Con un tesoro da teoricamente 28,3 miliardi, il Pnrr sarà la panacea per i mali dell’industria?

di Marco de' Francesco ♦︎ Le risorse planeranno su un contesto dominato da inflazione e irreperibilità delle materie prime: gli imprenditori sono focalizzati sulla sopravvivenza. Lo studio di Tig: il 41% delle imprese non sa quale sarà l’impatto del Pnrr sulle proprie spese in tecnologie digitali. Il problema delle competenze e la fragilità delle filiere. Se n’è parlato in evento organizzato da Tig. Con Emilio Mango (Tig), Ezio Viola (Tig), Marco Taisch (Polimi), Carlo Bonomi (Confindustria), Domenico Galia (Confimi Industria Digitale), Fabrizio Guelpa (Intesa Sanpaolo), Gianluigi Viscardi (Cosberg), Mattia Macellari e Paolo Gerardini (Piccola Industria Assolombarda), Stefano Cattorini (bi-Rex), Flavio Tonelli (Unige), Filippo Astone (Industria Italiana)

Nel complesso, arriveranno 28,3 miliardi alle aziende manifatturiere, per realizzare iniziative di digitalizzazione. È il “tesoro” che il Pnrr, il Piano di Ripresa e Resilienza presentato dall’Italia (nel contesto del programma dell’Unione Europea “Next Generation EU”) per rilanciare l’economia dopo la pandemia, ha stanziato per l’avanzamento tecnologico del manufacturing. Sarà la svolta? È in vista una generale realizzazione della smart factory? L’industria 4.0 è finalmente a portata di mano? Non è così semplice.

Anzitutto, le risorse del Pnrr sono destinate a planare su un contesto dominato dall’incertezza, dalla guerra, dall’inflazione, e dall’irreperibilità delle materie prime. Il rischio è che gli imprenditori siano più focalizzati sulla sopravvivenza che sull’avanzamento tecnologico e sull’innovazione. I finanziamenti si ottengono anche partecipando ai bandi. E poi, restano da superare barriere culturali. Bisogna sapere dove si vuole andare con la digitalizzazione, cosa innovare per ottenere valore. È vero che in questi anni si è dato vita ad un sistema dell’innovazione, diretto al trasferimento di competenze (competence center nazionali ed europei, smart factory e demo center, fabbriche faro, università, parchi tecnologici, cluster tecnologici, centri di ricerca pubblici e privati, centri di trasferimento tecnologico, incubatori e fablab); ma è altrettanto vero che ciò riguarda – almeno per ora – una percentuale molto bassa del fabric nazionale.







Infine, se si vuol far qualcosa, lo si faccia in funzione della filiera, che da noi non è una semplice associazione di imprese che lavorano allo stesso prodotto finale: è il modello operativo, il modo con cui dalle nostre parti si fa la manifattura. È un apparato reattivo, resiliente, come si è visto con la ripresa post-Covid. Ma ora, sotto la spinta delle grandi sfide che si stagliano sull’orizzonte del manufacturing, la filiera va ristrutturata, se non ripensata. Sono solo alcune delle suggestioni emerse nel corso del recente incontro “Il Pnrr a sostegno della trasformazione digitale e della transizione ecologica” nel contesto dell’evento “Smart manufacturing summit 2022” organizzato da The Innovation Group (Tig), una società di servizi di consulenza e di ricerca di mercato indipendente, specializzata nello studio delle evoluzioni del mercato digitale e nei processi d’innovazione abilitati dalle tecnologie e dalla conoscenza. Il dibattito è stato moderato dal general manager di Tig Emilio Mango.

28 miliardi per la manifattura sul digitale

In quale contesto atterrano i soldi del Pnrr?

Emilio Mango
General Manager, The Innovation Group

Il Pnrr è stato “pensato” nel corso della pandemia, ma prima dell’avverarsi di altri fattori che stanno profondamente incidendo sulle dinamiche economiche e industriali in particolare. Ad esempio, per il co-founder di Tig Ezio Viola, «il costante aumento dell’inflazione, fenomeno che non può più essere considerato passeggero». In effetti, secondo l’Istat, a febbraio dell’anno in corso è cresciuta del 5,7% su base annua, trainata soprattutto dai prezzi dei beni energetici, che insieme a quelli delle materie prime costituiscono un secondo elemento di preoccupazione. Peraltro, molte fra queste ultime sono difficilmente reperibili, «anche a causa della strozzatura dell’offerta»: si verificano ritardi e interruzioni all’interno delle supply chain, soprattutto in quelle lunghe e globalizzate. Le catene di approvvigionamento sono sempre meno fluide. Inoltre, siamo in un periodo di «shortage economy», sottolinea Viola: la carenza globale di chip ha ripercussioni su alcuni segmenti del mercato digitale.

In questo quadro oggettivamente complesso sono apparse inattese tensioni internazionali: fra queste, l’invasione russa in Ucraina ha appesantito alcuni dei fattori appena ricordati, soprattutto perché ha messo in moto la macchina delle sanzioni e delle contro-sanzioni. Per dirla con il docente al dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano nonché responsabile scientifico dell’Osservatorio Industria 4.0 Marco Taisch «la geopolitica è entrata nelle decisioni della manifattura, che si è accorta di non essere parte di un ecosistema chiuso. Ad esempio, le frizioni fra gli Usa e la Cina hanno un peso che non si può sottovalutare». L’aggravamento della situazione ha portato il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ad affermare che il Pnrr va riscritto «per allungare i tempi della transizione green». Per Bonomi occorre una strategia di medio lungo periodo nell’energia, che riguardi la sospensione del mercato Ets nonché l’aumento della produzione nazionale di gas e rinnovabili. Infine, un problema che va sempre di più consolidandosi: lo skill shortage, e cioè il mismatch fra la domanda e l’offerta di lavoro, soprattutto in relazione alle competenze digitali.

«Non a caso, per l’anno in corso il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto per l’Italia le previsioni di crescita, calate al 2,3%. D’altra parte, nel primo quadrimestre del 2022 si è tornati alla decrescita. E questo dopo l’eccezionale rimbalzo del 2021, quando il Pil aveva conosciuto un’impennata del 6,6%. Insomma, tra l’anno in corso e il 2023 si stagliano molte incognite all’orizzonte» – afferma Viola. Peraltro, secondo il presidente di Confimi Industria Digitale Domenico Galia, «appunto perché gli imprenditori stanno affrontando una situazione drammatica, di grande precarietà, in questo momento non stanno ragionando sulle opportunità del Pnrr. Hanno altro in testa». Secondo il direttore di Industria Italiana Filippo Astone, va considerato anche il rischio che le cose possano ulteriormente peggiorare: «Nel caso in cui venisse meno l’apporto di gas russo, l’energia a disposizione dell’industria sarebbe sostanzialmente dimezzata. Lo afferma la Fondazione Eni Enrico Mattei. Il fatto è che non esiste, ad oggi, un piano strategico nazionale che tenga conto di questa eventualità. Che fare? Tagli lineari a tutto il fabric?».

“Smart manufacturing summit 2022” organizzato da The Innovation Group (Tig)

Il percorso di transizione digitale delle imprese prima del Pnrr

Fabrizio Guelpa, responsabile del Servizio Industry and Banking Research della direzione centrale studi e ricerche della banca

Il Pnrr non è il primo strumento ad incidere sull’innovazione digitale delle imprese. Secondo uno studio realizzato da “The Innovation Group” gli incentivi che hanno maggiormente influito sullo sviluppo di investimenti di Industria 4.0 sono stati, per le aziende manifatturiere, quelli legati a Transizione 4.0 (a credito di imposta); poi quelli del Fondo nazionale innovazione e del Fondo per la crescita sostenibile; poi la Nuova Sabatini, l’R&S economia circolare ed altri. Nel contesto di Transizione 4.0, le misure più importanti sono state il credito di imposta in ricerca e sviluppo, quello per gli investimenti in beni strumentali e quello in formazione 4.0.

Uno studio di Intesa Sanpaolo ha riguardato in particolare 262 imprese trivenete, metà delle quali della meccanica, con l’obiettivo di esplorare i percorsi di innovazione intrapresi nell’adozione di tecnologie 4.0. In sintesi, è emerso che un’azienda su due ha adottato tecnologie 4.o, «soprattutto nel campo della robotica, del Cloud, e del sistema di integrazione delle informazioni (e cioè, in riferimento ai dati di filiera)» – chiarisce Fabrizio Guelpa, responsabile del Servizio Industry and Banking Research della direzione centrale studi e ricerche della banca. Un’impresa su due, peraltro, ha implementato più di una tecnologia abilitante. È un processo che si è svolto di recente: «Per la maggior parte, dopo il 2017. L’impatto è stato molto evidente sulla produzione; un po’ meno su altri comparti, come R&D, marketing, risorse umane e logistica». Tra gli obiettivi raggiunti, l’automazione e il monitoraggio dei processi, nonché l’incremento della produttività.

Pnrr quadro complessivo

L’impatto del Pnrr secondo le imprese

Ciò che emerge dalla citata ricerca di Tig è che buona parte delle imprese non si è ancora fatta un’idea dell’impatto che il Pnrr potrebbe avere sulla loro spesa in tecnologie digitali. Per il 41% di loro ci sarà un impatto positivo; per 16%, no. Il 43% non si esprime, non conoscendo queste opportunità. Ma cosa prevede il Pnrr?

1)      La spesa complessiva

Come spiega il Mef, il Piano di Ripresa e Resilienza presentato dall’Italia prevede investimenti e un pacchetto di riforme, a cui sono allocate risorse per 191,5 miliardi di euro finanziate attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e per 30,6 miliardi attraverso il Fondo complementare istituito con il Decreto Legge n.59 del 6 maggio 2021 a valere sullo scostamento pluriennale di bilancio approvato nel Consiglio dei ministri del 15 aprile. Il totale dei fondi previsti ammonta a di 222,1 miliardi. Sono stati stanziati, inoltre, entro il 2032, ulteriori 26 miliardi da destinare alla realizzazione di opere specifiche e per il reintegro delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione. Nel complesso si potrà quindi disporre di circa 248 miliardi di euro. A tali risorse, si aggiungono quelle rese disponibili dal programma React-Eu che, come previsto dalla normativa UE, vengono spese negli anni 2021-2023. Si tratta di fondi per ulteriori 13 miliardi. Il Piano (e qui si considera il valore complessivo di 221,1 miliardi) si sviluppa intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale. E lungo sei missioni: “Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura” (49 miliardi); “Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica” (68,6 miliardi); “Infrastrutture per una Mobilità Sostenibile” (31,5 miliardi); “Istruzione e Ricerca” (31,9 miliardi); “Inclusione e Coesione” (22,6 miliardi); “Salute” (18,5 miliardi). Il Piano è a sua volta suddiviso in 197 misure, tra riforme e investimenti.

L’impatto del Pnrr secondo gli imprenditori. Fonte Tig

2)      Quanti soldi alle imprese? Due studi diversi

Quanti soldi sono destinati alle imprese? Non è semplice capirlo. Se ad esempio consideriamo la prima missione, prevede 8,5 milioni di connessioni veloci fra famiglie e imprese. Secondo uno studio di Kpmg, sono 82 i miliardi diretti alle aziende. In particolare, 27,6 derivano dalla prima missione; 34,1 dalla seconda; 11,2 dalla quarta; 7,9 dalla quinta e uno dalla sesta. The Innovation Group, ha invece realizzato un’analisi per missione, diretta a stima gli investimenti del Pnrr previsti in tecnologia che impattano il mercato digitale. Si tratta di 40 miliardi, di cui 27,6 dalla prima missione, 2,1 dalla seconda, 2 dalla terza, 2,9 dalla quarta, 100 milioni dalla quinta e 4,2 dalla sesta.

Pnrr: The Innovation Group, ha invece realizzato un’analisi per missione, diretta a stima gli investimenti del Pnrr previsti in tecnologia che impattano il mercato digitale. Si tratta di 40 miliardi, di cui 27,6 dalla prima missione, 2,1 dalla seconda, 2 dalla terza, 2,9 dalla quarta, 100 milioni dalla quinta e 4,2 dalla sesta

3)      Pnrr, analisi per amministrazione titolare

L’analisi di The Innovation Group riguarda anche l’esame per amministrazione titolare di tutti gli investimenti del Pnrr previsti in tecnologia digitale. A “farla da padrone”, il Ministero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, con 14,8 miliardi, seguito dal Mise con 11,4 miliardi, dal Ministero della Salute con 4 miliardi e poi dagli altri dicasteri.

Per Kpmg 82 miliardi destinati alle imprese. Fonte Kpmg

4)      Investimenti del Pnrr per iniziative a contenuto digitale rivolte alla manifattura

È forse il quadro più importante dello studio di Tig: riguarda appunto gli investimenti previsti dal Pnrr per iniziative a contenuto digitale rivolte alla manifattura. Del totale, già riportato, 18,4 miliardi (il 65%) sono legati al Piano Transizione 4.0; 1,9 miliardi (7%) sono reperiti nel contesto delle “Politiche industriali di filiera e razionalizzazione”; 1,6 miliardi (6%) in quello del “Potenziamento strutture di ricerca e creazione di campioni nazionali di R&S su alcune Key Enabling Technologies”; 1,5 miliardi (5%) in quello del Fondo Ipcei, lo strumento agevolativo che supporta le attività svolte dai soggetti italiani coinvolti nella realizzazione degli Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo; 1,3 miliardi (5%) in quello della creazione e rafforzamento di “ecosistemi dell’innovazione” e della costruzione di “leader territoriali di R&S”; 1 miliardo (4%) è collegato ad attività legate a rinnovabili e batterie; e 1 miliardo (4%) è legato agli accordi per l’innovazione; e altro. A questi investimenti si aggiunge quello del sistema della proprietà industriale per cui sono stati stanziati 30 milioni, pari allo 0,1% del totale degli investimenti attesi in ambito manufacturing.

È forse il quadro più importante dello studio di Tig: riguarda appunto gli investimenti previsti dal Pnrr per iniziative a contenuto digitale rivolte alla manifattura.

Le risorse non bastano: servono cultura della digitalizzazione e competenze

1)      Gli imprenditori devono cambiare mindset

Gianluca Viscardi, presidente di Cosberg

«I progetti industriali vanno portati avanti a prescindere dal Pnrr: altrimenti si rischia di fare come con la Legge Tremonti, che gli imprenditori hanno utilizzato per costruire capannoni che non servivano. Certo, le Pmi hanno bisogno del Pnrr per reperire le risorse, ma prima ancora servono progetti chiari: le aziende devono sapere in quale ambito innovare per creare valore. Serve, dunque, la cultura della digitalizzazione. Sotto questo profilo, assumono rilievo i Digital Innovation Hub, che fanno assessment della cultura digitale e orientano le imprese verso l’ecosistema dell’innovazione» – afferma Gianluigi Viscardi, presidente della Cosberg di Terno d’Isola, Bergamo, azienda che realizza macchine e moduli per l’automazione dei processi di montaggio. Viscardi (che è anche membro del comitato tecnico scientifico di Cfi, di cui è stato presidente) è altresì presidente del Digital Innovation Hub Lombardia e del consorzio Intellimech, un consorzio privato che si occupa di ricerca interdisciplinare nell’ambito della meccatronica ma anche in quello dell’intelligenza artificiale. Anche per il presidente di Piccola Industria Assolombarda Paolo Gerardini (secondo il quale le risorse destinate alle imprese saranno un po’ meno di quelle elencate sopra, attorno ai 18 miliardi) «c’è un problema di mindset. Peraltro, i regolamenti governativi renderanno sempre meno appetibile il credito di imposta di Transizione 4.0».

 

2)      Il problema delle competenze

Stefano Cattorini, direttore generale Bi-Rex

Per il vicepresidente Piccola Industria Assolombarda Mattia Macellari «anche le Pmi sono consapevoli che devono innovare, perché non si può fare altrimenti; non sanno, però, come farlo. Chiedono competenze e supporto ai bandi. In particolare, non sanno come patrimonializzare i dati, che rischiano di rimanere improduttivi, senza valore. Occorre loro una guida, e il trasferimento tecnologico». Sotto questo profilo, però, non si parte da zero. Almeno secondo Stefano Cattorini, direttore generale di Bi-Rex, il competence center bolognese per l’Industria 4.0: «In questi anni è stata costituita una rete per il trasferimento tecnologico che prima non c’era». In effetti, ci sono i distretti tecnologici, gli incubatori e gli uffici per il TT, nonché i competence center, poli di innovazione costituiti secondo un modello di partenariato pubblico privato, aggregando organismi di ricerca e una o più imprese: il loro obiettivo è realizzare il trasferimento di competenze in chiave 4.0. «Potrebbero funzionare meglio? – continua Cattorini – sì, ma ad esempio tutti e otto i competence center (Cim 4.0, Made, Bi-Rex, Artes 4.0, Smact, MedTech, Start 4.0, Cyber 4.0) hanno fatto i bandi per le imprese, nessuno escluso. Quindi il meccanismo è in moto». Inoltre, «nel contesto della Missione 4, il Mise disporrà di 350 milioni per il trasferimento tecnologico. Ancora una volta, tutti i competence center hanno incontrato il ministero e riceveranno il rifinanziamento della linea B, che riguarda le risorse destinate alle imprese per realizzare i progetti di innovazione, di ricerca industriale e sviluppo sperimentale».

 

Le risorse vanno utilizzate in ottica di filiera

Flavio Tonelli, Università di Genova/CFI

«Il Pnrr era necessario, perché occorreva una massa critica di risorse per rimettere in moto le cose dopo la pausa del Covid; tuttavia, bisognerebbe approfittare le circostanze per mettere a terra l’ambizione di costruire filiere indipendenti a livello nazionale. Attualmente le filiere scricchiolano: sono fragili. Si è pensato troppo al libero mercato e poco alla resilienza di sistema. Occorre un’azione sinergica per colmare il gap e sopravvivere nei prossimi 20 anni in quanto industria» – afferma Flavio Tonelli, docente di ingegneria meccanica dell’università di Genova ora membro dell’Ocg e del comitato tecnico scientifico (Cts) del Cluster Fabbrica Intelligente. Inoltre, sotto la spinta delle grandi sfide che si stagliano sull’orizzonte del manufacturing, la filiera va ristrutturata, se non ripensata.  Si pensi, ad esempio, all’economia circolare. Si tratta di realizzare forme di co-design sia del prodotto che del processo; occorre una diversa integrazione della catena di fornitura, un modello diverso di scambio e fruizione delle informazioni, un’analisi e un monitoraggio esteso alla supply chain sul ciclo di vita del prodotto e tanto altro. Taisch la vede così: «Stiamo vivendo un grosso problema di logistica, non di domanda, e la globalizzazione è finita: il ridisegno della supply chain non solo è necessario per superare gli ostacoli contingenti, ma è anche una grande opportunità per creare in Europa posti di lavoro. È bene non sottovalutare questo aspetto».














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