Scaglia Indeva vuole rivoluzionare l’intralogistica coi suoi Amr

di Piero Macrì ♦︎ Gli autonomous mobile robots funzionano con una logica non deterministica, possono prendere decisioni in funzione delle situazioni, cambiare percorso, fare soste. Un passo avanti rispetto agli Agv, limitati a percorsi predefiniti. Tra i clienti Fca, Audi, Ford, General Motors, Thyssen, ma anche Coca–Cola, Nestlé. Parla il presidente Stefano Scaglia

La sede di Scaglia Indeva

La novità 2021 di Scaglia Indeva si chiama Amr, acronimo di Autonomous mobile robots, veicoli che, grazie all’intelligenza artificiale, possono muoversi per la fabbrica lungo traiettorie non predeterminate, a differenza degli Agv che seguono solo linee definite. Il capo azienda Stefano Scaglia guarda al futuro con ragionevole ottimismo. «Avremo una più forte presenza tecnico-commerciale e verranno rafforzate tutte le attività di ricerca e sviluppo. Siamo convinti che le tecnologie di automazione avranno presto una diffusione capillare non solo nelle grandi aziende, ma anche in molte pmi». Secondo Scaglia, il modo migliore per introdurre in azienda questa tecnologia è imparare dall’esperienza sul campo: portarla in casa, capirne le potenzialità, come utilizzarla al meglio, realizzare i primi pilot project e, una volta individuati i punti di forza, farla diventare una componente strutturale del lavoro».

Insomma, trovata la mansione e la corretta funzione da assegnare al cobot, le aziende hanno poi tutto da guadagnare. Se si ragiona su un acquisto del valore di 100 mila euro e relativo credito d’imposta al 40% concesso dal Piano Transizione 4.0 significa ammortizzare il capitale in tre rate annuali di circa 13mila euro e avere un ritorno dell’investimento già dal secondo anno o anche prima, sia nel caso il cobot venga utilizzato per ridurre il ciclo sequenza di un asservimento macchina sia nel caso venga assunto per operazioni di assemblaggio o pallettizzazione.







Stefano Scaglia, presidente dell’omonimo gruppo

Lo stesso vale per Agv e Amr che costituiscono la leva ideale per l’automazione intralogistica. Scaglia Indeva, che ha un giro d’affari di circa 30 milioni di euro (70% export) è nata come società del Gruppo Scaglia specialista nei manipolatori industriali, di cui è diventata, nel giro di breve tempo, uno dei tre leader mondiali. Si tratta di macchinari che, attraverso leve e motori, permettono all’operaio di spostare oggetti pesantissimi come se fossero piume. Tra i clienti Fca, Audi, Ford, General Motors, Thyssen, ma anche CocaCola, Nestlé, solo per citarne alcuni.  Poi è arrivata la produzione di Agv, veicoli a guida autonoma per l’intralogistica, e quindi l’attività di distribuzione e installazione di Cobot (attraverso la divisione Indeva Cobotics) che sono quelli avanzatissimi fabbricati dalla coreana Doosan.

Tra manipolatori industriali, Agv e cobot vi è totale continuità, nell’ambito della ragion d’essere dell’azienda, che è di offrire prodotti tecnologicamente all’avanguardia per ridurre la fatica dell’uomo, migliorare l’ergonomia e aumentare la produttività. Scaglia Indeva fa parte del gruppo di famiglia Scaglia, nato nel 1838 dall’avo Domenico in quel di Brembilla, provincia bergamasca, all’epoca specializzato in pezzi torniti, pulegge e accessori per il settore tessile. Adesso, oltre a Indeva il Gruppo, guidato anch’esso da Stefano Scaglia, controlla Scaglia srl (accessori per le macchine dell’industria tessile), Sit (soluzioni e componenti per la trasmissione di potenza), Elatech (cinghie in poliuretano), Sit Automation (componenti e sistemi per il controllo del moto). Il giro d’affari è intorno ai 180 milioni di euro. Insomma, una tipica azienda famigliare italiana, ma con la capacità, non sempre così scontata, di saper rinnovare la propria missione. Come è anche dimostrato dal percorso professionale di Stefano Scaglia che, dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Milano, ha svolto la prima parte del proprio percorso di carriera al di fuori delle “comode” mura dell’azienda di famiglia, con due anni in Philips, un MBA a Insead e sette anni nella consulenza strategica di Bain and Co.

Negli ultimi anni, Stefano Scaglia ha anche svolto un percorso associativo che lo ha visto, nel 2012, fondare e presiedere per quattro anni Afil, il Cluster tecnologico della Lombardia, promuovere la creazione del consorzio per la ricerca meccatronica Intellimech, e contemporaneamente diventare prima vice presidente e poi presidente di Confindustria Bergamo. Ad oggi, secondo quanto risulta a Industria Italiana, è l’unico presidente di una grande territoriale di Confindustria a provenire dal mondo dell’automazione. Industria Italiana ha incontrato brevemente Stefano Scaglia e gli ha posto alcune domande. 

Pallettizzatore Doosan per Scaglia Indesa

Le pmi, come dimostrato anche dall’ultima rilevazione degli Osservatori Politecnico di Milano, hanno un deficit di innovazione e investimenti. Che cosa potrebbe smuovere l’immobilismo?

Non si può ricondurre il fenomeno a un’unica causa. Credo che il basso indice d’innovazione delle pmi dipenda in gran parte dall’esiguo numero di grandi aziende che sono presenti in Italia. In altre parole, il problema delle pmi è il problema delle grandi aziende, l’uno è speculare all’altro. Mi spiego, sono le grandi aziende che creano mercato influenzando positivamente tutta la catena della fornitura e sono le grandi aziende che aiutano le pmi a crescere anche tecnologicamente e ad affacciarsi sui mercati esteri. Quindi, o siamo capaci di attrarre insediamenti di grandi aziende multinazionali o dobbiamo creare le condizioni per fare crescere le nostre piccole e medie aziende, che devono elevarsi a una dimensione che consenta loro di essere competitive.

La questione delle pmi e dello sviluppo industriale mette al centro il ruolo di tutti i vari soggetti che hanno svolto e svolgono una funzione di trasferimento tecnologico: cluster, competence center, digital innovation hub e vari enti creati da Camere di commercio e Regioni. Un articolato ecosistema di competenze che potrebbe offrire alle piccole e medie aziende di essere parte integrante di progetti più ampi. Funziona davvero? Che cosa si potrebbe fare per migliorarlo.  

È un modo per crescere tutti insieme. Lo dimostra bene la vicenda di Intellimech. Sono adesso una quarantina le imprese coinvolte, dalle piccole alle grandi, e continua a svolgere importanti programmi di ricerca pre-competitiva. Adesso è stata stretta una partnership con l’Istituto Italiano di Tecnologia che porterà alla creazione, presso il Kilometro Rosso di Bergamo, di un laboratorio per il trasferimento tecnologico e lo sviluppo della robotica industriale. Da parte di tutti occorre capire che bisogna fare gioco di squadra. Ragionare in una logica collaborativa è la cosa migliore. Piattaforma IoT, per esempio. Non ha senso che ciascuno, all’interno di territori specifici o nella propria realtà aziendale, si muova in ordine sparso. Meglio creare una piattaforma su basi partecipative. Va poi da sé che ciascuno la usi nel suo ambito specifico. Certo, consorzi di ricerca, DIH, competence center…. sono tutte iniziative molto positive ma che vanno meglio inquadrate e le cui mission devono essere ben definite e complementari, altrimenti il rischio è creare disorientamento tra le imprese, che non riescono a capire quali sono le finalità di ciascuna iniziativa. Se dovessimo spiegare a un imprenditore le differenze tra CFI, CC, DHI e LightHouse credo che avremmo non poche difficoltà.

Agv Scaglia Indeva

E per quanto riguarda Indeva, quale contributo di automazione siete in grado di offrire?

Il filo rosso che lega tutte le proposte di Indeva è la lean production: da una parte consentire ai clienti di migliorare la produttività dall’altra aumentare la sicurezza e il benessere degli operatori. Per centrare questi obiettivi l’offerta è un insieme di tecnologie che possono aiutare a migliorare questi due aspetti, con sistemi che possano sia maneggiare, manovrare e manipolare oggetti ma anche trasportarli verso la linea di montaggio in maniera ordinata, efficace e automatizzata. La componente umana in tante operazioni rimarrà fondamentale, non si arriverà mai a un’automazione 100% senza intervento operatore. L’idea di Indeva è fornire tecnologia ausiliare per aumentare la capacità degli operatori. Tramite il manipolatore industriale e robot collaborativi si rimuove dalla catena del lavoro la parte più gravosa e ripetitiva, lasciando all’operatore la parte più complessa. Il robot nella sua accezione più generale si affermerà in tutte quelle operazioni dove esiste ripetitività assoluta e continuativa; l’operatore troverà invece spazio dove si richiede adattabilità, flessibilità e personalizzazione del prodotto.

Robotica collaborativa, d’accordo, ma al di là dei grandi annunci non è che se ne vedano molti in giro. Secondo i dati più recenti i cobot sono circa il 5% dell’installato globale…. 

Sì è vero si attendevano dei tassi di crescita molto più rapidi, ma credo che questo dipenda innanzitutto dal fatto che la loro applicazione implica un ripensamento della postazione di lavoro e dell’organizzazione dei processi. L’installazione di un robot tradizionale è più facile poiché implica automazione al 100%: si sostituisce una persona con una macchina che fa esattamente la stessa cosa. Nel caso dei cobot occorre invece individuare all’interno di un processo come organizzare la sequenza di operazioni, quali quelle che possono essere eseguite dal robot e quali invece è bene che continuino ad essere svolte dall’operatore. La loro adozione implica quindi un ripensamento delle sequenze e dei processi. Credo che il modo migliore con cui le imprese possano introdurre questa tecnologia sia imparare dall’esperienza sul campo: portarlo in casa, capirne le potenzialità, come utilizzarlo al meglio, realizzare i primi pilot project e, una volta individuati i punti di forza, farlo diventare una componente strutturale del lavoro. Insomma, serve un po’ di apprendistato. Importante è individuare la parte ripetitiva del lavoro che può essere assegnata al cobot. Molto interessanti sono tutte quelle situazioni in cui l’operatore svolge operazioni di montaggio piuttosto che di carico/scarico macchina, operazioni che prevedono una parte tipicamente ripetitiva, che il cobot può assolvere egregiamente, e operazioni di attività di rifinitura manuale che deve essere delegata all’uomo. Le potenzialità sono ottime, occorre “soltanto” studiarne le modalità di implementazione. Va da sé che il cobot si sposa con logiche di produzione che sono tipiche della piccola e media impresa, che non lavora sempre sullo stesso prodotto in maniera seriale e per lunghissimo tempo. Come dire, il cobot sarà sempre più presente poiché esiste una tipologia di produzione che, al contrario delle grandi linee di assemblaggio, esempio tipico è quello dell’automotive, non ha automatizzato la componente di processo ripetitivo. 

Per quanto riguarda l’intralogistica, accanto agli Agv, macchine che si muovono su percorsi predefiniti, come intendete entrare nel mercato Amr?

Stiamo sviluppando i nostri sistemi, ma va fatta un’attenta analisi di quali sono i vantaggi e gli svantaggi. Gli Amr funzionano con una logica non deterministica, possono prendere decisioni in funzione delle situazioni, cambiare percorso, fare soste. la sua capacità di orientamento dipende dai punti di riferimento che vengono acquisiti nello spazio in cui deve operare. Vale una regola di massima: tanto più un ambiente è destrutturato, mutevole e privo di punti di referimento fissi, tanto più aumenta la complessità del funzionamento di un Amr. Occorre comprenderne i limiti e le potenzialità, individuando use case allineati a reali applicazioni. Inoltre, non avere percorsi predeterminati significa anche introdurre incertezze sui tempi ciclo e va fatto un attento studio dell’applicazione per garantire la puntualità della missione. Amr e Agv costituiscono comunque la leva ideale per l’automazione intralogistica: la riduzione dei tempi di consegna di materiali in fase d’assemblaggio è di fatto una componente di produttività.

Che cosa fa Scaglia Indeva

 

Ecco come funziona il pallettizzatore con Cobot Doosan Serie H

[Ripubblicazione dell’articolo del 26/2/2021]














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