Le novità e i cinque pilastri della Lean

di Laura Magna ♦︎ Rendere più snelli i processi non solo produttivi, ma anche Hr e finance, coinvolgendo così tutte le funzioni aziendali. È la sfida del lean management. Ne abbiamo parlato con Marcello Galimberti, Lean Six Sigma Senior Consultant per Csmt

Applicare l’approccio lean non solo ai processi produttivi, ma anche a quelli collaterali all’interno di un’azienda manifatturiera. La logistica, l’area finanza, la ricerca e sviluppo, le risorse umane: tutto può avere un’organizzazione snella, un flusso che abbatta gli sprechi e con essi i costi. È una domanda sempre più pressante da parte delle imprese che tendono al miglioramento continuo e l’ingegner Marcello Galimberti, Lean Six Sigma Senior Consultant per Csmt, l’ha trasformata in una metodologia e concretizzata anche in un corso di studi ad hoc, il Master Maxe2020. Perché il passaggio dell’applicazione della lean dal processo produttivo all’office richiede un’evoluzione culturale, in quanto prevede di maneggiare dati che sono senza dubbio il maggior patrimonio di qualsiasi azienda nel mondo del 4.0 ma sono altresì un mondo con ampio margine di imprevedibilità e per cui gli standard classici non sempre funzionano. 

Con Galimberti Industria Italiana ha parlato di questa nuova frontiera dell’organizzazione snella, nel trentennale della sua teorizzazione. «Se dovessi tracciare una traiettoria per quelle che sono le evoluzioni che si stanno avendo in questo approccio che ormai è un classico, c’è un passaggio da lean manufacturing, che concerne la trasformazione di prodotto, a tutte le attività che riguardano la trasformazione dell’informazione. Ovvero, questa filosofia si sta estendendo dai processi produttivi a quelli di supporto, cruciali come la progettazione ma anche corollari, come la logistica, la reportistica, l’area finanza, l’amministrazione. Le aziende sono sempre più convinte che le stesse idee di riduzione degli sprechi e semplificazione vadano applicate anche ai processi che muovono l’informazione», spiega Galimberti. E si tratta in effetti di una rivoluzione, anche se non è che un’espansione del concetto base del lean che è il “kaizen”, «il principio base che significa pensare meglio, un approccio che richiede di mettere continuamente in discussione quello che si sa e si fa e rende il lavoro di tutti i giorni meno monotono. Bisogna abituarsi a fare cose diverse e diversamente le stesse cose. Questo consente alle persone di divertirsi mentre lavorano e se ci si diverte mentre si lavora viene naturale mettere la propria creatività e intelligenza al servizio della mansione che si sta svolgendo». 







 

L’approccio Lean Tradizionale

Marcello Galimberti, Lean Six Sigma Senior Consultant per Csmt,

Per comprendere a fondo di cosa parliamo, vale la pena fare un passo indietro e raccontare in cosa si sostanzia l’approccio Lean che, a partire dagli anni Novanta e dalla Toyota, si è diffuso in aziende di diverso tipo. Uno dei casi di scuola più citati in letteratura è l’applicazione, nel 1999, nel Virginia Mason Medical Center di Seattle. Ma la lean è stata adottata con profitto anche, per esempio, da Marazzi in Russia dove l’azienda ha due stabilimenti che producono 30 milioni di piastrelle all’anno e, grazie al pensiero snello, sono passati da 800 a 2000 dipendenti. Natuzzi, il produttore di divani delle Murge ha di recente rivisto l’intero processo produttivo in ottica Lean per perfezionare il suo rilancio: ha introdotto il concetto di piattaforma mutuato dall’automotive in una lavorazione tipicamente artigianale, scomponendo il divano in pezzi standardizzabili e assemblabili.

La linea occupa il 40% di spazio in meno a parità di volumi. E promette di riportare il gruppo all’utile dopo una lunga crisi. Sena considerare le centinaia di casi di pmi che con un’organizzazione snella hanno ottenuto sensibili miglioramenti della produttività. Il pensiero (o la produzione) snello consente, alle aziende che vogliono digitalizzarsi, di evitare di digitalizzare lo spreco. Perché esistono processi e percorsi all’interno delle prassi aziendali – in tutte le aziende – che non sempre sono codificati e perfetti. Spesso, per non dire sempre, esistono colli di bottiglia che causano perdite in termini di tempo e denaro. Se si digitalizzano queste pratiche imperfette, si corre il pericolo di accelerare la perdita di tempo e denaro causata dallo spreco. Di Lean production si parla per la prima volta in maniera scientifica nel 1993 nel libro « »La macchina che ha cambiato il mondo« » di James P. Womack, direttore dell’International Motor Vehicle Program (IMVP) al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Cambridge (e fondatore e presidente del Lean Enterprise Institute, una istituzione no-profit per la diffusione e lo studio del Lean thinking). Il professore di fatto codifica il Toyota Production System, che si basa sull’abbattimento degli sprechi – in particolare nel caso della casa auto la sovrapproduzione.

 

Sette sprechi e cinque principi

Ogni azienda dovrà valutare nello specifico qual è per essa lo spreco più rilevante. E una volta superato questo passaggio, il Lean thinking prevede che si applichino alla produzione cinque principi capaci di generare una semplificazione estrema dei processi intorno al concetto di «valore». 

I sette sprechicui soggiace la produzione possono riguardare il processo, quando si verifica un eccesso di attività che non sono produttive di valore; il movimento, quando il lavoratore è costretto a spostamenti per raggiungere materie prime o semilavorati che sono collocati lontano dalla linea; i prodotti difettosi, che devono essere scartati o rilavorati; le scorte, quando si acquistano o si producono componenti in eccesso rispetto al fabbisogno del processo successivo; la sovrapproduzione, la produzione di beni in eccesso rispetto alla domanda del cliente o le necessità del processo successivo; l’attesa, quando si impiega il tempo in maniera non produttiva; il trasporto, quando si movimentano gli oggetti senza che quest’azione produca valore. 

Toyota Production System

I cinque principi che consentono di ridurre questo spreco sono invece i seguenti. Il primo è la definizione del valore nella percezione del cliente, il quid per cui il destinatario del nostro prodotto/servizio è disposto a pagare. Il secondo passo è la ricerca dei processi che generano valore all’interno dell’azienda. Si calcola che solo un terzo delle attività aziendali generino valore e il resto si divida equamente tra attività non cruciali per il core il business e spreco. Fatta questa scrematura, le attività utili devono essere correlate tra di loro per generare un flusso entro cui far scorrere il valore. Il flusso, una volta creato e standardizzato, non deve partire in automatico ma essere “tirato”, ovvero innescato, dal cliente e questo per riuscire a dare vita a un ciclo produttivo just in time, in cui si eviti di immobilizzare scorte e di fare lavorazioni in anticipo.  Infine, l’ultimo elemento è la ricerca della perfezione. La lean è un percorso dinamico che ha la durata della vita della stessa azienda e che muta nel tempo insieme al concetto di valore e alla domanda dei clienti. Per cui i cinque principi si continuano ad applicare, anch’essi, in un flusso continuo.

 

Applicare la lean alle funzioni periferiche

Toyota Production System

Spiega Galimberti: «Ci sono differenze rilevanti però quando si parla di office, rispetto a un approccio tradizionale produttivo. Perché quando produciamo un bene lo facciamo sulla base di una domanda che viene elaborata da sistemi informativi interni e da cui scaturisce un piano di informazione. Un processo prevedibile che nel caso della gestione dei dati non esiste. Se chiede a un ufficio a acquisti quanti ordini riceverà, non lo sa: esiste una variabilità in termini di numero delle attività e di tempistiche della singola attività, nonché di intensità. Un ufficio comunicazione non sa quante telefonate riceverà, quante dureranno pochi minuti, quante saranno lunghe interviste e così via. Questa caratteristiche ha portato a dover sviluppare modelli innovativi di lean che garantiscono la snellezza, e abbiamo usato la matematica e la statistica per bilanciare le attività».

Un’altra caratteristica distintiva del lean office è che si svolge in un luogo «dove i compiti sono molteplici, mentre negli ambienti produttivi le persone seguono una o due attività al massimo. In una amministrazione finanzia, per esempio, si contano 70 task e sin deve considerare anche la polivalenza delle persone. D’altro canto una gestione lean consente di sfruttare al massimo la potenzialità dei dati, che sono enormi in termini quantitativi, provengono da fonti diversi e hanno caratteristiche e forme molto diverse tra loro, sono disomogenei. Cercare di dare coerenza e una forma più intelligibile può aiutare a sfruttarli al meglio, soprattutto perché la quantità di dati che abbiamo a disposizione aumenta vertiginosamente e riuscire a usarli in maniera coerente in azienda è sempre più difficile».

 

Tecnica ed etica per formare i manager lean

Lean production

Insomma, l’applicazione pratica del lean alle funzioni non produttive richiede un profondo mutamento culturale. Per innescarlo CSMT ha organizzato con SMAE – School of Management and Advanced Education dell’Università degli Studi di Brescia, in collaborazione con ISFOR e patrocinato da AIB, un master dedicato al cambiamento, per imparare la tecnica così da applicarla, con visione e coscienza etica, al raggiungimento di una condizione nuova, ad un modo nuovo di vivere il mondo del lavoro. Si chiama Maxe2020 ed è un percorso che forma un manager con una straordinaria capacità innovativa: le idee nascono in modo quasi spontaneo e risultano subito sane e sostenibili. Una figura con pensiero lean, visione globale, che sa prevedere l’impatto delle sue decisioni verso tutti gli stakeholder, territorio compreso e sa concepire l’impresa come motore di sviluppo. Un manager capace di intergrare robust design con economia circolare, lean tools con welfare e strategia di sostenibilità, intelligenza artificiale con organizzazioni aperte e agili.

 

La lean dei dati 

Lean production in industria automotive

Abbiamo detto che la lean office ha al suo centro la gestione dei dati, che sono un patrimonio importante per le aziende, ma possono essere inutili se non si trasformano in informazioni. Per gestire i dati con un approccio lean sono necessari innanzitutto strumenti tecnologici. «L’intelligenza artificiale è la base per indagare sui dati: riuscire a navigare nel mare magnum dei big data ed estrarre cose utili è una frontiera nuova». Quanto sono pronte a questa nuova rivoluzione le aziende italiane? «Lo sono più di quello che immaginassi. Le aziende hanno da qualche anno compreso le logiche lean, che mirano a cercare di eliminare gli sprechi e le attività collaterali. Ora che la parte fabbrica è stata messa a posto, si considera che l’azienda non è fatta solo di colletti blu ma di moltissime altre persone che fanno marketing, acquisti, inizia a esserci una sensibilità nell’ottica di dare servizio insieme al prodotto, riducendo i costi. Molti dei costi inutili si annidano proprio nella trasformazione dell’informazione. Pianificazione, acquisti, logistica, marketing, tutte le funzioni laterali. Tutti i costi che per aggredire bisogna semplificare il processo», continua Galimberti.

Secondo il professore, nell’industria metalmeccanica il 70% delle aziende ha lavorato in termini di miglioramento dei processi «e ne rimane un 30% fatto da piccole e piccolissime che essenzialmente per una questione dimensionale non possono affrontare questi argomenti. La proporzione è inversa quando parliamo di lean office. Che riguarda le aziende già evolute che vogliono affrontare la razionalizzazione di questo processi e abbattere costi che erano sommersi»

 

Come si costruisce il lean office

La scelta di adottare per la propria organizzazione un approccio lean deve partire dal management. «In genere, al consulente viene esposto un collo di bottiglia all’interno dell’azienda. Si tratta di sensazioni che sono ricorrenti, per esempio, l’imprenditore ritiene che l’organizzazione sia troppo lenta, perché non riesce a consegnare prodotti alla velocità richiesta; oppure non riesce a soddisfare i clienti che sono sempre più esigenti e vogliono prodotti customizzati».

Il consulente fa una mappatura dei processi principali, servendosi delle tecniche lean tradizionali del flusso di valore, ma con il focus di modellizzare cosa fa un’azienda per mettere in evidenza i punti di debolezza. «L’ideale di una buona mappa è disegnare uno stato attuale che evidenzi i gap con un desiderato stato futuro. A questo punto, con una mappatura accurata, il consulente cerca di indirizzare alla correzione delle carenze, con azioni di efficacia comprovata per chiudere i gap tra stato attuale e stato desiderato. Si generano action plan, con il dettaglio di chi fa cosa e quando con il relativo budget. La lean dice sempre che per costare meno dobbiamo lavorare meno. Ottenere lo stesso risultato facendo meno sforzo, eliminare dunque le attività ridondanti che non creano valore e che sono figlie di abitudini cattive, o di mancanza di tecnologie anche di base. Lo stato futuro deve tendere alla leggerezza, coinvolgere meno persone e in questo modo si definisce la differenza tra costo attuale e costo futuro di un processo. Al netto il bilancio deve essere positivo». Come arrivare da uno stato attuale a uno futuro è dato dagli strumenti tipici del lean. Alcuni possono appresi in maniera facile dalle persone che lavorano all’interno dell’azienda, altri richiedono consulenti esterni o software house che forniscono software per risolvere i problemi in campo.

«Un’altra cosa importante è che tutti questi passaggi tra stato attuale e stato futuro devono essere molto brevi. Un progetto lean per funzionare non deve durare più di tre o sei mesi, progetti di anni non possono funzionare perché l’imprenditore deve vedere il risultato a breve termine. E questa è anche una strategia utile a rendere più accettabile il cambiamento verso il quale esiste una resistenza enorme. Uno delle strade più batture dei consulenti è mettere insieme diversi punti di vista dentro le aziende per creare un cambiamento positivo. Se riusciamo a trasmettere che è il mondo a essere cambiato, questo è anche più semplice da accettare. Il mondo cambia a velocità impensabili e quindi bisogna acquisire una mentalità di continua evoluzione e miglioramento continuo cercando di rendere questa cosa un po’ più divertente», conclude Galimberti.














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