Edifici prodotti in fabbrica: l’off-site porta l’edilizia nel mondo di IA, IoT, digital twin e Bim. Con Tecnostrutture, Brioschi, Harpaceas, Percassi, Gualini, Rubner, Pichler

di Laura Magna ♦︎ Cresce l'attenzione intorno alla costruzione off-site, che per alcuni sarebbe più affidabile e di qualità migliore rispetto a quella on-site. I vantaggi? Dalla riduzione dei tempi esecutivi e dell’impronta di carbonio fino alla sicurezza e benessere dei lavoratori e alla circolarità delle risorse. Ne parliamo con Franco Daniele (Tecnostrutture), Eugenio Kannès (Brioschi Sviluppo Immobiliare), Paolo Sattamino (Harpaceas), Roberto Mangiavacchi (Impresa Percassi), Ruggero Gualini (Gualini), Roberto Modena (Rubner Holzbau) e Luca Benetti (Pichler)

Il grattacielo 262 5th Avenue a New York è stato realizzato con l’intervento di Gualini (Gruppo Costim)

La casa? Ora si fa in fabbrica. L’edilizia cambia pelle, con l’off-site. È la versione 2.0 del prefabbricato, ma la differenza è enorme, grazie all’integrazione nei manufatti delle tecnologie dirompenti, AI, IoT e gemelli digitali: tecnologie che vengono inserite fin dalla fase della progettazione, con la Bim (il Building information modeling, processo basato su modelli 3D). Nel futuro edifici residenziali ma anche commerciali e industriali, con qualità elevate (e anche esteticamente curati) saranno progettati sulla base di una logica modulare e i diversi componenti, scocca, impianti, rivestimenti realizzati in stabilimenti specializzati e montati, tipicamente a secco in cantiere. I vantaggi sono tangibili in termini di costi parametrati sul ciclo di vita dell’edificio, ma anche sul fronte Esg. Le costruzioni in off-site sono efficienti e a basse emissioni di CO2 e più sicure anche sul fronte del lavoro (nell’ambiente più controllato dello stabilimento). Sono diversi gli operatori specializzati che operano già in questo modo: come la veneta Tecnostrutture e la lombarda Gualini che si occupano di realizzare specifici elementi costruttive delle strutture; general contractor come Impresa Percassi e Brioschi Sviluppo Immobiliare; Pichler e Rubner, due imprese di Bolzano con focus sui materiali (rispettivamente acciaio e legno) e aziende specializzate in digitalizzazione delle imprese di costruzione come Harpaceas. Sono ancora una minoranza delle 800mila imprese di costruzione esistenti in Italia. Il settore resta altamente polverizzato e artigianale (sono artigiane almeno 500mila imprese edili) e questo frena lo sviluppo dell’off-site che pesa solo per il 2% del fatturato totale. Quello che serve è un cambiamento culturale importante, perché di fatto si parla di un nuovo paradigma. Non sarà una strada lineare, ma di certo è una strada segnata: l’off-site è destinato a prendere il sopravvento. Ne abbiamo parlato con Franco Daniele, presidente di Tecnostrutture, e con Eugenio Kannès, amministratore delegato di Brioschi Sviluppo Immobiliare. E riportiamo a seguire anche le voci delle aziende coinvolte nelle opere citate, raccolte nel corso del primo convegno sul settore che si è svolto a Milano a inizio febbraio.

Kannès (Brioschi): Perché l’edilizia del futuro è off-site (ed è il momento giusto perché si possa diffondere)

Intanto sono diverse le opere di avanguardia in giro per il mondo e anche in Italia realizzate con questa nuova metodologia: per esempio il grattacielo 262 5th Avenue a New York, con l’intervento di Gualini; il Campus Milano Internazionale con il contributo di Pichler; Roots, l’edificio in legno più alto della Germania (a cui ha partecipato Rubner), e il Nuovo Villaggio Olimpico di Milano (affidato a Tecnostrutture da Fondo Porta Romana, promosso e gestito da Coima). L’edilizia “delocalizzata” ha una serie di indiscutibili vantaggi, perché permette di costruire edifici di migliore qualità in tempi più ridotti, inquinando meno, con minor sprechi, e garantendo maggiore sicurezza ai lavoratori. Potremmo dire che è un’evoluzione estrema della prefabbricazione del secondo dopoguerra: ma al contrario di quella, associata di norma a edifici di basso valore, questa è altamente tecnologica, efficiente, flessibile e affidabile. Con il metodo off-site vengono realizzati grattacieli, ospedali, scuole, studentati, firmati da famosi architetti, ma anche ristrutturazioni di palazzi storici.







Con il metodo off-site vengono realizzati grattacieli, ospedali, scuole, studentati, firmati da famosi architetti, ma anche ristrutturazioni di palazzi storici

«Il concetto non è nuovo, potremmo dire che affonda le radici nell’800, con le prime costruzioni metalliche e il ballon frame americano», dice a Industria Italiana Eugenio Kannès, amministratore delegato di Brioschi Sviluppo Immobiliare, uno dei più antichi operatori immobiliari attivi in Italia, con un fatturato di 163 milioni di euro nel 2022. L’azienda è la costola immobiliare del gruppo Bastogi (che la possiede al 51%) ed è quotata all’Euronext Milan: è focalizzata sullo sviluppo integrato di grandi aree urbane mediante la progettazione e la realizzazione di complessi innovativi che coniugano qualità, ecosostenibilità e design, affidato a importanti architetti. Tra le principali operazioni del gruppo spiccano le attività nel comparto di Milanofiori: Milanofiori ’90, primo esempio italiano di moderno business park (500.000mq), il World Trade Center di Renzo Piano, il Forum di Assago (principale arena indoor del Nord Italia), e il quartiere polifunzionale Milanofiori Nord (218.000 mq). Tra le principali progetti di rigenerazione urbana a Milano, il complesso di via Darwin a Milano, l’ex Istituto Sieroterapico Milanese, oggi sede di un polo culturale e aziendale, e il complesso dei Frigoriferi Milanesi, con lo storico Palazzo del Ghiaccio, che ospita molte attività della capogruppo Bastogi e una sede universitaria Ied.

«Il concetto alla base dell’off-site – spiega Kannès – è il trasferimento del ciclo produttivo dal cantiere alla fabbrica, realizzando quanto più possibile i componenti in stabilimento per poi assemblarli in cantiere (on-site). È una tecnologia che ha avuto grande impulso nel secondo dopo guerra, per soddisfare la grande domanda abitativa legata alla ricostruzione e ai fenomeni di inurbamento. A fine anni ’70, quando frequentavo il PoliMi, sembrava scontato che queste tecnologie avrebbero sostituito quelle tradizionali. Così non è stato: il settore delle costruzioni ha avuto una sua evoluzione, seppur non paragonabile a quella di altri comparti produttivi, ma ciò che non è sostanzialmente cambiata è la quantità e la tipologia delle lavorazioni che ancora vengono realizzate in cantiere». Alla base di questa frenata ci sono diverse ragioni strutturali, oltre a un certo pregiudizio legato alla prefabbricazione del dopoguerra. Eppure, oggi si può tranquillamente affermare che la costruzione off-site è più affidabile e di qualità maggiore di quella on-site». E non è l’unico vantaggio: gli altri variano dalla riduzione dei tempi esecutivi, alla sicurezza e benessere dei lavoratori, alla riduzione dell’impronta di carbonio, alla circolarità delle risorse, alla riduzione del life cycle cost. «Parliamo dunque di un sistema molto più aderente ai criteri Esg di quelli tradizionali: e sappiamo quanto oggi – e sempre più in prospettiva – questi pesino sulle decisioni di investimento e sulla finanziabilità delle operazioni immobiliari. Riguardo al tema dei costi, se la costruzione tradizionale può ancora risultare competitiva – soprattutto a causa dei bassi costi di una manodopera sempre meno qualificata – il gap si riduce se si considerano i benefici economici/finanziari indiretti, legati ad esempio alla riduzione e maggior certezza dei tempi esecutivi –  e il costo a vita intera dell’edificio, rispetto al quale la componente costo di costruzione è solo una frazione minoritaria del costo totale, e la costruzione off-site risulta assolutamente competitiva».

Il concetto alla base dell’off-site è il trasferimento del ciclo produttivo dal cantiere alla fabbrica

A impedirne a oggi la diffusione su larga scala giocano anche altri elementi: come la frammentazione e discontinuità della domanda pubblica e privata: «l’industria per svilupparsi avrebbe bisogno di pianificazione, e di economie di scala per ridurre i costi di produzione». E come «la frammentazione anche dell’offerta, con 800mila imprese edili di cui 500mila artigiane. Questo “nanismo” di traduce in poca possibilità di investimento e scarsa propensione all’innovazione di prodotto e di processo. Non aiutano anche le tradizionali modalità di appalto a corpo su progetto esecutivo, che non prevedono il coinvolgimento delle imprese nello sviluppo del progetto esecutivo, rendendo più difficile l’inserimento ex post di tecniche off-site. Così come il basso investimento, anch’esso tipico del nostro paese, nella progettazione, che non favorisce lo sforzo necessario per indagare soluzioni diverse da quelle consolidate. Valgono poi le considerazioni già fatte sulla scara abitudine a considerare il valore economico e finanziario del tempo guadagnato, che consente di ridurre i costi indiretti di cantiere e di disporre anticipatamente dell’immobile per produrre reddito. Ultimo, ma non ultimo, c’è di un tema di mercato del lavoro, che attraverso modalità non del tutto trasparenti consente ancora di collocare nei cantieri manodopera non qualificata a basso costo, con effetti sempre peggiori sulla qualità del prodotto finale».

Eugenio Kannès, amministratore delegato di Brioschi Sviluppo Immobiliare

Oggi però sembra esserci una convergenza di condizioni favorevoli ad una nuova diffusione della moderna costruzione off-site: «Anzitutto la digitalizzazione – spiega Kannès – e in particolare la diffusione del Bim (il Building information modeling, processo basato su modelli 3D), che facilita la progettazione e l’utilizzo di sistemi off-site. La progettazione tridimensionale per componenti consente di attingere a librerie messe a disposizione dai produttori, realizzando in qualche modo il concetto della produzione “a catalogo” tipica di altri settori industriali». A spingere sull’off-site anche la crescente attenzione agli aspetti ambientali, e in generale ai criteri Esg, l’altrettanto crescente richiesta di residenzialità accessibile per famiglie, giovani lavoratori e studenti, che richiede politiche dedicate ma anche sistemi costruttivi caratterizzati da ripetibilità, economicità e velocità di esecuzione, nonché l’impressionate aumento dei costi di costruzione legato alla pandemia e alle tensioni geopolitiche: «Parliamo del +30% in tre anni – precisa Kannès – un aumento mai verificatosi in tempi così brevi, che, insieme all’aumento dei tassi di interesse, ha messo in crisi molte operazioni immobiliari, spingendo gli operatori a ragionare sulle possibili alternative ai tradizionali sistemi di costruzione e di appalto».

Tecnostrutture: con l’off-site dimezzati i tempi di cantiere e ridotta la madopoera in situ di dieci volte

Una delle operazioni italiane più importanti che è stata interamente realizzata con le tecniche off-site è il Villaggio Olimpico di Milano: un complesso di sei edifici da 8 piani ciascuno, per un totale di 46 mila metri quadri di superficie. Dopo essere stato usato per le Olimpiadi Invernali 2026, diventerà un bene restituito alla comunità cittadina, ovvero uno studentato da 1.700 posti letto. Il committente è il Fondo Porta Romana, che è impegnato nella riqualificazione dell’omonimo Scalo a Milano. Il Fondo è promosso e gestito da Coima Sgr e partecipato da Covivio, Prada Holding e Coima Esg City Impact Fund. A costruire il Villaggio Olimpico è stata Tecnostrutture, azienda che ha sede a Noventa di Piave (Venezia) ed è specializzata nel settore dei prefabbricati a struttura mista acciaio-calcestruzzo. Tecnostrutture ha firmato per il Villaggio Olimpico il 4 gennaio 2023: il primo pilastro è stato montato il 5 giugno e il 29 gennaio 2024 l’ultima trave. Solo setti mesi per fare un’opera che con l’edilizia tradizionale avrebbe richiesto almeno un anno. Non solo.

Tecnostrutture ha montato il 29 gennaio 2024 del Villaggio Olimpico di Milano

«Se il cantiere di Milano fosse stato costruito con sistemi tradizionali sarebbero serviti 160 tir di materiale provvisionale (ponteggi e puntelli) che dovevano muoversi, scaricare e ritornare nel sito per essere riportati via e un impiego di manodopera on-site di 10 volte superiore – dice Franco Daniele, presidente di Tecnostrutture – Noi abbiamo realizzato le opere con una decina di persone: attenzione, meno persone in cantiere significa un cantiere più efficiente e performante, non minor occupazione. Il capitale umano si trasferisce in stabilimento: questo è un primo vantaggio. Ma riteniamo che oramai l’industrializzazione off-site sia l’unica strada percorribile anche per ridurre l’impatto ambientale nelle nostre città».

Ma perché l’industrializzazione sia efficace è necessario fare un discorso di filiera. «Tutti i produttori dialogano con i progettisti e scomponiamo l’edificio in singoli elementi che ogni azienda produce per la propria specializzazione: la scocca, gli impianti, le pareti, la domotica diventano tutti pezzi di un enorme lego e un general contractor che gestisce il nuovo processo costruttivo. Tutto nel rispetto del disegno e delle perfomance richieste dall’edificio che si va a costruire: un edificio che è una macchina complessa e non più struttura inerte». Tecnostrutture nasce nel 1983, iniziando a produrre travi metalliche reticolari e sviluppando tecnologie proprietarie, processi di calcolo e produzione. A partire dal 2000 raccoglie la sfida di consolidare e rafforzare il posizionamento dei prodotti del Sistema Rep, l’off-site appunto. Nel 2013 lancia il sistema costruttivo Nps New Performance System composto da trave, pilastro e solaio. L’azienda ha ruoli da protagonista nella realizzazione di grandi opere infrastrutturali, di terziario e residenziali e il suo obiettivo è riuscire ad industrializzare il mondo delle costruzioni, così com’è accaduto per il settore dell’automotive, applicando l’innovazione all’edilizia.

«La nostra competenza nell’off-site ci ha consentito, in piena pandemia, di lavorare a pieno regime e realizzare ospedali e strutture in Danimarca e a Montecarlo – dice Daniele – Noi costruiamo il telaio dell’edificio, con struttura mista acciaio e calcestruzzo, che vengono inserite acciaio e calcestruzzo in quantità minime. In questo modo otteniamo strutture a elevatissime performance ma anche leggere e snelle, in modo che possano essere trasportate anche su ferrovia, anche molto lontano con un basso impatto di CO2».

Harpaceas: l’off-site sta riducendo il gap della digitalizzazione tra edilizia e manifattura

«Le nuove tecnologie stanno guidando nuovi modi di pensare e stanno offrendo nuove e grandi opportunità, la loro integrazione nel settore delle costruzioni sta riducendo il gap rispetto ad altri settori, In particolare quello manufatturiero a cui spesso si fa riferimento», così Paolo Sattamino – technical manager & partner Harpaceas.

Paolo Sattamino, technical manager & partner Harpaceas

Fondata nel 1990 a Milano, Harpaceas contribuisce alla digitalizzazione della filiera delle costruzioni, offrendo al mercato tecnologie e servizi specialistici, supporto e formazione. Nel corso degli anni si sono aggiunti all’offerta di Harpaceas, oltre alla vendita e al supporto di software di modellazione Bim e per il calcolo strutturale e geotecnico, servizi di consulenza strategica, formazione e system integration, sulla frontiera della tecnologia, con soluzioni IoT, Blockchain e AI.

«Il Bim ha stimolato importanti cambiamenti nelle modalità di progettazione e nella gestione di opere nel settore delle costruzioni – dice Sattamino – ma la digitalizzazione del settore va però ben oltre: i digital twin rappresentano una tecnologia che sta evidenziando notevoli potenzialità, per fare un esempio. L’idea che qualsiasi elemento costruito possa essere rappresentato da un suo omologo digitale in grado di raccogliere molteplici informazioni aggiornandole in tempo reale è un argomento sempre più centrale». Questa spinta verso la digitalizzazione, sta portando il settore delle costruzioni a evolvere verso un nuovo modello, meno concentrato sulla creazione del “prodotto” — ossia la costruzione “pura” –, in favore di un sistema più olistico. Sia dal punto di vista del ciclo di vita della costruzione sia in termini di filiera.

Percassi: l’industrializzazione del cantiere richiede collaborazione

Roberto Mangiavacchi, vice presidente Impresa Percassi

«L’industrializzazione off-site è una logica conseguenza e non può prescindere dai contratti collaborativi», precisa Roberto Mangiavacchi, vice presidente Impresa Percassi, azienda bergamasca riconosciuta come general contractor leader nel settore dell’edilizia civile e parte del Gruppo Costim, primo player nazionale industriale integrato e digitalizzato che opera lungo tutta la filiera del real estate per la realizzazione “chiavi in mano” di grandi progetti di rigenerazione urbana. Bocconi Urban Campus, il complesso residenziale Abitare In Maggiolina, l’headquarter Siemens e il nuovo centro direzionale Bassi Business Park a Milano sono alcune delle opere realizzate dal gruppo.

«Impresa Percassi adotta da tempo modelli contrattuali che coinvolgono fin dalle prime fasi, con una mentalità collaborativa, tutti gli attori coinvolti nella costruzione di un’opera – continua Mangiavecchi – I modelli collaborativi hanno il vantaggio di favorire lo scambio di informazioni tra impresa e progettisti; di ridurre i costi attesi perché è possibile fare simulazioni; di coinvolgere i subappaltatori con conseguente riduzione di tempi e correzione veloce dei difetti di cantiere; di favorire un clima di fiducia nel team operativo, funzionale a più efficienza e velocità anche nel risolvere i problemi di cantiere».

Gualini: così abbiamo costruito con l’off-site uno dei dieci grattacieli più alti di New York

Ruggero Gualini, presidente esecutivo di Gualini

Se le aziende italiane riescono a realizzare progetti globali è anche grazie a questa importante evoluzione. Un esempio è il progetto 262 5th Avenue di New York: un grattacielo di 56 piani di appartamenti residenziali più sei piani di struttura panoramica sulla sommità. È alto più di 270 metri e si colloca tra i primi dieci grattacieli in altezza di tutta Manhattan: ha curato la progettazione architettonica e ingegneristica delle facciate strutturali e dei due rivestimenti architettonici, Gualini, azienda bergamasca con un’antica storia che risale al 1800 e dal 2019 parte del gruppo Costim. La sua attività presidia l’intera filiera produttiva relativa a facciate continue, rivestimenti esterni, coperture vetrate e facciate ventilate.

«Il rivestimento del grattacielo di New York ha due anime – spiega Ruggero Gualini – presidente esecutivo – una in mattoni in alluminio estruso, un tipo di rivestimento di particolare fattura e luminoso, l’altra, maggiormente tecnologica, è in alluminio composito e vetro fotovoltaico, per l’autoproduzione di energia. Le cellule vetrate sono molto ampie: sono state realizzate direttamente e interamente in Italia per poi essere trasportate con container al porto di New York e da qui al cantiere per l’assemblaggio e il montaggio. Tutta la struttura è customizzata a seconda delle esigenze del cliente e dell’architetto».

L’innovazione nei materiali: i casi di Rubner e Pichler

Un altro progetto che rappresenta l’esemplificazione dell’offsite è l’edificio Roots, realizzato ad Amburgo da Rubner Holzbau un’impresa a conduzione familiare (quattro generazioni), con sede nella provincia di Bolzano, che ha il suo core business nel legno, in grado di coprire tutta la catena del valore, facendo in modo di essere autosufficiente ma anche di assicurare al cliente tempi e costi certi, oltre ad essere un unico interlocutore capace di affiancarlo dalla progettazione all’esecuzione.

Roberto Modena, senior engineer di Rubner Holzbau

«Il nostro business è completamente off-site, tutti i nostri progetti usano questa modalità. Arriviamo in cantiere con i componenti già pronti per il montaggio; la fase di progettazione è importantissima, serve a pianificare anche la sequenza delle attività di assemblaggio», spiega Roberto Modena – senior engineer, project manager presso Rubner Holzbau.

Tornando a Roots, «il corpo principale dell’edificio è una torre di 18 piani con struttura portante in legno, alto circa 70 metri con un nucleo centrale realizzato in cemento armato e, attorno, una struttura portante costituita da travi e pilastri in legno. È un progetto con elevato livello di prefabbricazione, che ha permesso di velocizzare tutte le attività di cantiere e ottenere performance importanti ottimizzando i tempi e le risorse». Roots ha solai in legno e pareti prefabbricate sia interne che esterne. Le pareti esterne sono completamente prefabbricate, compresi i rivestimenti e gli infissi. «Questa è un’ottima soluzione anche per il mercato italiano – prosegue Modena – utilizzabile ad esempio per la realizzazione di facciate su edifici nuovi o per la riqualificazione degli edifici esistenti. Negli altri paesi questa è una prassi, in Italia meno. Qui siamo molto indietro, poiché l’edilizia tradizionale è ancora predominante soprattutto perché l’analisi costi-benefici fa riferimento unicamente ai costi di produzione; non si ragiona sul lungo periodo, cioè sull’intero ciclo di vita dell’edificio. Analizzando un progetto mediante life cycle costing, i vantaggi della produzione off-site risulterebbero molto più evidenti».

Luca Benetti, direttore Italia di Pichler

Ma bisogna «affrontare il tema dell’edilizia con un approccio diverso, che comprenda tutto il life cycle di un edificio», conclude Luca Benetti – direttore Italia Pichler, anche essa con sede a Bolzano e focus sull’uso di materiali innovativi, principalmente acciaio, e rivestimenti a secco per gli edifici. La costruzione a secco è il focus dell’azienda: con l’utilizzo dell’acciaio per la parte strutturale e componenti prefabbricate per i rivestimenti di facciata. Questo procedimento consente di avere nei cantieri precisione, velocità e qualità migliori rispetto al costruire tradizionale. «Il vero vantaggio dell’industrializzazione off-site sta nell’intero ciclo di vita di ciò che costruiamo – spiega Benetti – Applicare le tecniche e la tecnologia off-site agli edifici significa renderli più sostenibili, favorendo l’economia circolare, grazie alla certezza dei tempi di costruzione, a prestazioni più elevate e a bassissimi costi di demolizione. Noi di Pichler, agevolati anche dal materiale che lavoriamo, cioè l’acciaio, oggi industrializziamo l’80% del processo costruttivo. Applichiamo l’industrializzazione off-site non solo ai nuovi edifici ma anche alle ristrutturazioni o alle rigenerazioni urbane. L’esempio del Campus Milano Internazionale, uno studentato di 18 piani ubicato nei pressi dell’Università Bicocca di Milano, prevede elementi strutturali in acciaio; tutto l’involucro è realizzato con cellule prefabbricate, poi assemblate in cantiere».














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