Lenovo: l’industry standard come vantaggio competitivo nei server

di Renzo Zonin ♦︎ Si pensava che l’accettazione delle architetture a base Intel nel mercato dei data center avrebbe portato all’omologazione delle macchine, all’appiattimento dell’offerta, a un calo generalizzato della qualità e all’azzeramento dei margini per i produttori. E invece…

Lenovo Supercomputer

I processi di digital transformation, sempre più importanti per le aziende, stanno facendo aumentare rapidamente la richiesta di information technology. Una ricerca di Idc, per esempio, prevede che la dimensione delle Global Datasphere (ovvero il complesso dei dati presenti nel mondo) passerà dai 33 Zettabyte del 2018 a circa 175 Zettabyte entro il 2025. Uno Zettabyte, ricordiamo, è pari a un miliardo di Terabyte, ovvero a 250 milioni di hard disk da 4 Terabyte.

Questa grande richiesta, ovviamente, è piuttosto frammentata per le diverse esigenze che i molti potenziali acquirenti presentano. Così, se un hyperscaler vorrà soprattutto ottimizzare la capacità di calcolo per metro quadro e la modularità dei server, in modo da poterli sostituire con altri in qualsiasi momento, Pmi e start-up sono più attente ai costi di acquisizione e alla semplicità di gestione dell’infrastruttura. Una cosa che sembra invece accomunare la maggior parte dei potenziali clienti è la paura del lock-in, ovvero di essere bloccati su un’architettura proprietaria, che espone a diversi rischi, due in particolare: primo, di dover pagare cifre elevate per mantenere o ampliare la propria infrastruttura; secondo, di trovarsi a piedi se l’architettura adottata dovesse uscire dal mercato.







Principalmente per questi motivi, oggi troviamo ai vertici del mercato dei server e delle infrastrutture di data center produttori che hanno saputo prevedere i principali trend e adeguare la propria offerta nell’ottica di venire incontro alle esigenze della clientela. Aziende che hanno puntato sulle architetture industry standard, ovvero a base Intel, e che attorno a questa hanno costruito non solo un ecosistema tecnologico, ma anche una collezione di servizi e un’offerta di business in linea con le esigenze delineate più sopra.

 

Il ruolo di Lenovo

Barcellona supercomputer di Lenovo

Fra le aziende di vertice, quella con l’approccio più radicale è Lenovo, multinazionale cinese basata a Hong Kong che è arrivata in questo mercato in tempi relativamente recenti. Lenovo ha infatti rilevato il business dei server industry standard da Ibm soltanto nel 2014. È interessante notare come il top management Ibm dell’epoca (almeno quello di Armonk) fosse convinto che fosse assolutamente impossibile fare un business profittevole con i server industry standard, considerati essenzialmente delle “commodity” sulle quali era impossibile creare un valore aggiunto. Era più o meno lo stesso ragionamento che aveva portato pochi anni prima Big Blue a disfarsi del settore Pc, del quale aveva dettato lo standard nel 1981. In entrambi i casi, fu Lenovo ad acquisire il business. Oggi Lenovo è primo fornitore mondiale di Pc (24,1% del mercato, seguito da Hp con il 22,2%), mentre sui server, segmento nel quale opera da soli 6 anni, è già nella top 3 mondiale, e i suoi manager non nascondono l’intenzione di scalare ulteriormente la classifica.

Il quartier generale di Lenovo

Non sappiamo se Ibm si sia mai pentita di quelle due decisioni. Non possiamo però non osservare quanto fossero profetiche le parole di Lou Gerstner, il Ceo che negli anni ‘90 fece rinverdire i fasti di Big Blue dopo il buco nero degli anni ‘80, che nel suo libro del 2002 “Chi dice che gli elefanti non possono ballare?” scriveva: “La più grande fortuna di Ibm è stata il mainframe. Ma la più grande sfortuna di Ibm è stata il mainframe”. Di fatto, erano in molti i tecnici, gli ingegneri e gli strateghi di Ibm che sapevano come far evolvere la linea di server industry standard per farne un business profittevole. Ma questo richiedeva di far salire le potenze e le capacità di queste macchine, che sarebbero andate a minacciare i sacri business dei server proprietari basati su architetture AS/400, RS6000 e, in prospettiva, dei mainframe serie Z.

Si decise quindi di vendere, forse senza riflettere troppo sul fatto che quei progettisti e quegli ingegneri, una volta liberi dall’ordine di plafonare i loro server per non cannibalizzare le macchine proprietarie, avrebbero potuto sfruttare al massimo le caratteristiche dell’architettura industry standard, senza porsi limiti artificiosi. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che lo zoccolo duro della divisione Server Lenovo è costituita proprio da quelle persone ex-Ibm, alle quali è stata data carta bianca e il supporto tecnologico e produttivo simile a quello che avevano in Ibm, ma molto più focalizzato e motivato: i server a base Intel non erano più i parenti poveri da tenere in catalogo perché bisogna avere tutto, erano diventati la linea di punta dell’azienda. Era solo questione di tempo, perché venissero messe a punto le linee di prodotto, di servizi e l’offerta di business, che insieme costituiscono la strategia che ha permesso a Lenovo di salire sul podio dei fornitori di server.

 

Il data center, oggi

Exascale computing

L’intero settore dei data center ha iniziato a crescere a ritmi sostenuti in unità già qualche anno fa, principalmente a causa degli hyperscaler – fornitori di servizi cloud come Amazon, Azure o Google – ma ora sembra che tutto il settore stia accelerando. E il motore è ancora il cloud, anche se l’apporto degli hyperscaler è oggi meno consistente, visto che ormai possono contare su oltre 500 data center a livello globale, e per un po’ la loro fame di capacità di calcolo dovrebbe essere soddisfatta. «L’adozione e la crescita del cloud, sia pubblico che privato, stanno esplodendo in tutto il mondo e questo sta guidando la crescita – ha affermato Peter Hopper, Ceo di Dh Capital, un’azienda specializzata negli investimenti sulla digital infrastructure. – È il trend più preminente dell’IT e sta creando investimenti in tutto il mondo». Ma non si tratta solo di cloud, che alla fin fine è semplicemente un’architettura, un paradigma, un modo per fare le cose: e se non ci sono cose da fare, non c’è necessità di installare né cloud, né server. Sarebbe quindi meglio dire che il mercato dei data center sta crescendo perché le aziende hanno nuove esigenze, le quali richiedono uso intensivo di risorse Ict, sia a livello di potenza di calcolo, sia di capacità di storage, sia infine di connettività. «I compiti di nuova generazione e le nuove capacità dei server, come gli acceleratori di calcolo e la memoria di classe storage, stanno mantenendo la domanda di elaborazione aziendale vicina ai massimi storici – ha affermato Paul Maguranis, analista di ricerca senior per piattaforme e tecnologie infrastrutturali in Idc. – In effetti, il terzo trimestre 2019 ha rappresentato a livello mondiale il secondo migliore trimestre per le spedizioni di unità server in oltre 16 anni, eclissato solo dal terzo trimestre 2018».

Pensiamo per esempio all’adozione del 5G, che richiederà di adeguare l’infrastruttura di trasmissione e stoccaggio dei dati per reggere i nuovi flussi, più rapidi e consistenti. Pensiamo all’Industrial IoT, che richiede la rapida trasmissione di un flusso enorme di dati da device periferici ai data center, per effettuare analisi volte ad ottimizzare il funzionamento di macchinari, l’efficientamento delle produzioni, l’ottimizzazione in chiave predittiva della manutenzione. Pensiamo alla digitalizzazione dei documenti cartacei, che richiede grandi capacità di processamento sull’edge e di storage. Pensiamo, infine, all’utilizzo di algoritmi di intelligenza artificiale e machine learning, che necessitano di enormi potenze di calcolo. Sono soprattutto questi nuovi utilizzi, spesso generati da startup e nuovi player, che produrranno la maggior parte dell’incremento di richiesta di risorse di calcolo nei prossimi anni. Senza dimenticare altre concause come la crescita delle esigenze di aree geografiche finora considerate meno avanzate, dall’America Latina all’Est Europa. Il tutto, secondo MarketWatch, dovrebbe portare a un incremento del mercato con un Cagr superiore al 17% nel quadriennio 2019-2023.

 

Fattori di successo

Lenovo Supercomputer

All’interno di un mercato dei data center così diverso da quello di soli 10 anni fa, le decisioni prese dal management Lenovo nel primi anni dopo l’acquisizione da Ibm si sono rivelate corrette e hanno permesso di impostare un lavoro di sviluppo che sta dando oggi i suoi frutti.

Fondamentalmente, Lenovo si è concentrata su 5 linee operative: l’infrastruttura per data center, i data center software defined (o iperconvergenti che dir si voglia), l’High Performance Computing, le applicazioni di intelligenza artificiale e i servizi per data center. Questo ha permesso di focalizzare le energie su specifici obiettivi, evitando di disperdere risorse. Su ogni segmento hardware si è creata un’offerta in linea con le esigenze dei clienti e la si è “vestita” con servizi tagliati su misura. Per esempio, la linea di supercalcolo (High Performance Computing) è stata uno dei primi grandi successi di Lenovo. Il team di progettisti ha il suo quartier generale a Raleigh, North Carolina, ed è appunto uno di quelli che Lenovo ha acquisito da Ibm. Il team è capitanato da Scott Tease, già da 14 anni direttore del gruppo Hpc in Ibm. Da lì è arrivata l’idea di concentrarsi principalmente su Hpc di “media” potenza, con costi che si aggirano fra i 600 e gli 800mila dollari, facilmente scalabili verso il basso o verso l’alto per adattarsi a molteplici esigenze di una clientela molto vasta. Tease ama definire i suoi supercomputer come dei “server frattali”, riferendosi alle strutture geometriche scoperte da Mandelbrot che possono essere separate in parti, ognuna simile alla forma intera.

Yang Yuanqing,
Lenovo Chairman and ceo

Così, anche se Lenovo può vantare alcuni dei più potenti supercomputer oggi operativi – dal Mare Nostrum 4 del Barcelona Supercomputing Center, al “Marconi” installato presso il Cineca di Bologna, il grosso delle vendite è formato da macchine che sono alla portata di ogni tipo di clienti: aziende, università, istituti di ricerca, amministrazioni pubbliche. Macchine che condividono la struttura con i più potenti sistemi classe ExaScale, rispetto ai quali sono come una parte di un frattale: stesse tecnologie, ridotte di scala. E queste macchine sono state progettate in modo tale da poter essere utilizzate per un’ampia gamma di applicazioni: secondo quanto dichiarato da Tease, infatti, la maggior parte delle organizzazioni non può permettersi di usare il supercomputer per un solo compito – progettazione, simulazione, number crunching.

Per questo le macchine Hpc Lenovo sono predisposte per molteplici utilizzi: possono installare moduli Fpga o Gpu (ovvero coprocessori dedicati per l’intelligenza artificiale, o coprocessori grafici per modellazione e simulazione), ma possono anche svolgere servizi di visualizzazione, virtual desktop infrastructure, accelerazione di database eccetera. Abbiamo visto un’implementazione interessante del concetto durante una visita in Dallara, che sfrutta un Hpc e vari server Lenovo spostando, a seconda delle necessità, il carico di lavoro da macchina a macchina. Di notte, per esempio, quando i progettisti non stanno usando le workstation Cad, la potenza di calcolo del sistema di virtualizzazione dei desktop viene riassegnata al supercomputer per accelerare le simulazioni aerodinamiche. Il risultato concreto di questo approccio all’Hpc è che Lenovo è, dalla fine del 2018, il numero uno nel settore secondo i dati di Top500.org, vantando fra l’altro 174 delle 500 macchine più potenti oggi operative nel mondo.

 

Il ruolo della tecnologia

ThinkSystem SE350 edge server Lenovo

Un ruolo chiave nella strategia di Lenovo lo riveste l’eccellenza tecnologica. Che non significa solo produrre hardware più potente, ma anche più affidabile, più sostenibile, e realizzato tenendo presenti i nuovi modelli di utilizzo. Per fare qualche numero, Lenovo dispone di 15 centri di ricerca, quattro dei quali dedicati alle applicazioni di intelligenza artificiale (oltre a Raleigh, anche Stuttgart, Bejing e Taipei). Ed è attualmente prima nell’affidabilità per i server basati su x86, con percentuali di “downtime imprevisto oltre le quattro ore” stabilmente intorno all’1%, contro percentuali fra il 4% e il 15% dei principali concorrenti.

Sempre parlando di eccellenza tecnologica, una delle novità più interessanti è la presentazione del sistema Neptune, per il raffreddamento a liquido dei server. Neptune è 3,5 volte più efficiente dei sistemi di raffreddamento ad aria, e consente un incremento del 45% della potenza di calcolo rispetto a quest’ultimo e una riduzione dei consumi del 40% se usato nella versione “Direct to Node”, mentre in configurazione Thermal Transfer Module aumenta la potenza di calcolo del 24% e fa risparmiare fino a 2.100 dollari di energia elettrica per ciascun rack in un anno.

Tecnologia è anche realizzare macchine capaci di adattarsi perfettamente ad ambienti anche non convenzionali, per svolgere quei “nuovi compiti” di cui si parlava in precedenza. Un esempio di questo modo di ragionare è la linea degli Edge Server ThinkSystem, presentati giusto un anno fa all’Mwc di Barcellona ma arrivati effettivamente in Italia solo verso la fine dell’anno scorso. Caratterizzato dalle dimensioni estremamente ridotte, che ne consentono il montaggio in spazi ristretti, a parete, su mensola o in rack, il ThinkSystem SE350 è pensato per sopravvivere e lavorare fuori dal data center, in ambienti quindi critici per temperatura, umidità, polvere, vibrazioni, esposti al furto dei dati (infatti incorpora meccanismi di protezione), e privi di personale IT on premise. Un mercato che, secondo McKinsley, cuberà 215 miliardi di dollari entro il 2025, e parliamo solo del valore dell’hardware.

 

Non solo tecnologia

Il sistema Neptune

Ogni azienda aspira ad utilizzare le migliori tecnologie disponibili. Il problema è che non sempre i budget di spesa sono compatibili con i costi di acquisizione. Soprattutto se parliamo di startup, o di istituti di ricerca, o più in generale di organizzazioni che non possono permettersi di stanziare cifre elevate in un’unica soluzione. Ma più in generale, pare proprio che i Cfo ormai abbiano maturato una sorta di allergia alle spese Capex, per cui non si tratta nemmeno più di un problema contingente, ma piuttosto di un trend consolidato tendente a evitare di caricare i bilanci con proprietà “di peso”. Se poi consideriamo che l’obsolescenza delle apparecchiature IT è molto rapida, la posizione dei Cfo risulta assolutamente condivisibile. Per aggirare il problema, spostando le spese dell’It nella parte Opex, si fa ricorso a varie formule – l’utilizzo dei sistemi cloud pubblici è forse quello oggi più gettonato, ma non certo l’unico, visto che comunque per molte aziende avere un’infrastruttura informatica on premise è ancora importante. Molti produttori di infrastruttura offrono infatti i propri sistemi con formule diverse dalla classica vendita, formule che vanno da vari modelli di leasing ai vari “as a service” che stanno prendendo piede un po’ su tutte le tipologie di dispositivi.

L’offerta di Lenovo su questo punto è molto interessante, perché si tratta di un vero e proprio “pay per use”, impostato cioè sull’effettivo impiego del server. Il servizio si chiama Truscale e viene realizzato grazie a un chip che da qualche anno equipaggia tutte le macchine Lenovo, e che è in grado di raccogliere statistiche del sistema, anche dal punto di vista dei consumi elettrici. Proprio quest’ultimo dato viene utilizzato per la fatturazione: il consumo di corrente del server infatti è direttamente proporzionale alla quantità di calcoli eseguiti. Truscale in effetti non è soltanto una formula di pagamento, piuttosto si tratta di un paniere di servizi: si parte dalla definizione delle specifiche dell’infrastruttura necessaria per l’utilizzo previsto, per passare poi alla formazione e quindi alla migrazione dei carichi di lavoro e dei dati. A server installato, Lenovo può curare il monitoraggio remoto e la gestione 24/7 degli asset, lasciando libero il personale IT aziendale per compiti più importanti rispetto alla gestione day by day.

 

Alleanze e aperture

Alessandro De Bartolo, general manager del Data Center Group Lenovo Italia

Un proverbio africano recita “se vuoi andare veloce, vai solo; se vuoi andare lontano, vai insieme”. Lenovo ha scelto con decisione di “andare insieme”, e l’elenco delle alleanze e dei progetti di cooperazione comprende parecchi nomi, da quelli di primissimo piano come NetApp (storage), Intel (processori e sistemi di networking), VMWare (virtualizzatori, Project Dimension), Sap (Erp) a firme meno conosciute ma in possesso di know-how specifico in settori ad alto tasso di sviluppo. Citiamo, per esempio, Pivot3 (tecnologie per le smart city) e Scale Computing (specializzata nei mini data center pensati per l’edge). Questo lungo elenco di alleati è piuttosto atipico per un’azienda cinese, visto che esse in genere sono piuttosto “autarchiche”. In realtà è probabilmente Lenovo che è atipica come azienda cinese, tanto che potremmo dire che si tratta della meno cinese delle multinazionali cinesi. Gran parte del management, infatti, non è cinese, e questo non solo nei vari Paesi dove l’azienda opera, ma anche nel quartier generale di Hong Kong. Tanto che quando Lenovo si formò, con l’acquisizione dei Pc Ibm da parte della cinese Legend, si decise che la lingua ufficiale dell’azienda doveva essere l’inglese, e non il cinese.

”Se penso alla mia linea gerarchica, il primo manager cinese che trovo è anche l’ultimo, perché è il Ceo –  ci ha raccontato Alessandro De Bartolo, A.D. e General Manager del Data Center Group di Lenovo, durante una recente conversazione informale – e il numero 2 dell’azienda è Gianfranco Lanci, italianissimo». Il management internazionale ha portato quindi in dote all’azienda cinese una molteplicità di esperienze, ma soprattutto un orientamento aperto e collaborativo.

«L’apertura è uno dei valori fondanti in Lenovo – ci ha detto De Bartolo – Apertura in termini tecnologici, con l’adozione di open standard e collaborazione con tutte le maggiori firme del software. Per esempio lavoriamo con tutti i leader del settore dell’iperconvergenza per realizzare appliance ThinkAgile in grado di far girare al meglio i loro programmi. E apertura nel senso di essere un crogiolo di differenti esperienze. Riteniamo utile avere un leadership team che proviene da varie nazionalità diverse, da varie esperienze diverse, a rappresentare culture diverse. La cultura di figure leader del settore. Il nostro è un approccio aperto a valorizzare le differenti esperienze e questo fa parte del successo di Lenovo».














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