Le Metamorfosi 2.0 di Danieli: alluminio, Iran e Nord Africa

di Laura Magna ♦ Le nuove strategie di Danieli: la società siderurgica friulana punta all’alluminio, all’Iran e al Nord Africa. Come molte aziende al top della manifattura a valore aggiunto, offre la capacità acquisita per costruire i propri stabilimenti.

Alluminio e Iran e, in prospettiva di medio termine, un nuovo stabilimento in Nord Africa. Sono queste le frontiere dello sviluppo futuro di Danieli, che sta portando a compimento il progetto Metamorfosi 2.0 iniziato due anni fa. Un progetto che, pur rappresentando un’evoluzione importante, non cambierà la mission della società friulana guidata da Giampietro: costruire impianti chiavi in mano per la produzione di acciaio dei clienti in tutto il mondo e produrre in proprio materiali siderurgici ad alto valore aggiunto. Danieli è un tipico esempio del meglio della manifattura italiana: prima ha imparato ha costruire, per se stessa, impianti siderurgici a valore aggiunto. Poi ha iniziato a vendere sul mercato, a terzi, questa capacità, che è diventata una fonte di profitto importante. In questo modo, ha anche superato l’empasse costituito dalla diminuzione dei margini siderurgici in tutto il mondo occidentale.

Danieli Centro Recycling
Danieli Centro Recycling

Il progetto Metamorfosi 2.0







Metamorfosi 2.0 affianca alla siderurgia concetti apparentemente lontani come il green e il cloud computing, etichette attraenti, molto da marketing, ma anche sostanza che convince gli analisti e che produce crescita, con l’obiettivo di crescere ancora del 30% nei prossimi tre anni, in quello che essi stessi definiscono “un settore a crescita zero”. Non solo in Italia, ma globalmente. A Buttrio, nella provincia udinese, negli ultimi dieci anni Danieli ha raddoppiando giro di affari e lavoratori facendo da soggetto aggregatore in un comparto sempre più consolidato. Una decisione importante è stata quella di rafforzare il reparto di ricerca e sviluppo nella sede produttiva storica: la prossimità della testa pensante con la fabbrica prodotto rappresenta un importante fattore di stimolo e accelerazione dei processi di innovazione e dunque è un elemento che discrimina le imprese di successo dalle altre. E la ragione è chiara: le comunicazioni avvengono in maniera più rapida e lineare e così le diverse esigenze vengon trasmesse in maniera più efficace. Inoltre, anche la manifattura, il fare, contiene elementi importanti di know-how, che si sommano e mescolano al know-how progettuale e direttivo più teorico. Ovviamente questa prossimità fa venire in meno la distinzione rigida tra ruoli: l’ingegnere che progetta non si ferma al disegno, ma si sporca le mani sulla linea. Chi sviluppa il prodotto ne testa l’affidabilità con visite al cliente. Si creano squadre che partecipano insieme alle simulazioni e che rendono più facile ed efficiente economicamente fare innovazione. Ottimizzare e codificare tutto questo è tra gli obiettivi del progetto Metamorfosi.

Oggi , con Danieli, i produttori di impianti completi che si contendono il mercato sono tre: oltre ai friulani i tedeschi, fortissimi, di Sms e Siemens. Che però offrono macchine a costi superiori del 30%, un dato che, se non va a scapito della qualità, può fare la differenza.

Altri operatori fanno alcuni pezzi di fabbrica, laminatori o altiforni, ma è già un mestiere diverso. Il valore aggiunto di Danieli sta nella capacità di progettare, realizzare e vendere una fabbrica intera che produce acciaio insieme ai servizi post-vendita di manutenzione e aggiornamento. E con questa capacità dà un contributo del 40% all’export annuo della provincia di Udine e del 20% dell’export regionale. Conta più di 11mila dipendenti, di cui i quattro quinti dislocati in giro per il globo, nelle sedi produttive di Svezia, Germania, Francia, Austria, Olanda, Regno Unito, Russia, Spagna e Asia, e nei centri di servizio in Usa, Brasile, Egitto, Turchia e Ucraina. E per tenerle tutte collegate con Buttrio, di recente si è dotata di una dorsale digitale globale in grado di collegare 40 sedi in tutto il mondo con una connettività di 10 Gbs per la Data Center consolidation e il disaster recovery. Un Internet delle cose messo in pratica. «I prodotti intelligenti connessi alle reti informatiche» – scrive scrive Salvatore Garbellano, docente di modelli organizzativi al Politecnico di Torino – «permettono di effettuare efficienze significative sulle reti di assistenza, ridurre il rischio di perdere il controllo del business dell’assistenza e quindi rappresentano un efficace mezzo di fidelizzazione dei clienti». Attraverso questa Internet fisica Danieli stipula contratti, fa il costumer care, risolve problemi a impianti installati a migliaia di chilometri di distanza dagli ingegneri del quartier generale. Di più: dopo aver acquisito aziende (tra cui la Fata da Finmeccanica), un impianto superproduttivo (la Rotoforgia), aperto in India, Russia e Turchia, consolidato Cina, Thailandia e Vietnam, nel prossimo futuro gli unici investimenti significativi che la Danieli ha in progetto sono in Danieli Automation per allargare l’attività di robotica, e nel digitale. E forse, ma non prima del 2020, in una fabbrica nell’area Mena o Nord Africa.

Danieli Wean United
Danieli Wean United

 

Impianti chiavi in mano

La storia di Danieli è vecchia di 102 anni: nata a Brescia, è stata la prima impresa in Italia usare una fornace ad arco elettrico, che si serviva dei rottami ferrosi come materia prima per la produzione in colata continua di acciaio. Oggi quelle fornaci, nella forma moderna di mini-mill, sono quasi del tutto appannaggio suo: nel settore degli impianti per la produzione dei prodotti lunghi, travi di acciaio che sono usate in primo luogo per rinforzare il calcestruzzo, ha una quota di mercato del 90%. Merito di due fattori: le macchine friulane sono competitive per Capex e Opex e sono fortemente sostenibili se comparate agli impianti integrati con altoforno e uso di carbone Coke.

Il Capex, ovvero la spesa necessaria per dotarsi dell’impianto e l’Opex, ovvero la stesa di gestione per la produzione sono voci estremamente importanti nel bilancio di qualsiasi azienda-cliente: per fare nuovi passi in avanti in questa direzione Danieli sta investendo sulla divisione “pacchetti tecnologici”, una serie di interventi su impianti installati che hanno lo scopo di migliorarne qualità e produttività e contrastarne l’obsolescenza. Nei prossimi cinque anni l’azienda spingerà sempre di più su questo settore con l’obiettivo di crescere del 5% all’anno e di arrivare a un fatturato di 2,5 miliardi entro il 2020. E già il plant making è la parte più pesante del business, che conta per circa 2 dei 2,7 miliardi del giro di affari consolidato dell’esercizio chiuso al 30 giugno 2015 e per 180 dei 250 milioni di Ebitda, nonché per il 90% del portafoglio ordini da 3 miliardi.

Approccio olistico

Gli impianti non competono solo sul prezzo ma anche in termini di approccio, un approccio olistico, per usare le parole dei friulani. Che considerano “l’acqua una risorsa da salvaguardare” e intendono “ridurre il livello di emissioni nell’atmosfera e quello di CO2 equivalente, ottimizzando il consumo di energia”. Danieli lo fa attraverso un servizio di valutazione dell’energia sprecata per identificare il modo più efficiente di recuperarla e con il suo Clean Heat Recovery plant (Chrtm), che produce elettricità sfruttando il calore dei fumi di fabbrica o con alcune soluzioni brevettate. Per esempio Ecogravel, un impianto che converte le scorie in aggregato industriale e recupera i rottami delle lavorazioni o come Indutec, che elimina la necessità di trattare le polveri in quanto rifiuti pericolosi e consenti il recupero di zinco e scorie inerti come prodotti vendibili e ghisa per alimentare di nuovo il forno. A Buttrio lo chiamano green steel: e per realizzare questa idea e alcune altre idee apparentemente folli negli ultimi 10 anni sono stati reinvestiti in azienda 1.350 milioni, l’88% degli utili. Gli azionisti sono un po’ rimasti a bocca uscita, visto che a loro è toccato solo il 5,1% degli utili, ma senza questo continuo flusso di denaro in ricerca & sviluppo Danieli non sarebbe ciò che è ora, o forse non sarebbe neppure ancora in vita, fagocitata da un concorrente.

Danieli, impianto produttivo a Raigarh
Danieli, impianto produttivo a Raigarh

Invece corre. E guarda oltre l’acciaio. Gli esperti la chiamano diversificazione intelligente e consiste nell’entrare in settori attigui a quelli tradizionali, ma a elevato valore aggiunto. La nuova frontiera per i friulani si chiama alluminio, che andrà sempre più a rimpiazzare l’acciaio nella carrozzeria delle auto. E nel futuro ci sarà sempre più rame per elettronica e treni ad alta velocità. Nel focus oggi c’è soprattutto l’alluminio: Danieli ha siglato un accordo con Alcoa per realizzare un impianto micro-mill ad hoc negli Usa. La macchina sarà in grado di trasformare la barra di alluminio solida in nastro per carrozzeria, in venti minuti, mentre oggi il processo richiede 20 giorni. L’accordo non prevede sovrapposizioni tra i due gruppi industriali: a Danieli il processo produttivo e ad Alcoa la produzione di alluminio. E per realizzare il processo gli italiani hanno hanno acquisito Innoval (ex British Steel), Fata (rilevata da Finmeccanica), Danieli Frohling. Fata in particolare fornirà diversi brevetti e una tecnologia di nicchia oltre a un settore di gestione di commesse chiavi in mano molto interessante. Così il business ora marginale dell’alluminio, che vale solo 50 milioni, potrebbe quadruplicare nel giro di un biennio.

La nicchia dell’acciaio speciale

Una prospettiva interessante, visto il calo costante nell’acciaio tradizionale. I conti dell’esercizio chiuso a giugno 2015 non mentono: il fatturato della divisione acciaio è ammontato a 726 milioni di euro, con una riduzione del 9% imputabile alla diminuzione dei prezzi della materia prima; l’ebitda è stato di 70 milioni di euro e il risultato netto di 17 milioni. L’acciaio conta per il 30% del mol e per un quarto del fatturato di Danieli. Gli investimenti di 162 milioni effettuati lo scorso anno – per lo più confluiti nella Rotofargia che aumenta in maniera decisiva la produttività – hanno portato la posizione finanziaria netta a -165 milioni.

Ma si tratta, ancora una volta, di spesa di capitale necessaria a contrastare il calo globale del mercato: il consumo di acciaio è crollato nel 2015, segnando -3,5% con la Cina in calo del 4% e gli altri Paesi di circa il 2,5%. L’attesa è di una domanda piatta nel 2016, con la Cina in discesa per il terzo anno consecutivo. L’industria si aspetta un miglioramento dal 2017: intanto però, la decelerazione ha portato il mercato ai livelli del 2009, il che pone i margini del settore sotto pressione. E, considerando che i mercati emergenti contano per due terzi circa della produzione di acciaio e la Cina per il 50% con l’offerta di prodotti a basso costo e bassa qualità, in effetti il compito di restare a galla è arduo. Danieli intende provarci piazzandosi in una nicchia della produzione di acciaio, che sia quella di un materiale ad elevato valore aggiunto. Con l’obiettivo di dare vita a una lega non replicabile: leggera, resistente, indeformabile, capace di competere con l’alluminio. Con la speranza che la produzione resti in Italia.

Italia in bilico?

Attualmente l’attività di produzione di acciaio, destinata all’industria automobilistica, mezzi pesanti, industria meccanica, energetica e petrolifera la svolgono due controllate: le Acciaierie Bertoli Safau (Abs) e la croata Abs Sisak. Proprio su questo decentramento per ora solo parziale, avvenuto a metà 2013, si basa l’ipotesi che la produzione italiana venga chiusa. Un’ipotesi paventata dai sindacati, ma finora sempre smentita dall’azienda. Che tiene a sottolineare come, “dopo aver concluso la prima fase di investimenti a Sisak in Croazia” abbia “proseguiti gli investimenti a Pozzuolo, con il completamento dei nuovi laminatoi reversibili, l’aggiornamento tecnologico della macchina di colata MCC3 e l’avvio nel mese di settembre del nuovo laminatoio Rotoforgia”. La macchina che potrebbe fare la differenza e salvare la fabbrica italiana da una fuga oltre confine. “Abs è stata dotata della nuovissima Rotoforgia”, spiega a Industriaitaliana Daniele Scognamiglio, head of asset management di Jci Capital Limited, “un impianto di laminazione per prodotti lunghi con una produttività cinque volte superiore agli attuali impianti di forgiatura. La maggior produttività consente anche una maggiore velocità di produzione e quindi eventualmente di reagire meglio alle variazioni della domanda di mercato”.

Elemento non banale, dato che la domanda di acciaio è in calo soprattutto nei Paesi emergenti e Danieli è una multinazionale con ricavi che a giugno 2015 sono arrivati per il 31,1% dal Sud est Asiatico, per il 19,6% dal Medio Oriente, per il 9,2% da Nord e Sud America e per il 40,1% da Europa e Russia. Le aree dei nuovi impianti sono sempre più spesso in zone remote dove sono collocate le materie prime e la mano d’opera a buon mercato.

Danieli in Algeria
Danieli in Algeria

Dimensione internazionale

E proprio questa dimensione internazionale prevalentemente emergente e potenzialmente penalizzante vista la contingenza è stata invece la sua forza, ciò che ha consentito di “completato un ciclo d’investimenti importanti che permetteranno di generare cassa in un mercato dove la concorrenza diventa sempre più agguerrita – continua Scognamiglio – Pertanto, seppure il quadro macroeconomico e le previsioni di domanda e prezzi non siano rosee, la Danieli sta puntando nella direzione giusta: continua innovazione e diversificazione in altri comparti e aree geografiche”. Come la Russia, il Brsile e soprattutto l’Iran: “Il capitolo Iran potrebbe rivelarsi particolarmente profittevole – conclude Scognamiglio – La prima ragione, diretta, è che con la cancellazione delle sanzioni e con l’accordo già in essere per 5,7 miliardi, si aprono le porte per un mercato enorme, perché gli impianti esistenti nell’industria dell’acciaio iraniana sono obsoleti. La seconda ragione, indiretta, è che l’apertura dell’Iran potrebbe favorire una soluzione politica sul fronte russo. Se l’Iran è “solo” al 14esimo posto nella produzione di acciaio, la Russia è un dei maggiori produttori mondiali, al sesto posto, e la Danieli potrebbe penetrare il mercato non solo per la produzione di macchine e impianti, ma anche per la produzione di acciaio vera e propria, visto che la controllata Abs, già vende direttamente acciai speciali ad aziende russe”. Un campo di gioco normale per Danieli che è stata una delle prime imprese italiane di media dimensione a puntare sui mercati internazionali tra la fine degli anni Novanta e i primi anni 2000.

“Per la nuova generazione di imprese”, continua Garbellano, “le due I di innovazione e internazionalizzazione, sono strettamente correlate: il continuum è chiaro: soltanto chi innova entra con successo nei mercati internazionali; soltanto le aziende che si internazionalizzano riescono a crescere, spesso con grande rapidità”. Parole che sono la fotografia sintetica e fedele di Danieli.


FONTI

Report del 9 febbraio 2016 di Alessandro Tortora, Mediobanca securities
Report del 26 febbraio 2016 di Michele Baldelli, Exane Bnp Paribas
Intervista a Daniele Scognamiglio, head of asset management di Jci Capital Limited
Bilancio 2014/2015 (http://corporatenews.danieli.com/?lang=it)
News su www.danieli.com
Salvatore Garbellano, Come le medie imprese di successo hanno superato la crisi (FrancoAngeli)














Articolo precedenteLa manifattura dentale italiana si ritrova a Expodental
Articolo successivoDa Finmeccanica a Leonardo, che cos’è la Moretti way






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui