La decarbonizzazione? Deve passare dal nucleare! I vantaggi per industria ed economia. Con Stefano Monti (Ain)

di Laura Magna ♦︎ Per centrare il net zero, in Italia si può ipotizzare un contributo da fonte nucleare del 10-20% del fabbisogno energetico totale al 205. Le rinnovabili non risolvono il problema della produzione di elettricità e della dipendenza dall’estero: il nucleare è l’unica fonte che produce in maniera stabile e programmabile energia a basso contenuto di carbonio e in grandi quantità. Il progetto del reattore sperimentale a fusione nucleare di Cadarache e i componentisti italiani capaci di costruire quasi ogni parte di un reattore. E sul film di Oliver Stone… Approfondita intervista con Stefano Monti, presidente della Associazione Italiana Nucleare

Nuclear Now, il film che spiega il nucleare di Oliver Stone

La decarbonizzazione? Deve passare dal nucleare. Non è una questione ideologia, ma una verità basata sui numeri: i reattori moderni sono sicuri, a elevata intensità energetica e a bassissimo impatto ambientale. E consentirebbero il raggiungimento degli obiettivi del net zero che sono altrimenti difficilmente raggiungibili con le sole tecnologie attualmente disponibili per la generazione e la distribuzione di energia da fonte rinnovabile. «In Italia sarebbe ragionevole pensare ad un contributo da fonte nucleare al fabbisogno energetico complessivo dell’ordine del 10-20% all’orizzonte del 2050 », dice a Industria Italiana il presidente della Associazione Italiana Nucleare (AIN), Stefano Monti, in una lunga intervista che ha concesso ai nostri microfoni per sgombrare il velo dai pregiudizi che impediscono ancora oggi e contro ogni evidenza obiettiva di sviluppare in Italia – ma anche in altri paesi altrove nel mondo – l’energia nucleare.

Perché la transizione energetica deve passare dal nucleare e non può fare affidamento sulle sole rinnovabili? Le ragioni sono diverse. La prima è che le rinnovabili diventano elettricità e l’elettricità pesa per il 21% degli usi finali di energia: dunque l’Italia è ancora dipendente per quasi l’80% da fonti fossili: sia per la produzione carbon-free di elettricità sia per quell’80% serve anche una fonte alternativa altrettanto carbon-free ma disponibile in grandi quantità e in maniera programmabile. «Il secondo tema – aggiunge Monti – è che le rinnovabili non ci mettono al riparo dalla dipendenza dall’estero per via dei materiali di cui necessitano (terre rare e litio per pannelli solari e batterie, ndr), che sono concentrati al di fuori dell’Europa, né ci mettono al riparo dall’oscillazione dei prezzi delle fonti fossili. Infine, la transizione ci deve essere ma non deve penalizzare l’industria europea, un rischio che non possiamo permetterci». Come in parte sta già avvenendo rischiamo di penalizzare la competitività di queste industrie vitali per l’economia dell’Europa, quando l’Europa conta per l’8% delle emissioni globali. Eppure la soluzione c’è ed è a portata di mano.







«Ad oggi per l’Italia si può ipotizzare un ragionevole contributo della fonte nucleare almeno del 10-20% del fabbisogno energetico totale al 2050. Assumendo di sostituire al 2050 circa 140 TWh/anno di produzione energetica da gas naturale con energia nucleare, le emissioni evitate al 2050 sarebbero di 67 milioni di tonnellate di CO2eq all’anno», dice Monti. «Ma è il momento di mettere a terra azioni concrete per dotarci di reattori anche in Italia: il grosso rischio è perdere il treno: i reattori di quarta generazione sono ancora in via di sviluppo mentre partendo oggi impiegheremmo circa dieci anni a costruirne uno di terza generazione». E contro le paure che aleggiano su questa fonte energetica controversa il presidente oppone i fatti. «There is nothing in life to fear, just to understand: questa celebre citazione di Marie Curie apre l’ultimo film documentario di Oliver Stone, dal titolo “Nuclear Now”. Stavolta il regista americano che ama la verità illustra che la resistenza al nucleare sia unicamente frutto di disinformazione e confusione – spiega Monti – E che invece il nucleare è il punto di partenza verso una soluzione concreta ed efficace di tre emergenze: quella della sicurezza dell’approvvigionamento energetico, quella dei prezzi stabili e accessibili per tutti e quella climatica. Perché è l’unica fonte capace di produrre in maniera stabile e programmabile energia a basso contenuto di carbonio e in grandi quantità. Il film spiega già tutto, c’è poco altro da aggiungere».

 

L’industria nucleare italiana e il grande progetto del reattore sperimentale a fusione nucleare di Cadarache

Iter è un reattore deuterio-trizio in cui il confinamento del plasma è ottenuto in un campo magnetico all’interno di una macchina denominata Tokamak

Certamente il film intercetta un trend: il vento sta cambiando riguardo al nucleare se è vero che la Cop28 ha appena annunciato l’iniziativa di triplicare la capacità energetica nucleare al 2050. E anche in Italia, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato che con il “Mission Innovation” l’Italia ha stanziato 135 milioni per il nucleare, prevedendo attività di ricerca sugli “small modular reactor”, i reattori innovativi di IV generazione e la fusione. Da notare che per gli SMR basati su tecnologia provata, il know-how esiste già e potrebbero essere disponibili sul mercato nel giro di una decina di anni. Il Ministro ha anche creato una piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile. Una novità assoluta per l’Italia, un Paese tradizionalmente anti-nucleare sebbene importi grandi quantità di elettricità prodotta da impianti nucleari. E un’occasione unica per la filiera italiana: un settore industriale nato a partire dalla forte componente meccanica dell’industria italiana e sviluppatosi, negli ultimi anni, attorno ai progetti nucleari all’estero e alla fusione termonucleare – il nucleare del futuro – e in particolare al progetto internazionale Iter (acronimo di International Thermonuclear Experimental Reactor), che si propone di realizzare un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale, in grado di produrre più energia rispetto a quella richiesta per riscaldare il plasma.

Iter è un reattore deuterio-trizio in cui il confinamento del plasma è ottenuto in un campo magnetico all’interno di una macchina denominata Tokamak. La costruzione della macchina è in corso a Cadarache, nel Sud della Francia, ad opera di un consorzio internazionale composto da Unione europea, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti d’America, India, Corea del Sud. L’Italia gioca un ruolo di rilievo: circa il 60% dei contratti industriali del valore dei bandi per componenti ad alto contenuto tecnologico sono infatti stati aggiudicati ad aziende italiane, per un valore complessivo di 2 miliardi, dei 21 complessivi necessari per completare l’opera. Sono coinvolti soggetti istituzionali come Enea e aziende ad altissimo tasso d’innovazione come la genovese Asg della famiglia Malacalza, che ha fornito i magneti superconduttivi o Simic che ha una commessa sui Tf coils, tubi che contengono i magneti superconduttivi e una in collaborazione con Ansaldo nucleare – altra eccellenza nel settore – per il montaggio del Tokamak.

Iter un progetto sviluppato su base internazionale che vede l’Italia tra i protagonisti con aziende come Ansaldo Nucleare e Fincantieri e che avrà una ricaduta positiva sul nostro tessuto industriale

Gli impianti nucleari nel mondo

Quelle descritte sono però tecnologie ancora lontane dall’applicazione industriale: si dovrà aspettare il 2035 per l’accensione del Tokamak e il 2040 e oltre per i primi dimostrativi. L’applicazione industriale per la produzione di energia è prevista dopo il 2050. Ma al momento nel mondo, sono operativi 437 reattori nucleari di potenza (di seconda e terza generazione) in 32 Paesi e 57 impianti di terza generazione in costruzione in 17 Paesi. Secondo la IAEA, altri 30 Paesi hanno espresso la ferma intenzione di adottare per la prima volta l’energia nucleare nel loro mix energetico. Fra questi cosiddetti newcomer countries – ovvero Paesi che hanno deciso di includere per la prima volta l’energia nucleare nel loro mix energetico – è significativo citare il caso degli Emirati Arabi Uniti e della Bielorussia che hanno recentemente connesso in rete grandi impianti nucleari di tipo avanzato in appena 10 anni partendo praticamente da zero. Altri newcomer countries quali Bangladesh, Egitto, Turchia, Uzbekistan stanno procedendo speditamente con la costruzione di impianti nucleari di terza generazione avanzata. In vari Paesi di lunga tradizione nucleare quali Cina, Corea del Sud, Francia, India, Regno Unito, Russia, Usa impianti nucleari di terza generazione avanzata sono entrati in funzione in questi ultimi anni o sono in procinto di farlo. Nell’Unione Europea già oggi la generazione elettrica da nucleare, che pesa per il 26% della produzione elettrica, ben oltre il 40% dell’elettricità a basso contenuto di carbonio del continente, è una risorsa decisiva. Essa ha contribuito ad allentare, nel 2022, la crisi delle forniture dai gasdotti russi. Il ruolo delle 121 centrali nucleari europee, inoltre, si mostra strategico – per i volumi di gas clima-alteranti evitati – ai fini del raggiungimento degli obiettivi emissivi al 2030 e oltre. L’Italia fa largo ricorso all’importazione di energia elettrica prodotta in massima parte da impianti nucleari dei paesi confinanti (43 TWh nel 2022, pari al 13,6% della domanda totale). La sola siderurgia italiana consuma circa 17 TWh/anno, collocandosi al primo posto tra i grandi utilizzatori italiani.

L’Associazione Italiana Nucleare (AIN) è un’associazione tecnico-scientifica no-profit che rappresenta tutti i centri di competenza esistenti in Italia nel campo dell’energia e delle tecnologie nucleari. L’Associazione si propone in particolare di elaborare e rappresentare, in sede nazionale e internazionale, posizioni e opinioni qualificate concernenti le iniziative e i problemi nucleari e rappresenta il sistema nucleare italiano in seno alla European Nuclear Society (ENS) e al Forum Atomico Europeo (oggi Nucleareurope), organismo istituito il 12 luglio 1960 e dotato dello status consultivo presso l’ONU-IAEA, la Commissione Europea e il Parlamento Europeo. L’Associazione è presieduta da Stefano Monti, Ingegnere Nucleare con un vasto curriculum recentemente eletto anche Presidente della European Nuclear Society, che ci ha illustrato in questa intervista esclusiva il futuro del nucleare.

I reattori nucleari nel mondo. Fonte Infodata

D. Allora, dottor Monti, già i numeri elencati spiegano perché Europa e Italia devono accelerare nello sviluppo dell’energia nucleare. Ma proviamo a fare ordine: quali sono le reali ragioni?

R. Il nucleare è, assieme a e in sinergia con le rinnovabili, l’unica via per diventare indipendenti sul fronte dell’energia, portando a termine l’obiettivo della decarbonizzazione. Sebbene le rinnovabili siano cruciali, non sono sufficienti e presentano sfide complesse, ribadite al nostro convegno del 5 dicembre u.s. dal GSE. La prima è quella dei costi di sistema, costi nascosti che dovuti alla geografia (perché le rinnovabili, da sole e vento sono prodotte al Sud ma il 75% del loro utilizzo è al Nord), alla intermittenza e alla necessità di back-up. E dunque c’è un problema di costi aggiuntivi di trasmissione e dispacciamento. Per sopperire all’intermittenza, c’è bisogno di backup da impianti a combustibili fossili (tipicamente impianti a gas) ovvero di batterie e le batterie sono costruite con minerali, le terre rare, i cui fornitori sono in Cina. In generale gli stessi pannelli solari non possono prescindere dai fornitori asiatici. Andare in questa direzione non completa l’affrancamento da dipendenza energetica dall’estero, ma solo sostituzione. Tenuto conto che le rinnovabili hanno costi di sistema crescenti e sono intermittenti e non programmabili, se si vuole la completa decarbonizzazione del settore energetico bisogna integrarle con energie del carico di base, e dunque il nucleare che si presenta come una soluzione imprescindibile.

D. Però nelle rinnovabili si sono spesi anni e investimenti ingenti. Ne è valsa la pena?

Stefano Monti, presidente della Associazione Italiana Nucleare

R. Gli investimenti nelle rinnovabili sono stati ingenti: circa 300 miliardi di euro di incentivi sulla bolletta elettrica. Per costruire due impianti nucleari di grossa taglia servono 10 miliardi, quindi avremmo potuto realizzarne 30. Negli Emirati Arabi in dieci anni sono stati realizzati quattro reattori che forniscono 44 TWh all’anno, ovvero una quota equivalente a quella fornita da tutte le nuove rinnovabili (solare e eolico) in Italia. L’Italia ha una domanda di sola energia elettrica di circa 300 TWh all’anno. Senza considerare che la distribuzione geografica delle rinnovabili, la loro necessità di back-up e la loro dipendenza da fornitori stranieri sollevano questioni di sicurezza e sostenibilità a lungo termine. Insomma, se guardiamo al rapporto costo-beneficio, la risposta alla domanda se ne è valsa la pena è no. Avremmo potuto realizzare molti reattori nucleari con bassa occupazione del territorio, con la stessa cifra e con output decisamente superiore.

D. Eppure l’Italia produce una quota rilevante della sua energia elettrica da rinnovabili: circa il 40% nel 2021 e nel 2022 secondo il GSE. L’Italia è un’avanguardia nel mondo. Non va bene?

R. Intanto quel 40% include anche un 16-17% da fonte idroelettrica. In ogni caso quei numeri delineano in realtà un quadro tutt’altro che soddisfacente. Perché ci dicono che l’Italia rispetto ai consumi finali è ancora dipendente per quasi l’80% da fonti fossili… perché le rinnovabili producono solo elettricità e l’elettricità attualmente pesa per il 21% sugli usi finali dell’energia. Quindi parliamo del 40% di un 21% circa: davvero poco rispetto allo sforzo finanziario sostenuto dal Paese. Se ci limitiamo a decarbonizzare la parte elettrica, il lavoro è fatto a metà. Ovviamente la parte elettrica è destinata a crescere, perché la decarbonizzazione si fa con l’elettrificazione. Ma al momento i numeri ci dicono che senza nucleare stiamo facendo molto poco per la decarbonizzazione dell’intero settore energetico.

Il fabbisogno energetico globale

D. E invece quali sono i numeri che dovrebbero confortarci sul fatto che il nucleare consente di abbattere le emissioni?

R. Se si considera l’intero ciclo di vita, sia le rinnovabili sia il nucleare non sono completamente esenti da emissioni di CO2 equivalente. Ma il nucleare mostra un’impronta carbonica inferiore rispetto ad altre fonti energetiche, centinaia di volte meno per kWh rispetto alle fonti fossili e comparabile o inferiore anche a quella delle rinnovabili. Il rapporto della United Nations Economic Commission For Europe (UNECE) del gennaio 2022 indica per il nucleare valori compresi tra 5,1 e 6,4 gCO2eq/kWh e di 4,6 g/kWh per gli Small Modular Reactors: il carbone varia da un massimo di 1095 gCO2eq/kWh per le più impattanti (Cina) a un minimo di 753 gCO2/kWh per le ipercritiche in USA; il gas naturale dal valore massimo di 513 gCO2eq/kWh a 221 gCO2eq/kWh per cicli combinati ad alta efficienza. Ma per il fotovoltaico (PV) in funzione della tipologia dei pannelli e della collocazione (su tetti o su terreno), i valori compresi tra 8 e 83 gCO2eq/kWh e per l’eolico su terra (onshore) il valore è compreso tra 7,8 e 16 gCO2eq/kwh mentre a mare (offshore) tra 12 e 23 gCO2eq/kWh. I numeri non mentono.

D. L’Italia ha poi un esercito di componentisti fortissimi su diversi aspetti del nucleare. Aziende elettro-meccaniche e tecnologiche capaci di costruire quasi ogni parte di un reattore…

La firma dell’accordo consortile tripartito tra Ansaldo Nucleare, Candu e Khnp

R. L’Italia industriale è già estremamente attiva in campo europeo e internazionale, un centinaio di aziende italiane di varie dimensioni lavorano sul nucleare. Abbiamo una filiera nucleare che realizza componenti di ogni tipo per realizzare impianti all’estero, aziende come la Ansaldo Nucleare, tanto per fare un nome. L’industria nucleare italiana ha fatto cose spettacolari in Iter, componenti complicatissimi su questa macchina complessa. L’industria meccanica italiana sarebbe in grado di produrre i componenti più rilevanti per 8 SMR all’anno, una capacità industriale rilevantissima. Ansaldo Energia, Ansaldo Nucleare, Edison ed EDF hanno di recente firmato un accordo per collaborare nelle nuove realizzazioni all’estero e, in prospettiva, in Italia. La start-up Newcleo ha già 600 persone con l’obiettivo di portarle a mille… e poi c’è il mondo della ricerca con Enea, l’università e tante realtà che sono pronte a sostenere i progetti nucleari all’estero e, quando le condizioni lo permetteranno, anche in Italia.

D. Sul fronte dell’opinione pubblica, però, l’Italia resta nemica del nucleare. Questo potrebbe essere un ostacolo allo sviluppo di reattori?

R. I numeri indicano che le nuove generazioni sono aperte a soluzioni innovative e consapevoli che la questione climatica richiede risposte concrete. Si mostrano più favorevoli all’energia nucleare rispetto alle generazioni precedenti. Non è più vero nella fascia 18-35 anni che l’Italia sia contraria al nucleare: i referendum in cui il nucleare veniva bocciato risalgono uno al 1987, sull’onda emotiva di Chernobyl e il secondo al 2011 con l’incidente di FukushimaDaiichi che non ha provocato una sola vittima per causa dell’incidente. Il preconcetto c’è da parte delle vecchie generazioni, le nuove sono pragmatiche e desiderose di informazioni scientificamente corrette. Ci dobbiamo preoccupare di più di quelle, perché saranno le nuove generazioni che dovranno fare i conti con un mondo complicato e affamato di energia e, in quota crescente, di elettricità.

D. Ma un rischio ambientale connesso a un mondo costellato di reattori davvero non esiste?

R. Guardi, abbiamo un reattore nucleare naturale che si è formato in Gabon 1,7 miliardi di anni fa e che si stima sia rimasto in funzione per alcune centinaia di migliaia di anni i cui prodotti delle reazioni sono rimasti confinati e non si sono diffusi nell’atmosfera… sono stati fatti studi per 60-70 anni sui depositi geologici che devono tenere i rifiuti radioattivi separati dalla biosfera, e il primo di questi depositi aprirà i battenti in Finlandia nei prossimi anni. La tecnologia evolve, abbiamo soluzioni per gestire correttamente e in sicurezza i rifiuti radioattivi, persino per riciclarli. E anche in questo l’Italia è all’avanguardia.

Tutti i vantaggi del nucleare. Fonte Associazione Italiana Nucleare

D. Cosa direbbe ai paladini delle rinnovabili allora?

R. Obiettivamente, le rinnovabili non bastano pr la completa decarbonizzazione e non ci mettono al riparo dalla dipendenza dall’estero per via dei materiali di cui necessitano, che sono tutti in Asia, né ci mettono al riparo dall’oscillazione dei prezzi delle fonti fossili. Le rinnovabili ci lasciano alla mercé dei cambiamenti geopolitici che sono imprevedibili e dei prezzi che sono molto volatili: non ci difendono. Quando c’è stata la crisi con l’Ucraina, la dinamica sui prezzi è stata identica a quello che era successo nel ’73: quando le rinnovabili non c’erano. La decarbonizzazione si può fare se ci sono energie in grande quantità con prezzi stabili. Settori come ceramica, vetro, carta e acciaio vogliono un prezzo stabile, vogliono poter stipulare contratti a lungo termine con prezzi stabili, questo in maniera carbon-free lo può garantire solo il nucleare perché il combustibile gioca pochissimo (10-15% del prezzo finale) – questi grandi consumatori di energia si stanno rivolgendo all’estero per i power purchase agreement per poi avere energia elettrica con prezzi stabili e contratti a lungo termine. Se non ci attrezziamo almeno su questo, rischiamo di perdere il treno di prezzi dell’energia stabili e abbordabili dalla grande industria energivora.

D. Insomma, per tirare le fila del discorso, per come è pensata adesso la transizione green è più un costo che un beneficio? Rischia di far male all’industria e all’economia senza risolvere davvero il problema ambientale?

La sala di controllo centrale della centrale nucleare. Frammento del pannello di controllo del reattore nucleare

R. La transizione ci deve essere ma deve essere fatta in maniera graduale senza penalizzare la nostra industria. Stiamo immaginando scenari di transizione energetica accelerati e molto costosi quando l’Europa conta per un mero 8% delle emissioni globali… per cui avere in Europa la decarbonizzazione come unica priorità essendo così poco importanti per una riduzione delle emissioni, non ha molto senso. Ha invece molto senso preoccuparsi anche di prezzi dell’energia stabili e accessibili da tutti, nonché aumentare la nostra indipendenza strategica. Siamo dunque coscienti che la transizione passerà attraverso l’utilizzo del gas che però provoca emissioni di gas climalteranti sia durante l’estrazione e la distribuzione (il metano è 20-30 volte più climalterante della CO2) sia durante il bruciamento. Dunque nel tempo e senza penalizzare la nostra industria dovremmo abbandonare anche il gas. Davvero, al momento non c’è altra scelta del nucleare in sinergia con le rinnovabili. Certo per avere un reattore connesso in rete ci vogliono almeno dieci anni… si parla di quarta generazione, ma temo che quella almeno su scala significativa la vedremo solo fra 20 anni. I reattori attuali, di generazione 3, sono stati concepiti e sviluppati subito dopo Chernobyl, l’implementazione industriale su vasta scala sta avvenendo in questi anni, quindi ci sono voluti circa 30 anni dalla concettualizzazione alla realizzazione. Dobbiamo partire subito coi reattori già disponibili sul mercato e poi costruire impianti ancora più avanzati – dagli SMR ai reattori di IV generazione alla fusione – mano a mano che si renderanno disponili sul mercato. Ma occorre muoverci velocemente per ricreare le condizioni per un siffatto programma realizzativo.














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