr sonos stati stanziati 1,29 miliardi di euro per le tecnologie satellitari e l’economia spaziale: «allo spazio – si legge nel piano – è ormai ampiamente riconosciuto il ruolo di attività strategica per lo sviluppo economico, sia per il potenziale impulso che può dare al progresso tecnologico e ai grandi temi di ‘transizione’ dei sistemi economici». E poi c’è un’industria aerospaziale florida e di grande tradizione (di cui abbiamo fatto cenno in apertura), che è la sesta al mondo. Torino e Bari ne sono i centri nevralgici.

Eos launch site. Grazie ai cubesat e ai lanciatori riutilizzabili, come il Falcon 9 di SpaceX, l’accesso allo spazio si fa sempre più democratico. È già in orbita la più grande costellazione di microsatelliti di sempre, Starlink: sempre firmata Musk

Vale la pena ricordare che a Torino sta per vedere la luce l’ESA Business Incubation Centre Turin, che da ottobre e per sette anni avrà la missione di supportare l’avvio e lo sviluppo di almeno 65 start-up della space economy. Per la costituzione dell’incubatore l’Agenzia spaziale europea ha designato l’incubatore del Politecnico di Torino I3P, il Politecnico di Torino e Fondazione Links. Ma non solo: a Torino avrà sede il centro aerospaziale “Città dell’Aerospazio” di cui l’Esa Business Incubation Centre Turin rappresenta solo un tassello. Un altro è la ricerca che nel settore si fa in ambito accademico, nel Politecnico del capoluogo piemontese. Da Nord a Sud: nell’area di Bari c’è un intero cluster dedicato all’aerospazio, «un’azienda incredibile come Sitael, e il Politecnico di Bari che ospita una cattedra in ingegneria aerospaziale», dice Dettori, che ricorda che poco distante, a Grottaglie, nella provincia di Taranto, «verrà istallato lo spazioporto europeo dalla Virgin, nell’ex aeroporto militare situato in un angolo perfetto di 45 gradi vicino al mare. La prossima frontiera saranno i voli suborbitali che consentono a un velivolo di raggiungere qualunque punto della terra in 30 minuti. Per andare negli Usa per esempio converrà prendere un volo per Grottaglie e poi salire con un volo suborbitale».

 

Upstream e downstream

Eos Caronte. Per guardare in Italia, l’Asi (Agenzia Spaziale Italiana), con un miliardo di euro all’anno di budget e un approccio sistemico continua a essere di fatto l’abilitatore di tutto l’ecosistema. L’Italia è il terzo contributore dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea e il secondo in Europa come budget spaziale in proporzione al Pil. Nel Pnrr sonos stati stanziati 1,29 miliardi di euro per le tecnologie satellitari e l’economia spaziale

La new space economy è un settore ampio e variegato e quanto detto finora lo dimostra già. «In generale – precisa Dettori – Ci sono due campi di investimento nell’aerospazio: uno upstream che è la tecnologia che serve per andare nello spazio e produrre servizi tramite lo spazio. I nostri investimenti, 8,1 milioni nel primo anno di attività, sono al momento focalizzati su questo: Pangea è una startup di Barcellona che produce un motore particolare che si può stampare in 3d e consente efficienza in volo, grazie a un risparmio del 30-40 % di benzina. Leaf Space di Lomazzo sta sviluppando una rete per captare i segnali dei satelliti a bassa orbita. Aiko, infine, produce un sistema Ai che viene montato su satelliti e rover che devono prendere decisioni quando, per esempio, incontrano un problema mentre sono su Marte». A Lomazzo ha sede anche Caracol, che fa manifattura additiva e stampa 3d di componenti ad alta performance. Nel radar di Primo Space è finita ancora Astrocast, società svizzera quotata a Oslo che sta costruendo una costellazione di satelliti per Iot. E infine l’investimento più recente (1,5 milioni con Cdp Venture Capital-Fondo Italia Venture II), riguarda Sidereus Space Dynamics, startup napoletana che si occupa di trasporto spaziale e in particolare sta sviluppando il lanciatore orbitale Eos, il “pc dell’aerospazio”, come lo definiscono i fondatori. Ovvero un veicolo caratterizzato da dimensioni ridotte (un’altezza di un decimo rispetto ai veicoli tradizionali) in grado di lanciare carichi nello spazio, svolgere attività in orbita e procedere al recupero di microsatelliti. Con il round seed sarà possibile proseguire lo sviluppo del prototipo “Virgilio” nei prossimi 18 mesi: la sperimentazione del primo veicolo, Caronte, è stata avviata a fine 2020 e l’attività dei lanciatori dovrebbe andare a regime nel 2024, secondo il piano industriale.

La seconda categoria di investimenti è quella downstream, ovvero i servizi a terra che si possono fornire usando l’aerospazio, captando i dati dallo spazio. A investire in questo ambito sono anche le Gafa (Google, Amazon, Facebook e Apple). Amazon, tanto per fare un esempio, ha lanciato un servizio di ground station legato ad Amazon Web Services; Google e Apple hanno acquisito, rispettivamente, Terra Bella e MapSense. Facebook ha il suo satellite per l’accesso a Internet, “Athena” «Le applicazioni sono innumerevoli: nell’agricoltura, nel settore assicurativo, nella logistica, nel marketing, in situazioni di disaster recovery, nel monitoraggio di infrastrutture. Una classe di satelliti di nuova generazione è in grado di rilevare di quanti cm cresce il grano giorno per giorno. Quanto petrolio viene estratto guardando i barili, quante auto ci sono di fianco ai concessionari, misurare il traffico, l’avanzamento lavori nei cantieri, il funzionamento degli impianti, il passaggio di merci, treni, navi. La quantità di servizi è ampia e in questa nuova classe di satelliti l’Italia essere leader. Il Gss Galileo Copernico (equivalente europeo del Gps) ha funzionalità avanzate. Queste aziende sono realmente glocal, nascono magari in una provincia, ma operano in tutta la terra. Esportare il nostro know how e impiegare alto valore aggiunto è l’obiettivo di Primo Space. Con la possibilità di far nascere nuove imprese fatte da una nuova generazione di imprenditori: abbiamo davanti a noi dai 30 ai 50 anni di nuove aziende da costruire».

Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 1° ottobre 2021














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