Manifatturiero e New normal per Universal Robots 

di Renzo Zonin ♦ Domanda: nell’era del Covid-19 i robot collaborativi possono essere una soluzione rapidamente dispiegabile dalle aziende manifatturiere per garantire le distanze di sicurezza senza reingegnerizzare le linee? La risposta la dà a Industria Italiana Alessio Cocchi, country manager Italia di Universal Robots, che ci ha anche raccontato come la sua azienda si sia adattata all’emergenza sanitaria.

Queste previsioni però sono state formulate prima della pandemia da Covid-19. E ci sono buone probabilità che le stime sul lungo periodo vadano quindi riviste. Sì, ma al rialzo, fatta salva una possibile flessione durante la parentesi di crisi economica nei primi mesi dell’emergenza.







Infatti, le aziende che stanno faticosamente riprendendo a operare hanno un grosso problema da risolvere: il mantenimento del distanziamento sociale. Ovvero, devono impedire ai propri dipendenti di avvicinarsi sotto la distanza di sicurezza per più di qualche secondo. E se questo è facile in un ufficio dove basta allontanare due scrivanie, diventa complicato in uno stabilimento in cui c’è da far funzionare una linea di assemblaggio pensata per mettere più operatori nel minor spazio possibile. Ma se gli operatori fossero affiancati da Cobot?

Alessio Cocchi, country manager Italia di Universal Robots

«Se c’è la necessità di mantenere un distanziamento sociale fra gli operatori in fabbrica, la robotica collaborativa potrebbe essere una buona risposta all’esigenza – ammette Alessio Cocchi, country manager Italia di Universal Robots, un marchio che nel settore dei cobot costituisce lo “standard de facto”- perché si potrebbe per esempio pensare di inserire un cobot fra due operatori, demandandogli una serie di task e attività. In questo modo non vado a bloccare la catena produttiva della mia linea e contemporaneamente riesco a distanziare gli operatori senza dover stravolgere l’installazione già esistente». Ovviamente il ragionamento fila solo se è facile sostituire un operatore con un cobot. «Ovviamente il task da demandare al robot va sempre analizzato da un punto di vista tecnico per valutarne la fattibilità. Però in generale il cobot può fare parecchi task in parecchie applicazioni e dal punto di vista della semplicità d’uso è un robot molto intuitivo, che si guida anche in autoapprendimento. Quindi posso spostare il robot a mano e insegnargli dei punti, piuttosto che delle traiettorie che voglio che esso compia, e grazie a un’interfaccia grafica molto intuitiva basata anche su delle app riesco a comandarlo in maniera molto più semplice di quanto non possa fare con un robot “normale”».

Ma quanto ci metto?

Un problema potrebbe essere dato dai tempi di installazione. Le aziende italiane che devono recuperare tempo e lavoro hanno una stringente necessità di riorganizzarsi nel new normal. e di farlo in fretta. Dunque, quanto tempo serve per mettere in linea un cobot? «Partirei dai tempi di consegna dei nostri cobot, che in genere sono intorno ai 10 giorni lavorativi. Dunque tempi rapidi, se si pensa che per un robot classico possono volerci anche diverse settimane per la consegna. Quando arriva in fabbrica il cobot può essere riattrezzato facilmente perché è possibile anche usare accessori plug and play di terze parti, facilmente interfacciabili dal punto di vista hardware e software, che fanno più che dimezzare il tempo di entrata in servizio rispetto a un normale robot. Quindi tipicamente se dovessi montare un cobot in asservimento di una macchina utensile, potrei metterci meno di mezza giornata da quando il cobot arriva a quando è funzionante sulla macchina. Insomma i tempi di messa in servizio sono molto rapidi, e molto più rapidi di qualsiasi altro robot industriale tradizionale. Poi non sottovalutiamo il fatto che essendo robot leggeri, compatti, che vanno a 230 V, posso un domani spostarli facilmente nell’attività produttiva, andarli a ricollocare su altre macchine e altre linee. Oggi l’esigenza è questa, il robot arriva in fretta, lo installo in fretta, lo collego in fretta, lo programmo in fretta, posso istruirlo in tempi brevi per eseguire i task che desidero, e soprattutto un domani essendo leggero e spostabile lo posso riallocare ad altri compiti senza impazzire. È una macchina che pesa trenta chili, stacco la spina e la sposto dove mi serve. Quindi anche in termini di flessibilità futura questa caratteristica semplifica la vita».

Produzione del modello Ur 06

Standard di mercato

Se la flessibilità è uno dei punti di forza dei cobot, c’è da dire essa viene massimizzata proprio nel caso delle macchine prodotte da Universal Robots, che sono di fatto lo standard di mercato. E questo significa per esempio ampia disponibilità di accessori di terze parti, con oltre 200 prodotti certificati – chi produce pinze per cobot, per esempio, ovviamente punterà prima di tutto alla compatibilità con lo standard di mercato, e poi a quella con altre marche. Ma quali sono i motivi che hanno fatto sì che Universal Robots sia l’azienda di punta del segmento? Non dimentichiamo che stiamo parlando di una realtà relativamente piccola (anche se fa parte del gruppo Teradyne sviluppatore e fornitore di apparecchiature di prova automatiche (ATE) – Guidata da Mark E. Jagiel) in un mondo di giganti della robotica, in larga parte dominato da società cinesi o acquisite dalla Cina, che è il maggiore mercato mondiale.

Fondata nel 2005, UR ha fatturato 248 milioni di dollari nel 2019, +6% rispetto all’anno precedente, e impiega circa 680 dipendenti in 20 diversi Paesi, con headquarter a Odense, in Danimarca. Eppure detiene circa il 50% del mercato dei cobot a livello mondiale. Come mai? «Noi siamo stati gli inventori dei robot collaborativi, e negli ultimi anni c’è chi ha cercato di guadagnare quote in un mercato che abbiamo creato noi e che stiamo sviluppando. Quindi siamo molto osservati o copiati da altre aziende. Le caratteristiche base delle nostre macchine sono prima di tutto la semplicità d’uso, poi il fatto di essere robot che possono lavorare fianco a fianco agli operatori perché sono apparecchi sicuri: abbiamo la massima certificazione safety sul mercato, che è la TÜV Nord, con 17 funzioni di sicurezza programmabili. Inoltre c’è il fatto che il nostro cobot è molto leggero e quindi può essere facilmente spostato in un layout di fabbrica. Tanto che abbiamo clienti che hanno montato i nostri cobot su carrelli mobili, e li spostano dove è necessario, oggi su un tornio, domani su una fresa, più in là magari lo smontano e lo mettono su un banco ad avvitare. Quindi sono robot facilmente ricollocabili che smontano un po’ il concetto di automazione classica, perché il robot diventa un tool mobile antropomorfo con 6 gradi di libertà, facilmente ricollocabile e riattrezzabile. Questo è un vantaggio che prima dell’arrivo di Universal Robots la robotica industriale non stava offrendo. Poi, avendo una quota del mercato mondiale dei cobot superiore al 50% con una base installata superiore alle 42mila unità, che nessun competitor ha, chiunque voglia creare accessori plug&play per cobot ottiene un vantaggio competitivo e commerciale pensandoli prima di tutto per le nostre macchine e per il nostro ecosistema, che è il più vasto e più installato sul mercato».

L’ecosistema di Universal Robots ha anche un nome: si chiama UR+, ed è un vero e proprio programma di certificazione per software, hardware e accessori. Al momento ci sono 206 prodotti certificati, e oltre 400 società di sviluppo commerciale approvate dal programma.

La sede centrale di Universal Robots a Odense in danimarca

Il lato finanziario

Quando si tratta di fare investimenti a lungo termine, le aziende italiane devono fare i conti con una cronica mancanza di liquidità. Problema che, di questi tempi, è esacerbato dalla crisi di cash-flow dovuta alle chiusure forzate, che hanno pesato negativamente su tutta la filiera dei pagamenti. E visto che i prestiti garantiti promessi dal governo ritardano, viene da chiedersi se le aziende saranno in grado di dotarsi degli strumenti robotici di automazione, di cui avrebbero bisogno. «Cominciamo col dire che l’acquisto di un cobot non è un investimento particolarmente oneroso per l’azienda, e l’investimento viene recuperato tipicamente entro un anno, quindi anche acquistarli con formule tradizionali non è al di sopra delle capacità di spesa di gran parte delle aziende. Comunque, proprio perché si tratta in genere di investimenti piccoli, e perché la nostra clientela è composta soprattutto da Pmi, abbiamo fatto una partnership con Dll , un gruppo multinazionale specializzato nelle soluzioni finanziarie patrimoniali in materia di equipaggiamenti e tecnologie, e abbiamo creato insieme dei pacchetti finanziari per agevolare ulteriormente le imprese, in particolare quelle più piccole, e per dargli maggiore facilità nell’acquisizione di cobot. E l’abbiamo fatto in due modalità. La prima è il classico leasing finanziario, che il cliente potrebbe chiedere anche alla propria banca, ma con un vantaggio: con Dll la pratica “cobot” è una pratica pre-approvata, perché è un bene noto e sanno benissimo cosa può fare, quindi il procedimento è molto più rapido e il tasso è molto più conveniente di quello che mediamente si trova sul mercato. La seconda invece è il noleggio operativo. Così come le aziende affittano le automobili aziendali per i loro manager con formule di noleggio operativo, anche per i cobot UR è possibile fare la stessa cosa. Quindi io posso acquisire in modalità noleggio operativo uno o più robot ed eventuali accessori, o anche i servizi, perché posso includere per esempio manutenzione e servizi post-vendita, quindi cose che vanno al di là del singolo bene “robot”. Il tutto con un canone mensile di noleggio che può partire da poche centinaia di euro, in modo tale che il robot venga anche dedotto dai costi vivi dell’azienda. Perché a questo punto ha una tassazione diversa, non finisce nel flusso di cassa, e ci sono una serie di vantaggi fiscali che il noleggio operativo ha nei confronti dell’acquisto o del leasing».

Anche per la robotica, quindi, si stanno percorrendo sul lato finanziario le stesse strade sulle quali si sono incamminati da tempo settori come l’IT. Per quest’ultimo, dopo il leasing e il noleggio operativo, comincia a farsi strada anche la modalità “as a service”, o in altre parole il “pay-per-use”: il bene resta di proprietà del produttore, che lo installa dal cliente e ne cura la gestione e la manutenzione, in cambio del pagamento di una tariffa calcolata in base all’utilizzo effettivo che è stato fatto del bene. Arriveremo a questo anche per i robot? «Sicuramente è una tematica molto interessante, ed essendo comunque di fatto il cobot (e il robot in generale) sempre più paragonabile a una commodity industriale, potrebbe essere che questo tipo di scenario sia implementabile in tempi non lontani. Non so se nel nostro headquarter ci abbiamo già ragionato su, ma me lo posso aspettare, perché è un passo successivo abbastanza logico. Certo che sul “pay per use” andrebbero coinvolti dei system integrator, perché andremmo a offrire un sistema e non una semplice macchina. Quindi è ipotizzabile che nascano delle partnership con system integrator che andrebbero a proporre questa formula ai clienti. Al momento comunque non abbiamo una proposta ufficiale su questo tema».

Universal Robots però ha già una rete di partner che lavorano con l’azienda, a parte il programma UR+ che riguarda più i fornitori di hardware e software compatibile. «Abbiamo dei distributori, lavoriamo in tutto il mondo con distributori selezionati, che fungono da filiale locale di UR, quindi hanno un team dedicato dal punto di vista tecnico e commerciale, e sono esperti dei nostri prodotti. Per loro facciamo un piano di formazione molto importante, e sono loro che rivendono il nostro prodotto al cliente sul territorio. La nostra filiale segue il mercato Italia e Malta, e gestisce tutte le strategie commerciali e post vendita con cinque distributori presenti sul territorio nazionale. Abbiamo circa 12 filiali nel solo Nord Italia, quindi una presenza capillare perché da subito il nostro focus è stato di stare vicini ai nostri clienti. Siamo vicini quando bisogna fare lo studio preliminare, siamo vicini quando dobbiamo aiutarli a fornire il cobot e gli accessori, siamo vicini quando servono suggerimenti, implementazione tecnica, troubleshooting, assistenza post vendita. Se c’è un problema su un robot a Bari, il tecnico non deve partire da Torino ma magari da una sede a qualche ora di macchina dal cliente, quindi l’intervento è molto più rapido e molto più snello». La presenza dei distributori di Universal Robots sul territorio italiano vede una maggiore densità al nord, dove risiede la maggior parte dei clienti, ma il centro sud è coperto da partner presenti su Firenze, S. Benedetto del Tronto (AP), Roma, e Pompei (NA). Se la composizione della rete è pensata in prima battuta su base geografica, in effetti ogni distributore ha delle specializzazioni particolari che dipendono dai distretti industriali ai quali è più vicino, a partire dai partner piemontesi che ovviamente detengono una specifica expertise nel settore automotive.

Cobot Universal Robots operativo

Vicini anche in quarantena

Un’azienda che punta alla massima vicinanza al cliente deve affrontare parecchi problemi in tempi di pandemia. Anche se mano a mano le attività produttive stanno ottenendo il permesso di riprendere a operare, ci sono grandi limitazioni ai contatti “fisici”, che si ripercuotono su quella che è la normale routine di Universal Robots. Per esempio, il programma di training, che è particolarmente intenso, ha dovuto essere completamente ripensato. La didattica a distanza, insomma, non è un problema solo della scuola statale.

«Abbiamo cercato di inventarci qualcosa in tempi rapidi per sopperire a una serie di temi formativi che avevamo già a calendario come formazione in aula con i nostri clienti, ma che erano saltati per ovvi motivi sanitari. Quindi nel giro di due settimane abbiamo realizzato un programma di webinar, tipicamente uno a settimana, per dare ai nostri clienti o a tutte le persone che fossero interessate ad approfondire determinati argomenti, gli strumenti per capire se il cobot possa essere utile alle loro aziende. Abbiamo a grandi linee due grandi tipologie di webinar, quelli più commerciali e quelli più tecnici. Ci sono webinar sulle applicazioni, focus sui mercati, e webinar molto tecnici focalizzati su tematiche specifiche, come la visione, la safety eccetera».

Il programma di webinar è già confermato fino a metà luglio, ed è possibile iscriversi ai prossimi eventi (ma anche vedere on demand gli eventi già trasmessi)  su questa  pagina . I seminari durano in media meno di un’ora e sono gratuiti – a differenza dei corsi in aula condotti nell’era pre-Covid, con formazione personalizzata per ogni tecnico delle aziende clienti, che erano a pagamento, anche se a prezzi accessibili (un corso personalizzato di due giorni in aula, con diploma, era intorno ai 1.000/1.200 euro di listino). Naturalmente, seguendo il webinar on-line invece che in aula si perde la possibilità di interagire direttamente con il robot, ma Universal Robots propone in alternativa di utilizzare un simulatore, ed è comunque possibile utilizzare il software della macchina, caricandolo sul computer dello studente.

Packaging, machine tending, assemblaggio, finiture superficiali, saldatura sono solo alcuni delle applicazioni che verranno affrontate nei webinar da un punto di vista collaborativo – ovvero vantaggi, esempi, varianti di automazione, eccetera. Accanto agli aspetti strettamente pratico-operativi, verrà dato spazio a temi connessi alle nuove opportunità di finanziamento e leasing operativo, alle novità hardware e software, alle funzioni di safety, alle modalità di programmazione e deployment. I webinar vanno a complementare la corposa attività della UR Academy, un’iniziativa di e-learning gratuito di Universal Robots, che è disponibile a livello mondiale in otto lingue, è composta da una decina di moduli ed è stata utilizzata da oltre 90mila studenti in più di 130 Paesi. Ma questa non è la sola iniziativa presa in dalla filiale italiana per rimanere vicini ai clienti. «Durante la fase di emergenza Covid non era più possibile andare dai clienti, così abbiamo messo in campo gli Online Meeting. Ci colleghiamo al cliente in videochiamata, e studiando insieme foto, video del processo, presentazioni eccetera, riusciamo a dare una prima consulenza su come muoversi, in maniera virtuale, con simulazione in 3D e studio di fattibilità a distanza. Certo prima o poi qualcuno dovrà andare a installare l’impianto, quindi bisognerà passare alla fase successiva, però l’online ci ha dato la possibilità di dare continuità e velocizzare alcuni processi. La classica attività di prevendita, con il commerciale che visita il cliente, studia la fabbrica eccetera è stata trasformata nei limiti del possibile in un’attività on-line». Si tratta, di fatto, di una vera e propria consulenza digitale, gratuita e one-to-one, realizzabile anche in un periodo come questo durante il quale non c’è possibilità di incontrarsi fisicamente presso le sedi di lavoro.

Cosa succederà in futuro

Abbiamo accennato all’inizio che l’industria dei cobot aveva grandi prospettive di crescita nei prossimi cinque anni, e che l’arrivo della pandemia potrebbe aver cambiato il trend in negativo nel breve periodo ma in positivo sul lungo. È ancora presto per avere delle conferme o per fare ipotesi credibili, ma come vedono il futuro in Universal Robots? «In generale, nei primi due mesi dell’anno siamo partiti bene, c’era crescita rispetto all’anno precedente. Covid, sul lato commerciale, ha fermato molte vendite, perché le aziende avendo l’incertezza del non sapere quando avrebbero potuto riaprire hanno sospeso molti progetti. Ma sono certo che questi progetti verranno rapidamente tirati fuori al momento della ripartenza, anche parziale, proprio per far fronte al problema del distanziamento sociale, visto che l’automazione di alcuni processi potrebbe essere una valida e rapida risposta al problema e vista la necessità dell’economia di ripartire in tempi rapidi. Il danno all’economia indotto dal coronavirus è importante, bisogna saper reagire e l’impresa italiana, anche medio-piccola, ne ha le capacità. Si tratta di ripensare – un po’ come abbiamo fatto noi sfruttando l’on-line – una parte dei processi, e di automatizzare alcune parti del processo produttivo, per fronteggiare quest’emergenza sanitaria in ottica di flessibilità. Perché dobbiamo ricordare che il bello del cobot è che compro sì un oggetto, ma compro anche flessibilità produttiva, perché non è un’automazione fissa e rigida. È un’automazione molto facile da riprogrammare e da gestire su processi scalabili e totalmente diversi in futuro. Insomma non è un cespite che compro e ammortizzo in uno specifico impianto, ma qualcosa che in futuro posso utilizzare in altro modo. E l’aspetto finanziario, anche grazie al noleggio operativo, al leasing o ad altre formule che posso concordare con il cliente, non è uno scoglio per portare a casa il robot e fargli fare qualcosa. Anzi, ci sarà da divertirsi alla ripartenza perché magari in questo periodo gli imprenditori stanno pensando a come utilizzare i cobot per far ripartire la propria fabbrica. Ci sarà un po’ di selezione naturale, perché le imprese sono state tutte colpite dal punto di vista economico. Al di là di quello che potrà fare lo Stato, chi sarà più bravo e veloce ad adattarsi e a rinnovare i suoi processi sarà più competitivo e sarà ancora presente sul mercato domani. Chi invece crede di poter fare le stesse cose di prima, nello stesso modo in cui le ha sempre fatte in passato, soffrirà di più».














Articolo precedenteIrbm: possibili partner industriali italiani per il vaccino anti Covid-19
Articolo successivoImpresa, Innovazione, In-Formazione, Incontro. Le 4 I di A&T






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui