La verità su formazione 4.0, esigenze delle imprese e futuro dei ragazzi che studiano

di Luca Beltrametti ♦  Altro che plug&play! È necessario aumentare la dimensione creativa della formazione tecnica e potenziare le competenze digitali della formazione “umanistica”. Questa la strada da seguire  per superare il gap tra le abilità disponibili e le necessità di un mondo del lavoro in cui la trasformazione è così rapida da rendere velocemente obsolete le conoscenze acquisite. Ma il governo per ora non ci sente

L’autore è direttore del Dipartimento di Economia dell’Università di Genova

Le azioni di politica economica a sostegno della trasformazione digitale della manifattura italiana si trovano in un momento interlocutorio. Dopo una crescita impetuosa degli investimenti nel 2017 (si guardi ad esempio all’aumento del 45,9% degli ordini interni di macchine utensili rispetto all’anno precedente, riportata da Ucimu , nei primi tre trimestri del 2018 si registra un calo del 15,3% che si giustifica in parte con un fisiologico rallentamento rispetto ad un aumento eccezionale del periodo precedente e in parte con uno stato di attesa circa le intenzioni del governo in materia di incentivazioni fiscali e circa l’evoluzione del quadro macroeconomico.







Sia la rilevazione statistica di Ucimu sugli ordini di macchine utensili sia l’Istat rilevano peraltro che le Pmi sono mediamente molto indietro rispetto alle imprese di maggiori dimensioni sia negli investimenti effettuati sia nelle intenzioni di investimento. Gli investimenti ad oggi effettuati hanno certamente avuto impatti importanti sulle singole imprese ma non si sono peraltro ancora tradotti un aumento della produttività osservabile a livello macroeconomico. Ritengo che ciò sia da ricondurre sia alla diffusione ancora limitata di tali investimenti nel tessuto manifatturiero italiano sia, soprattutto, ad un fisiologico ritardo temporale con il quale gli investimenti in tecnologie digitali per la manifattura si traducono in aumenti della produttività del lavoro ed in nuovi modelli di business.

I cambiamenti tecnologici richiedono formazione cultura diversa per studenti e lavoratori

Il tema cruciale della consapevolezza diffusa (anche tra le Pmi) dell’importanza della trasformazione digitale della manifattura e del passaggio da maggiori investimenti a maggiore competitività chiama inevitabilmente in causa la questione dell’educazione scolastica e universitaria dei giovani e della formazione dei lavoratori. È possibile infatti trarre il pieno beneficio dagli investimenti materiali ed immateriali solo attuando processi culturali che cambino le competenze dei lavoratori, i modelli organizzativi e i prodotti delle imprese. È pertanto difficile dissentire sul fatto che i cambiamenti tecnologici in atto determinino la necessità di radicali cambiamenti nel mondo della formazione universitaria, tecnologica e non. Si sentono spesso – talvolta dalle medesime, autorevoli, persone – due ordini di argomentazioni apparentemente inconciliabili.

La formazione plug & play

In primo luogo di parla spesso dell’esigenza di formare persone “plug & play”. L’espressione suona leggermente sgradevole dal momento che sembra più adatta a descrivere un elettrodomestico piuttosto che un/a giovane con una professionalità tale da renderne possibile un’immediata possibilità di inserimento in uno specifico contesto lavorativo. Ci si riferisce in particolare alla presunta possibilità per le università di seguire il ritmo incalzante delle innovazioni tecnologiche e di adeguare conseguentemente i contenuti formativi dei propri insegnamenti così da ridurre al minimo il gap tra la preparazione dei giovani e le competenze specifiche richieste dalle imprese. Il prof Guido Saracco, Rettore del Politecnico di Torino ha recentemente affermato che in una prospettiva di questo tipo può essere opportuno ridurre nell’ambito dei corsi di studio il peso delle materie “di base” e aumentare quello delle materie “specialistiche”. Si tratta certamente di indicazione autorevole ed ampiamente condivisa anche da importanti settori del mondo industriale.

 

Che lavoro per il futuro?
La difficoltà di prevedere il tipo di lavoro futuro

In secondo luogo, si ripete spesso che i giovani si troveranno nel corso della loro vita a cambiare molti lavori che richiederanno competenze diverse e ci si spinge ad affermare che la grande maggioranza di loro svolgeranno addirittura “lavori che oggi non esistono”. In sintesi, si afferma spesso che occorre una formazione molto specializzata e al tempo stesso che i destinatari di tale formazione dovranno avere nel futuro una straordinaria capacità di adattamento a nuovi contesti lavorativi. E’ certamente vero che la rapida trasformazione digitale della manifattura e dell’intera economia richiede già oggi competenze professionali radicalmente diverse dal passato e che le università devono aggiornare anche radicalmente i contenuti dei propri corsi. È anche possibile (ma non certo!) che i ragazzi di oggi dovranno muoversi in mercati del lavoro più precari e mutevoli a causa di un cambiamento tecnologico più rapido che in passato.

Come conciliare i due aspetti, la specializzazione immediata e la capacità di adattarsi alle trasformazioni

Non mi sembra però che l’esigenza di specializzazione immediata (logica “plug & play”) sia conciliabile in modo ovvio con l’esigenza di capacità di adattamento nel tempo. Al contrario, spesso si tratta di obiettivi in contrasto tra loro ma la loro conciliazione è la vera sfida che dobbiamo vincere. Credo che la strada per rendere compatibili tali diversi obiettivi consista in metodologie formative che forniscano elementi di specializzazione allineati con le odierne tecnologie ma al tempo stesso sviluppino fiducia nella propria capacità di essere creativi e forniscano capacità di gestire l’ambiguità coltivando il “senso del possibile”. In altre parole, occorre lavorare non solo nel “riempire di contenuti” i ragazzi (le ragazze) ma anche nello sviluppare competenze intellettuali ed attitudini psicologiche che li/e renda capaci di credere nelle proprie capacità di soluzione di problemi nuovi e di esplorazione di territori nuovi. Si tratta dunque non solo di modificare i contenuti degli insegnamenti ma anche delle metacompetenze e delle attitudini che vengono trasmesse ai giovani.

È necessario aumentare la dimensione creativa della formazione tecnica e potenziare le competenze digitali della formazione “umanistica”. Non conta solo cosa si insegna ma anche come lo si insegna. Si tratta indubbiamente di una sfida difficile ma necessaria e dobbiamo uscire dagli stereotipi per i quali la competenza tecnica precluda capacità creative e che queste ultime siano ostacolo nello sviluppo di professionalità tecniche. Le vicende recenti dei campioni dell’economia digitale dimostrano che si tratta appunto di stereotipi del passato: persone con formazione umanistica ricoprono ruoli importanti nell’economia digitale e capacità creative sono propedeutiche al successo di persone con notevoli competenze tecniche. In definitiva, appare complessivamente corretto che il governo si stia orientando verso un sistema di coefficienti di iper-ammortamento a scaglioni che premi in particolare le Pmi ma desta preoccupazione che si prospetti la drastica riduzione degli incentivi fiscali alla formazione e che il dibattito sull’aggiornamento dell’offerta formativa delle scuole e delle università sia assai poco frequentato.














Articolo precedentePiccolo breviario del pensiero di Davide Casaleggio
Articolo successivoA Milano il primo Forum del software industriale






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui