Digitalizzazione e sostenibilità: le misure del Pnrr per l’industria. Guida per gli imprenditori

di Laura Magna ♦︎ INCENTIVI E OPPORTUNITA'/3. 18 miliardi su 222 saranno dedicati all'industria, per accelerare la trasformazione digitale e green. Il solo pacchetto Transizione 4.0 vale 13,3 miliardi, mentre 2,35 sono destinati a ricerca e trasferimento tecnologico. Il potenziamento dei Dih e i fondi per l'imprenditorialità femminile. E sui crediti di imposta... Ne parliamo con Alessandro Marini di Quantra

L’industria italiana vale il 10% del Pnrr. Oltre 18 miliardi di euro dei 222,1 complessivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza saranno infatti gestiti dal Mise per la digitalizzazione e la transizione verde delle nostre imprese. Ed è di per sé una notizia in un Paese che da decenni manca di una seria politica industriale – ragione per la quale non cresce. Una buona notizia, perché si tratta di risorse ingenti, peccato però che in tutto l’impianto ci sia una debolezza di fondo: gran parte di questi miliardi (ben 13 su 18) saranno usati per i crediti di imposta di Transizione 4.0. E se è vero che questi crediti hanno il merito di essere applicabili a un’ampia platea di imprese e di essere stati estesi su base almeno biennale; dall’altro hanno il grosso vulnus di premiare anche le imprese che non producono utile, oltre a rappresentare una perdita certa di introiti per lo Stato che concede il credito. E le aliquote – tra il 10 e il 40% ma decrescenti anno dopo anno, forse non sono neppure sufficienti per scatenare l’effetto dirompente di cui il Paese ha bisogno.

Ci sono tuttavia nei fondi del Pnrr per il Mise misure più interessanti: agevolazioni importanti a beneficio di filiere strategiche (chip e batterie, in particolare, per iniziare a costruire una sovranità prima italiana e poi europea in settori fondanti per il futuro) o per la realizzazione di impianti innovativi nel quadro dei contratti di sviluppo, ovvero gli stessi da cui sono nate le fabbriche faro del Cluster Fabbrica Intelligente. E ancora, si punta alla ristrutturazione e al potenziamento dei Competence center esistenti a cui ne saranno affiancati di nuovi, ben 42, mentre prende anche forma la rete dei Dih europei che saranno determinanti per rendere pervasiva la digitalizzazione in ogni meandro della produzione, consentendo l’accesso anche alle microaziende. Ma a queste misure è riservata, come è facile evincere, una parte residuale delle risorse.







Abbiamo parlato di questi temi con Alessandro Marini, managing partner di Quantra, società di consulenza che si occupa di trasformazione digitale (nonché consigliere del Cluster fabbrica intelligente e senior advisor in Afil) con il cui supporto abbiamo analizzato tutte le misure agevolative per le imprese contenute nel Pnrr. Vediamo con ordine e nel dettaglio tutte le diverse misure che il Mise attuerà attraverso le risorse del Pnrr.

 

Lo spaccato delle risorse del Pnrr per digitalizzare e rendere green l’industria

Uno spaccato preciso delle ripartizioni delle spese è contenuto nell’ultimo documento di aggiornamento del Mise in cui si specifica una prima grande bipartizione: da un lato 14 miliardi per la digitalizzazione e dall’altro 1,25 miliardi per la transizione green.

L’industria italiana vale il 10% del Pnrr. Oltre 18 miliardi di euro dei 222,1 complessivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza saranno infatti gestiti dal Mise per la digitalizzazione e la transizione verde delle nostre imprese.

1/ Le iniziative per la digitalizzazione nel Pnrr: il funzionamento e i difetti di Transizione 4.0

Nei 14 miliardi che fanno capo alle iniziative di digitalizzazione rientra tutto il pacchetto Transizione 4.0, che vale 13,3 miliardi. Non ci dilungheremo molto su questo, in quanto un’analisi dettagliata sarà oggetto di un secondo approfondimento. Ma ricordiamo brevemente che per il 2022 vengono confermati ma depotenziati il credito di imposta del 6% per l’acquisto dei beni strumentali non 4.0 (ex superammortamento); quello dal 40% al 10% (su tre scaglioni per investimenti via via crescenti) sui beni 4.0 che viene esteso anche per il 2023 ma con aliquote ancora dimezzate. E ancora i crediti sull’acquisto di beni immateriali 4.0, per una soglia di un milione all’anno con decalage dal 20% del biennio 2022-24, al 20% per il successivo biennio e al 10% per il 2025. Ampio orizzonte temporale anche per crediti su innovazione e transizione tecnologica, che arrivano al 2031. L’obiettivo del Mise per il 2022 è quello di elargire 111.700 crediti di imposta alle imprese.

«Si tratta di tutto l’impianto dei crediti di imposta – spiega Marini – che però presenta dei difetti in sé rispetto al vecchio iperammortamento che avrei auspicato fosse riportato in vita per alcune caratteristiche chiave: in primo luogo perché riguardava aziende sane, che facevano utili e pagavano meno tasse. Il credito di imposta lo prendono anche aziende che non producono utili». E non solo. «L’iperammortamento è un’operazione annuale che rientra nelle considerazioni di chiusura di bilancio dal punto di vista fiscale in insieme ad altre poste; il credito di imposta invece è cassa pura che l’azienda introita mensilmente e con cui paga le tasse o i contributi dei dipendenti. In pratica si tratta di importi che lo Stato perde in modo definitivo e immediato generando un effetto bancomat con scarse possibilità di verifica tempestiva del titolo per l’ottenimento delle somme, ragione per cui è stato dimezzato». Ma al 20% smette di essere dirompente sul fronte del potenziale di digitalizzazione. «La progressiva riduzione delle aliquote prevista dopo il 2022 ne smorza il potenziale. Diventa un incentivo troppo debole perché possa innescare la rivoluzione digitale di cui abbiamo bisogno», dice Marini. Insomma, il rischio è che questi crediti alla fine falliscano l’obiettivo ambizioso per cui sono stati costruiti.

Nei 14 miliardi che fanno capo alle iniziative di digitalizzazione rientra tutto il pacchetto Transizione 4.0, che vale 13,3 miliardi. per il 2022 vengono confermati ma depotenziati il credito di imposta del 6% per l’acquisto dei beni strumentali non 4.0 (ex superammortamento); quello dal 40% al 10% (su tre scaglioni per investimenti via via crescenti) sui beni 4.0 che viene esteso anche per il 2023 ma con aliquote ancora dimezzate. E ancora i crediti sull’acquisto di beni immateriali 4.0, per una soglia di un milione all’anno con decalage dal 20% del biennio 2022-24, al 20% per il successivo biennio e al 10% per il 2025. Ampio orizzonte temporale anche per crediti su innovazione e transizione tecnologica, che arrivano al 2031. L’obiettivo del Mise per il 2022 è quello di elargire 111.700 crediti di imposta alle imprese

1/ Digitalizzazione: il quadro normativo dei contratti di sviluppo (e i prossimi impianti faro)

L’altra parte di questa prima tranche di stanziamenti per la digitalizzazione è relativa ai contratti di sviluppo (750 milioni di euro dal Pnrr più altri 450 milioni stanziati in Legge di Bilancio). Lo strumento agevolativo ha l’obiettivo di sostenere finanziariamente progetti di investimento che possano generare un impatto positivo e duraturo sulla struttura produttiva del Paese. Lo strumento agevolativo individuato per la realizzazione dell’intervento sono i Contratti di Sviluppo (CdS) che sostengono investimenti di grandi dimensioni nel settore industriale, turistico e di tutela ambientale. Si prevede l’attivazione di 40 Cds in settori diversi: automotive, microelettronica e semiconduttori, metallo ed elettromeccanica, chimicofarmaceutico, turismo, design, moda e arredo, agroindustria e tutela ambientale.

«Si tratta di una misura interessante – dice Marini – in particolare per le imprese del Sud che vedono la R&I finanziata al 35-40% e i beni strumentali intorno al 15%. I contratti di sviluppo finanziano, attraverso Invitalia, iniziative di innovazione importante tra 5 e i 10 milioni di euro, al sud fino a 20 milioni di euro. Su questa impalcatura sono stati avviati negli anni gli impianti faro del Cluster Fabbrica Intelligente (Lighthouse Plant). Ovvero impianti produttivi completamente basati su tecnologie Industria 4.0, realizzati ex-novo o profondamente rivisitati, che evolvono negli anni e sono destinati a diventare un riferimento a livello nazionale e internazionale per la fattibilità di percorsi di sviluppo tecnologico». Insomma un presidio fondamentale di innovazione. Un ulteriore voce sotto il titolo della digitalizzazione è la riforma sulla proprietà industriale, che rafforza e semplifica le procedure per la registrazione dei brevetti. E stabilisce incentivi per la valorizzazione dei brevetti, marchi e disegni; finanziamenti per i progetti di università, centri medici e di ricerca relativi al Proof of concept: l’obiettivo è di arrivare a 254 progetti di questo tipo (la riforma è stata avviata a metà del 2021 ed è stato il primo traguardo del Pnrr raggiungo dal governo).

Contratti di sviluppo: 750 milioni di euro dal Pnrr più altri 450 milioni stanziati in Legge di Bilancio. Lo strumento agevolativo ha l’obiettivo di sostenere finanziariamente progetti di investimento che possano generare un impatto positivo e duraturo sulla struttura produttiva del Paese. Lo strumento agevolativo individuato per la realizzazione dell’intervento sono i Contratti di Sviluppo (CdS) che sostengono investimenti di grandi dimensioni nel settore industriale, turistico e di tutela ambientale. Si prevede l’attivazione di 40 Cds in settori diversi: automotive, microelettronica e semiconduttori, metallo ed elettromeccanica, chimico-farmaceutico, turismo, design, moda e arredo, agroindustria e tutela ambientale

 

2/ La transizione verde e l’innovazione nel Pnrr

Quanto alla transizione verde, si prevede uno stanziamento di un miliardo per incrementare la quota di fer (energie rinnovabili) attraverso lo sviluppo delle filiere industriali nei settori del fotovoltaico, dell’eolico e delle batterie; e 250 milioni in startup che possiedono un’offerta abilitante per la transizione ecologica (in settori come la mobilità, l’economia circolare, l’efficienza energetica). Questi investimenti transiteranno attraverso i venture capital.

Sul primo capitolo gli obiettivi sono diversi: nel fotovoltaico la creazione di una Gigafactory per la costruzione di pannelli fotovoltaici innovativi; nell’eolico, la costruzione di uno stabilimento industriale per la produzione di pannelli flessibili; nelle batterie, quella di una Gigafactory 4.0. Per arrivare a 11 GWh di capacità di produzione di energia rinnovabile dalle batterie e 2000 MW di capacità di produzione dai pannelli fotovoltaici. Con decreto ministeriale del 7 luglio 2021 è stato attivato l’intervento del secondo Fondo Ipcei per il sostegno alla realizzazione dell’“ importante progetto di comune interesse europeo” nel settore delle batterie. E dallo scorso 3 settembre le imprese italiane che sono state selezionate a partecipare ai progetti stanno richiedendo le agevolazioni previste.

Il Fondo Ipcei vale oltre 1,7 miliardi di euro (comprendendo anche fondi che arrivano dal bilancio dello Stato) e viene così ripartito dal Mise:

·        Ipcei Batterie 1: 473,35 milioni di euro per sostenere progetti e attività lungo l’intera catena del valore delle batterie agli ioni di litio, con l’obiettivo di migliorare le caratteristiche di durata, i tempi di caricamento, la sicurezza e la compatibilità ambientale dei nuovi prodotti;

·        Ipcei Batterie 2: 533,6 milioni di euro nella produzione di materie prime, celle, moduli e sistemi di batterie elettriche su larga scala per il settore industriale italiano ed europeo;

·        Ipcei Microelettronica: 325,85 milioni di euro, che si aggiungono ai 410,2 milioni di euro già programmati, per realizzare e sviluppare tecnologie e componenti per chip efficienti sul piano energetico, per semiconduttori di potenza, sensori intelligenti, attrezzatura ottica avanzata e materiali compositi.

Quanto alla transizione verde, si prevede uno stanziamento di un miliardo per incrementare la quota di fer (energie rinnovabili) attraverso lo sviluppo delle filiere industriali nei settori del fotovoltaico, dell’eolico e delle batterie; e 250 milioni in startup che possiedono un’offerta abilitante per la transizione ecologica (in settori come la mobilità, l’economia circolare, l’efficienza energetica). Questi investimenti transiteranno attraverso i venture capital

3/ Come saranno usati i 2,35 miliardi per la ricerca e il trasferimento tecnologico

Il terzo capitolo è relativo alla ricerca e al trasferimento tecnologico. La prima voce è quella relativa ai progetti di ricerca sviluppo che ricadono nel piano pluriennale europeo Horizon: per sostenere e incentivare la partecipazione di imprese italiane sono stati stanziati 200 milioni di euro. L’obiettivo del Mise è riuscire a finanziare 205 imprese. Sempre nel contesto dell’Unione, saranno destinati 350 milioni al finanziamento del fondo Ipcei (Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo) che hanno lo scopo di promuovere la collaborazione tra enti pubblici e privati per realizzare progetti nel campo della ricerca, sviluppo, innovazione e prima produzione industriale di larga scala che mirino a creare filiere europee in settori strategici, come l’idrogeno e i microchip. In questo caso le imprese che il Mise si propone di finanziarie sono 20. Il lancio degli avvisi per le imprese a manifestare il proprio interesse per gli Ipcei è stato uno dei primi obiettivi del Pnrr raggiunti.

Con l’obiettivo di rafforzare il Fondo nazionale innovazione che è gestito a condizioni di mercato insieme a Cdp per il finanziamento di startup, il Mise stanzia 300 milioni. In fondo viene gestito attraverso una cabina di regia che ha lo scopo di riunire e moltiplicare le risorse finanziarie pubbliche e private per favorire i processi di innovazione realizzati da startup e pmi innovative, con l’obiettivo di raggiungerne nell’ambito dei fondi del Pnrr circa 250. Di fatto questo fondo concede prestiti agevolati sull’innovazione che potrebbero diventare interessanti in previsione dell’aumento dei tassi di interesse. «Negli anni passati le imprese ne hanno fatto scarso uso, quelle che andavano a prendere finanza agevolata pubblica erano quelle che non venivano finanziate dalle banche – dice Marini – Ora questi fondi tornano interessanti».

Ricerca e al trasferimento tecnologico: la prima voce è quella relativa ai progetti di ricerca sviluppo che ricadono nel piano pluriennale europeo Horizon: per sostenere e incentivare la partecipazione di imprese italiane sono stati stanziati 200 milioni di euro. L’obiettivo del Mise è riuscire a finanziare 205 imprese. Sempre nel contesto dell’Unione, saranno destinati 350 milioni al finanziamento del fondo Ipcei (Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo) che hanno lo scopo di promuovere la collaborazione tra enti pubblici e privati per realizzare progetti nel campo della ricerca, sviluppo, innovazione e prima produzione industriale di larga scala che mirino a creare filiere europee in settori strategici, come l’idrogeno e i microchip

Il sistema dei Dih europei

Alessandro Marini, managing director Quantra e senior advisor di Afil

In questo ambito, il capitolo di spesa più importante è quello degli 1,5 miliardi di euro dedicati al trasferimento tecnologico. Sostanzialmente queste risorse verranno usate per rifinanziare ed estendere le aree tematiche dei competence center: gli 8 esistenti si potenzieranno e si finanzieranno 42 nuovi centri, tra i quali gli European Digital Innovation Hubs selezionati dalla Commissione Europea. «I progetti italiani che saranno finanziati a livello europeo sono in dirittura di arrivo – annuncia Marini – e per le pmi che hanno sempre avuto difficoltà ad accedere ai fondi sarà una rivoluzione perché possono finanziare competenze e strutture capaci di attivare processi di digitalizzazione e interconnessione, con progetti tra i 30 e i 50mila euro veicolati tramite i Dih. L’obiettivo è finanziare 4500 progetti per 600 milioni, con una media di 130mila euro, ma ritengo si possa fare anche di più andando su taglie più piccole che poi sono quelle destinate alle imprese che più hanno bisogno di digitalizzarsi». In un momento propizio, in cui le pmi sono più proattive e pronte a investire e ci sono tecnologie più accessibili.

 

La spinta alle imprese rosa

Un’ultima voce sono i 400 milioni destinati all’imprenditorialità femminile che confluiranno in parte nel Fondo impresa donna, reso operativo lo scorso ottobre da un decreto interministeriale e dotato di un finanziamento iniziale di 40 milioni. L’obiettivo della misura è quello di incentivare la partecipazione delle donne al mondo delle imprese, supportando le loro competenze e creatività per l’avvio di nuove attività imprenditoriali e la realizzazione di progetti innovativi, attraverso contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati. Saranno inoltre rifinanziate misure esistenti quali le nuove imprese a tasso zero (per la creazione di piccole e medie imprese e auto imprenditoria) e Smart&Start, con l’obiettivo di raggiungere quota 2400 imprese sostenute.

[Ripubblicazione dell’articolo del 24 febbraio 2022]














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