Marco Taisch: tutto quello che penso del Pnrr di Mario Draghi

di Laura Magna ♦︎ Il docente e presidente del competence center Made, voce autorevole sui temi dell'industria e della digitalizzazione, non è preoccupato della riduzione dei fondi Transizione 4.0. Qualche dubbio sul 40% al Sud, visto che la quota di pil è inferiore e le filiere sono perlopiù altrove. Piacciono attenzione agli Its e alla formazione. Senza la riforma della pa non si andrà da nessuna parte. E...

Marco Taisch presidente del competence center Made

Nel nuovo Pnrr c’è un forte accento sulla formazione terziaria, l’idea di potenziare il sistema del trasferimento tecnologico già esistente, l’intenzione di puntare sulle infrastrutture chiave abilitanti il 4.0 (più che sugli incentivi a pioggia alle imprese), la valorizzazione delle filiere e un ampio piano di riforme strutturali. Tutti elementi positivi e «migliorativi rispetto alla proposta precedente. Ma anche la proposta precedente era in linea di principio buona: i temi fondanti della ripresa era già tutti presenti».

A dirlo è Marco Taisch, docente della School of Management del Politecnico di Milano, presidente del Competence Center Made 4.0 e dello spin off universitario Miraitek, fra le voci più autorevoli su queste partite. Taisch non ha mai sparato a zero sul Recovery strutturato da Giuseppe Conte e ora cerca di guardare con oggettività a quello presentato da Draghi. Sottolineando quelli che a suo avviso sono i punti deboli: «Erogare il 40% delle risorse al Sud può andare in contrasto con il rafforzamento delle filiere, che sono tutte al Nord – sostiene – inoltre si sa poco della governance e soprattutto dei tempi e delle modalità attuative. Auspico che si adotti una legislazione di emergenza, come il momento il richiede. Una serie di regole “di guerra” che impediscano ai progetti di arenarsi».







 

I numeri del Pnrr

Prima di approfondire il pensiero di Taisch, ricordiamo in sintesi i numeri del Pnrr di Mario Draghi, che vale complessivamente 222,1 miliardi di euro (191,5 miliardi che fanno capo al Next Generation Eu – più i 30,6 miliardi del Fondo complementare finanziato dallo scostamento di bilancio). Le risorse sono divise in 68,9 miliardi di euro in sovvenzioni e 122,6 miliardi di euro in prestiti. L’impatto stimato, contenuto nell’introduzione del documento, è del 3,6% di Pil aggiuntivo al 2026 e di un’occupazione che aumenterà del 3,2%. «La premessa è molto importante – dice Taisch – l’Italia negli ultimi 20 anni è cresciuta dell’1,4% mentre i peer europei aumentavano il Pil del 20%: sono dati noti, ma vederli scritti tutti insieme dalla politica come premessa di un documento che vuole essere di rottura e di rinascita, denota una lucidità di analisi probabilmente mai vista», esordisce Taisch.

Nel complesso, il 27% del Piano è dedicato alla digitalizzazione (49,2 miliardi) che contempla tra le azioni principali l’estensione della Banda Ultra larga e connessioni veloci in tutto il Paese, la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e il rilancio del turismo; il 40% al contrasto al cambiamento climatico (68,6 miliardi, per investire in economia circolare e gestione dei rifiuti, energie rinnovabili, incentivi fiscali per incrementare l’efficienza energetica degli edifici ed investimenti per ridurre i rischi del dissesto idrogeologico); e più del 10% alla coesione sociale, a cui vengono destinati 22,4 miliardi, più dei 18,5 dedicati al tema della salute. Le missioni sono sei in tutto: sul fronte Infrastrutture e mobilità sostenibile vengono stanziati 31,4 miliardi, e su quello di Istruzione e Ricerca 31,9 miliardi, con il fine di rafforzare il sistema educativo, le competenze digitale e Stem, la ricerca e il trasferimento tecnologico.

La quantità di risorse messe in campo per rilanciare la crescita, gli investimenti e le riforme ammonta a 750 miliardi di
euro, dei quali oltre la metà, 390 miliardi, è costituita da sovvenzioni. Le risorse destinate al Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF), la componente più rilevante del programma, sono reperite attraverso l’emissione di titoli obbligazionari dell’UE, facendo leva sull’innalzamento del tetto alle Risorse Proprie. Queste emissioni si uniscono a quelle già in corso da settembre 2020 per finanziare il programma di “sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza” (Support to Mitigate Unemployment Risks in an Emergency – SURE)

Le novità: la riduzione dei Transizione 4.0 (e perché non è un problema)

Il premier Mario Draghi

Salta subito agli occhi, in tema di digitalizzazione, la riduzione di oltre quattro miliardi sul Piano Transizione 4.0, che passa da oltre 18 a 13,97 miliardi. Il fulcro del Piano Transizione 4.0, lo ricordiamo, è il sistema di credito d’imposta per gli investimenti in beni strumentali e sul bonus ricerca e sviluppo introdotto con la Legge di Bilancio 2021. Nella bozza del Pnrr firmata da Mario Draghi si legge che di questi 14 miliardi, «almeno il 10% è destinato a incentivare l’acquisto di beni intangibili innovativi quali i servizi di cloud computing e big data analytics»; oltre a «750 milioni di euro a sostegno di progetti industriali ad alto contenuto tecnologico, tra i quali ricade la produzione di semiconduttori; e la migrazione al cloud delle pubbliche amministrazioni centrali e locali stimolerà lo sviluppo di un ecosistema di servizi basati sul “cloud”, accelerando così lo sviluppo dell’offerta italiana».

Dove sono finiti i quattro miliardi che mancano? Nelle infrastrutture: è infatti aumentata la dotazione del piano per la banda larga e il 5G a cui nella nuova versione sono assegnati 5,3 miliardi a valere sul Recovery e 1,4 di fondi nazionali, a fronte dei 4,2 miliardi precedenti. «La riduzione di Transizione 4.0 non mi preoccupa – commenta Taisch – perché il 4.0 non si fa solo comprando le macchine ma mettendo a disposizione infrastrutture solide e un sistema di trasferimento tecnologico su cui – questa è un’ottima notizia – si va in continuità rispetto a quanto fin qui dal Mise. Sul fronte delle infrastrutture, se i soldi di cui privo le macchine li sposto sul potenziamento del 5G fa recuperare in competitività». Va nella stessa direzione «la maggiore focalizzazione su filiere e in particolare su quelle ad alto contenuto tecnologico. Questo serve a non rimanere indietro come Paese, e a essere competitivi, per esempio, rispetto all’Asia che possiede tutte le tecnologie abilitanti».

 

Il potenziamento del sistema di trasferimento tecnologico

Un altro punto a favore del nuovo Pnrr è la riorganizzazione del sistema di trasferimento tecnologico. «Nella versione precedente si parlava di ecosistemi dell’innovazione territoriali – dice Taisch – In questa versione si introduce il tema di una razionalizzazione e si afferma un principio importante: che è quello di mettere a sistema l’esistente rispetto allo spettro di creare nuove strutture in maniera non coordinata. Abbiamo d’altronde avviato otto Competence Center e una rete capillare di Dih a supporto, un ecosistema che funziona. Abbiamo formato 20mila persone, lanciato progetti di trasferimento tecnologico. L’impatto lo stiamo realizzando ed è misurabile. Dobbiamo potenziarlo con nuovi competence center? Probabilmente sì perché l’Italia è grande con un territorio disseminato di manifatture che hanno bisogno di digitalizzarsi».

Taisch rimanda al mittente le critiche di chi lamenta che i Competence Center sarebbero dovuti essere sostituti da un modello ispirato ai Fraunhofer tedeschi. «Si tratta di una critica che denota non conoscenza della materia: i Fraunhofer sono strutture con il 30% del finanziamento pubblico, a guida mista con le università affiancate alle imprese, che fa molta formazione e ha un Trl (Technology Readiness Level, l’indice che misura il livello di maturità tecnologica) molto elevato. I Competence Center hanno oltre il 60% di finanziamenti privati, livelli di formazione e Trl alti, sono a guida accademico-industriale (in Made 4.0 ci sono sei rappresentanti industriali su nove): il Competence Center è un Fraunhofer calato sul sistema industriale italiano. Li abbiamo studiati prendendo l’esperienza e li abbiamo adeguati alle esigenze di un tessuto fatto per lo più da pmi».

La Missione 1 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si pone l’obiettivo di dare un impulso decisivo al rilancio della competitività e della produttività del Sistema Paese

 

Formazione terziaria: ultima occasione per prendere il treno degli Its

Un altro pilastro della digitalizzazione è il potenziamento degli Its. C’è un paragrafo dedicato al tema degli Its nel Pnrr dentro alla missione digitalizzazione. «Ma anche nella prefazione del presidente c’è un capitolo dedicato con risorse stanziate e l’indicazione di un obiettivo di raddoppiare in tre anni gli iscritti. Lavorare sui giovani è necessario per permettere alle aziende di trovare le competenze di cui hanno bisogno per restare competitive. Questo ha l’effetto non secondario di consentire ai giovani di potersi offrire sul mercato del lavoro con le competenze giuste. Il potenziamento degli Its era un progetto già presente nel piano Industria 4.0 nel 2016, ma come spesso succede – e questa è una nota di demerito ai governi – abbiamo usato quei soldi per ripianare i debiti di Alitalia. Abbiamo preso poi l’alternanza scuola lavoro e l’abbiamo smontata, mosse anacronistiche in un mondo in cui il sistema scolastico deve avvicinarsi alle imprese. Imprese che creano benessere sociale. Oggi se parliamo con i recruiter il tema è che mancano le persone, non i posti di lavoro. Ed è un dramma sociale oltre che economico. Ora sugli Its dobbiamo fare sul serio».

La Componente 2 della Missione 1 ha l’obiettivo di rafforzare la competitività del sistema produttivo rafforzandone il tasso di digitalizzazione, innovazione tecnologica e internazionalizzazione attraverso una serie di interventi tra loro complementari

 

L’altra grande novità del Pnrr di Draghi: le riforme strutturali

Le riforme rappresentano, rispetto alla versione precedente, la novità più dirompente del piano. Ne sono previste cinque e sono le stesse che si tenta di fare da almeno venti anni con scarso, per non dire nullo, successo: la riforma della pubblica amministrazione; la riforma del sistema della proprietà industriale; la riforma della formazione obbligatoria per la scuola; la riforma delle politiche attive del lavoro; e la riforma della medicina territoriale. «I Paesi – dice Taisch – vivono in un meccanismo di competizione aperto globale: se un sistema Paese non è competitivo non attira investimenti esteri: se il suo sistema giudiziario crea disorientamento e lungaggini, il sistema della Pa mette paletti e rallenta, è chiaro che l’investimento cerca altri territori che gli diano maggiori garanzie. Il tema non è solo investire i nostri soldi, ma che i soldi degli altri arrivino, e per farlo è necessario abbattere le barriere. Gli altri sono decisori umani razionali e vanno laddove conviene». Il pacchetto di riforme del Pnrr va proprio in questa direzione.

La pandemia ha reso ancora più evidenti alcuni aspetti critici di natura strutturale, che in prospettiva potrebbero essere aggravati dall’accresciuta domanda di cure derivante dalle tendenze demografiche, epidemiologiche e sociali in atto. L’esperienza della pandemia ha inoltre evidenziato l’importanza di poter contare su un adeguato sfruttamento delle tecnologie più avanzate, su elevate competenze digitali, professionali e manageriali, su nuovi processi per l’erogazione delle prestazioni e delle cure e su un più efficace collegamento fra la ricerca, l’analisi dei dati, le cure e la loro programmazione a livello di sistema.

Donne, giovani e coesione territoriale: non è tutto sullo stesso piano

Il piano, inoltre, vede le donne, i giovani e il Sud come i principali beneficiari e punta in modo significativo a promuovere l’integrazione sociale e ridurre il divario territoriale. «Ma donne, giovani e Sud non possono essere messi nello stesso calderone – spiega Taisch – Il tema della partecipazione delle donne al lavoro è fondamentale, in quanto individuo che grazie a competenze può aiutare il Paese a crescere. Se una parte del Paese non è messo in condizione di scaricare a terra competenze e intelligenze è uno spreco di risorse, vuol dire perdita di produttività. E vale anche per i giovani. Si tratta in ogni caso di fenomeni che hanno dinamiche temporali legate all’aspetto all’anagrafico. Oggi nelle mie classi di ingegneria gestionale vedo più donne che uomini e credo che tra 25 anni potremo riparlare del fatto che nei cda non ci sono donne. Bisogna dare al fenomeno la giusta prospettiva storica». Sul massiccio investimento al Sud, invece Taisch storce il naso. «Mi sembra in contrasto con il tema della filiera. Sarebbe più efficace a mio avviso potenziare i capi filiera che sono tutti al nord e poi incentivarli ad andare a costruire fabbriche e creare posti di lavoro dove conviene. Temo che destinare il 40% delle risorse a una parte del Paese che pesa in proporzione meno sul Pil, possa non produrre l’effetto di trascinamento sperato».

La Missione 4 mira a rafforzare le condizioni per lo sviluppo di una economia ad alta intensità di conoscenza, di competitività e di resilienza, partendo dal riconoscimento delle criticità del nostro sistema di istruzione, formazione e ricerca

Governance e attuazione: i fattori critici

«La supervisione politica del piano è affidata a un comitato istituito presso la Presidenza del Consiglio a cui partecipano i ministri competenti», così Draghi che ha aggiunto che questo comitato «supervisiona l’attuazione del piano ed è responsabile dell’invio delle richieste di pagamento alla Commissione Ue». Ovviamente, fino a che la riforma della Pa non sarà compiuta, il rischio che le intenzioni fatichino a diventare azioni è sempre presente. «Il momento straordinario richiede norme straordinarie. Bisogna avere il coraggio di creare percorsi in cui si accetti anche una piccola inefficienza della spesa, pur di andare avanti. Mi spiego: se procediamo rapidamente, avremo la possibilità che il 2% dei fondi siano sprecati, ma siamo in guerra e per non perdere il 2% non si può bloccare il restante 98%. La velocità è fondamentale e così la snellezza dell’apparato burocratico, che si ottiene smontandolo. Nella parte di implementazione del piano servono canali di attuazione privilegiati: il mondo accelera, non possiamo più andare avanti con sistemi normativi e meccanismi decisionali creati anche solo dieci anni fa», conclude Taisch.














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