L’industria italiana chiede futuro. Non contentini. Parla Lorenzo Pagliuca

di Aldo Agosti ♦︎ Intervista al vicepresidente della Piccola Industria: non ha senso dare bonus e ristori se poi si fanno provvedimenti che creano incertezza allo stato puro tra gli imprenditori. Il rinvio della normativa sulle crisi di impresa sta lì a dimostrarlo. E non solo

Lorenzo Pagliuca, vicepresidente della Piccola Industria Confindustria

C’è qualcosa di più letale, forse, del Coronavirus. L’incertezza è il vero nemico delle imprese, quello più temuto. Niente piani, niente investimenti, un vivere alla giornata che uccide ogni forma di business. Il governo, in questi mesi oscuri, ha tentato in tutti i modi di arginare l’emorragia di fatturato dell’industria italiana. Eppure non sembra aver fatto quello che forse più di ogni altro serviva: una strategia di lungo periodo in grado di innescare una vera e possibilmente duratura ripresa, post pandemia.

Di questo è più che convinto Lorenzo Pagliuca, imprenditore lucano e vicepresidente della Piccola Industria di Confindustria. Nome di spicco della storia associativa lucana, Pagliuca, ha ricoperto il ruolo di presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Basilicata e presidente del Comitato Interregionale Mezzogiorno. Nel 2013 è stato nominato componente del Comitato nazionale Fisco, mentre nel 2015 è stato eletto alla guida del Comitato Piccola Industria di Confindustria Basilicata, mentre nel 2017 è entrato a far parte Consiglio Generale di Confindustria. Un rappresentante del cuore pulsante della manifattura e dell’industria italiana che a Industria Italiana spiega perché la pandemia è solo un aspetto di una crisi più ampia, dominata dall’incertezza. A partire da un punto: la riforma del codice per la crisi di impresa.







 

Una spada di Damocle sull’industria italiana

Roberto Gualtieri, ministro dell’economia e delle finanze

«Cerchiamo di andare oltre la pandemia. In questi mesi il legislatore non è stato fermo, emanando tutta una serie di norme che oggi rappresentano una vera spada di Damocle. Uno su tutti, il nuovo codice per la crisi di impresa, che riscrive nei fatti parte della legge fallimentare», spiega Pagliuca. «Con il decreto Liquidità, il governo ha disposto l’improcedibilità delle istanze di fallimento presentate tra il 9 marzo e il 30 giugno 2020, al fine di evitare le negative conseguenze economiche derivanti dai provvedimenti adottati nel primo quadrimestre 2020, per garantire la sicurezza sanitaria ed evitare la diffusione del Covid-19. Ora temo che il governo intenda replicare questa misura. Se ciò sarà, a mio avviso non avrà impatto con la riforma fallimentare contenuta nel nuovo codice della crisi d’impresa, né tanto meno è plausibile sostituire questa misura con l’elargizione di prestiti ad aziende, che se sono insolventi, probabilmente hanno in corso delle perdite strutturali derivanti da assenza di competitività e quindi di continuità aziendale».

Piuttosto, sarebbe invece utile concentrarsi sulle aziende «che si stanno rovinando economicamente e finanziariamente in questo 2020 segnato dal Covid, prevedendo che le perdite da queste accumulate nel corse del 2020, ed i cui effetti deflagranti si vedranno negli anni a venire per l’impatto che le stesse avranno sul patrimonio netto delle imprese, vengano congelate tramite un meccanismo di capitalizzazione di costi fissi che purtroppo non sono stati neutralizzati dalle misure emergenziali adottate con i precedenti decreti, generando una voce di attivo patrimoniale immateriale da ammortizzare in 30 anni, alla stregua di un fabbricato, attribuendo a questi maggiori costi connessi al periodo Covid, un significato di unicità nella vita di un’azienda, proprio qual è quello di una pandemia, oltre che riconoscendole la strumentalità tecnico economica per inerenza».

Decreto Rilancio: Dopo il pacchetto di misure da 25 miliardi di euro del Decreto “Cura Italia”, il Governo con il “Decreto Rilancio” stanzia ulteriori 155 miliardi per avviare la Fase 2 dell’economia italiana che dovrà affrontare la crisi senza precedenti innescata dalla pandemia del Covid-19 e sostenere la ripresa del Paese.

E, aggiunge il numero due della Piccola Industria, «non mi si venga a dire che la compensazione delle perdite di bilancio 2020 potrà essere fatta con le riserve da rivalutazione che si determineranno per il maggior valore peritale attribuito ad immobilizzazioni materiali ed immateriali, perché questa la trovo una strada che alla fine esporrà soltanto professionisti ed imprenditori ad ulteriori responsabilità, per aver fittiziamente gonfiato il valore di beni strumentali, che in caso di dismissioni, matureranno enormi minusvalenze, visto che oggi il mercato in genere, non certo riconosce valori incrementali neanche per logiche inflazionistiche, preso atto della recessione in corso». Non è tutto.

 

Un bluff del governo?

Il presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte. Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

L’entrata in vigore di tali norme sulle crisi di impresa è stata spostata dal governo a settembre 2021. Ma questo non vuol dire che finora non si siano fatti danni. Anzi. «Il rimando poi a settembre 2021 non significa che la riforma ad oggi non sta producendo effetti sulle imprese, perché se non fosse chiaro a tutti, la prima parte è già attuativa dal 16 marzo 2019, ed ha imposto degli obblighi, che a mio avviso sono già diventati delle spade di Damocle pendenti sulle teste degli amministratori di imprese, essendosi già di fatti trasformata in responsabilità per essi soggettiva, l’insolvenza della società quantunque a responsabilità limitata. A nessuna discolpa vale, perché non scritto da nessuna parte, quale sia la causa del dissesto, tanto meno se è attribuibile alle devastazioni economiche provocate dal Covid, motivo per cui, il governo semplicemente tira un altro calcio al pallone, fin quando non rimbalzerà sul muro delle regole europee e ci verrà addosso, a noi imprese, perché il governo per natura è un’entità astratta».

Secondo Pagliuca c’è un altro punto. «I fatturati delle 4,4 milioni imprese dell’Italia, di cui 4,1 sono micro-imprese, ovvero da 0 a 9 dipendenti e solo 4 mila sono le grandi e in mezzo ci sono le piccole medie aziende, sono stati schiacciati dalla pandemia. E con la nuova normativa, lo stato di insolvenza è garantito. E allora mi chiedo perché tra le tante misure anti-Covid, il governo non pensato a come porre le imprese italiane dinnanzi a regole così stringenti? Va bene, per esempio, la garanzia dello Stato sui prestiti, ma se io il prestito lo debbo restituire in sei anni, che senso ha? L’impresa va automaticamente in difficoltà finanziaria. Lo capiamo che le imprese oggi vivono con delle norme che, al netto della pandemia, creano un’incertezza mostruosa?».

 

Il credito d’imposta per le micro-imprese

Decreto Rilancio- le misure per le imprese

Pagliuca si sofferma su un altro aspetto, non meno importante della questione delle insolvenze aziendali. «Una misura contenuta nel decreto Rilancio, è il credito di imposta per le imprese medie che fanno un aumento di capitale. Ma dove sta l’inganno? L’impresa deve fatturare almeno 5 milioni e l’aumento deve essere di almeno 250 mila euro. Quel mondo di micro e piccole imprese però non godono di questo beneficio, non rientrano in questa fascia. E allora perché non eliminare la soglia minima di cinque milioni? Non sarebbe meglio? Pensare che le piccole imprese oggi sono proprio quelle che hanno bisogno di ricapitalizzare».

 

Meno bonus più futuro

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea

Il punto di caduta è insomma «la mancanza di una visione di insieme. Abbiamo pensato a dare soldi a destra e sinistra, giustamente, per carità, ma senza pensare a come permettere alle imprese di re-impostare la propria ripartenza. Se oggi al 16 del mese un’azienda piccola o media che sia non sa come pagare i suoi F-24, di cosa stiamo parlando? Alla fine ci rimette lo stesso Stato, visto che il suo bilancio si basa sulle tasse applicate a chi produce reddito. Mi chiedo se in questi mesi di Covid si sia in qualche modo imparata questa lezione. Un po’ di lungimiranza, insomma: diciamo alle imprese come continuare a vivere, senza vivere nell’emergenza. Torno ai fallimenti e alle nuove norme sulle crisi di impresa. Se io do i soldi alle imprese ma le metto una corda al collo pronta a stingersi, come posso garantire il futuro industriale del Paese e dare la possibilità agli imprenditori di programmare?».

Nelle considerazioni di Pagliuca c’è persino spazio per il Mes, la linea di credito pandemica per la sanità degli Stati membri, e di cui si sta discutendo la riforma. «L’acronimo dovrebbe significare: Meccanismo Europeo di Stabilità e la sua governance, demandata ad un Organo collegiale composto da 19 ministri delle Finanze con diritto di veto, dovrebbe consentirne un funzionamento non squilibrato. Che esso possa assorbire parte del debito sovrano europeo, significa snaturarne il ruolo, oltre che aver nuovamente restituito il debito in accollo agli Stati che lo compongono, visto che il meccanismo di funzionamento costitutivo è simile a quello di una società e cioè, ogni Stato che ne fa parte ha sottoscritto una partecipazione e parzialmente ne ha versato la stessa. L’Italia, ricordiamocelo, ha versato circa 14 miliardi a fronte di una partecipazione sottoscritta per circa 125 miliardi».














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