La sfera di cristallo di Bosch

di Marco Scotti ♦︎ Il Ceo italiano Gerhard Dambach, dopo aver annunciato un 2018 stabile, prevede turbolenze per il 2019 e lancia una campagna a favore del diesel, fiore all’occhiello della produzione nostrana, soprattutto nello stabilimento di Bari. E per quanto riguarda i politici…

«Dopo tanti anni di andamenti stabili o addirittura buoni dei mercati internazionali ci aspettavamo un cambiamento negativo. Siamo comunque riusciti a raggiungere una crescita complessiva del 5% in termini reali a 78,5 miliardi, ma stiamo affrontando un periodo mai conosciuto prima per quanto concerne l’instabilità. Per 15 anni la Cina ha trainato la nostra crescita, oggi invece non sposta più gli equilibri in maniera particolare. Per quest’anno ci aspettiamo un aumento delle revenue tra il 2 e il 3%, registrare un +5% è utopico, anche perché si stanno addensando nubi fosche per la seconda metà dell’anno. Le dinamiche ondivaghe riguardano anche l’Italia, che è rimasta sostanzialmente invariata rispetto al 2017, pur con settori che hanno continuato a crescere e altri che invece sono stati meno brillanti. Quello che ci preoccupa molto, come gruppo, è la guerra santa che stanno conducendo contro il diesel, nonostante noi abbiamo altre evidenze che smentiscono l’ideologia che vorrebbe un’immediata conversione verso l’elettrico. Ad esempio perché il break even della e-mobility arriva solo dopo 90.000 km. E ancora: con i nostri nuovi sistemi di filtraggio, i motori diesel hanno azzerato le emissioni di Pm10 e ridotto drasticamente quelle di ossido di azoto. Bloccare completamente la produzione di diesel significa mettere a repentaglio eccellenze come il nostro stabilimento di Bari, tra i migliori del mondo e capace di vincere numerosi premi. Bandire il gasolio vuol dire mettere a repentaglio il futuro di circa 150.000 famiglie in Europa. Serve un dialogo forte con la politica e le istituzioni locali per bloccare una china pericolosissima». Gerhard Dambach, amministratore delegato della branch italiana di Bosch, non riesce a nascondere l’amarezza mentre spiega ai giornalisti durante la presentazione del bilancio 2018 quale sia il momento che sta vivendo la multinazionale tedesca. Da una parte, infatti, l’azienda sta continuando a crescere nonostante un momento storico difficilissimo. Dall’altra, rischia di subire pesantissime ripercussioni dalla decisione delle autorità europee di bandire il diesel per puntare su benzina  e mobilità elettrica.







Gerhard Dambach, Ceo Bosch Italia

Il 2018 di Bosch

A livello globale, l’azienda guidata da Volkmar Denner (in carica dal 2012) ha fatto registrare un nuovo record storico, toccando i 78,5 miliardi di euro e 5,5 di Ebit. Quattro sono i settori fondamentali in cui viene suddiviso il business della multinazionale tedesca: mobility solution, che vale il 61% del fatturato complessivo a 47,6 miliardi; i beni di consumo, che “cubano” il 23% complessivo con poco meno di 18 miliardi; la tecnologia industriale vale il 9% con 7,4 miliardi; ed energia, con il 7% del totale e 5,6 miliardi di fatturato. A livello geografico, l’Europa vale il 52% (41,4 miliardi), il Nord America il 16%, il Sud America il 2% e l’Asia Pacifico (inclusa l’Africa) il 30%. I collaboratori nel 2018 sono stati 409.900, in aumento di oltre 7.500 unità rispetto all’anno precedente. La ricerca e sviluppo impiega 68.700 collaboratori, con un impegno finanziario di 7,3 miliardi di euro.

Il fatturato di Bosch diviso per settori di business

«Siamo comunque riusciti ad avere una crescita del 5% – ci spiega Dambach – nonostante una congiuntura internazionale mai così difficile. Se poi ci concentriamo sui singoli comparti, vediamo che ce n’è uno che sostanzialmente traina la crescita di tutti gli altri: l’Industrial Technology, che è aumentato dell’11,7%, mentre gli elettrodomestici e gli elettroutensili hanno fatto registrare una contrazione. Il che è già una dinamica inattesa, perché in genere, durante momenti di instabilità politica, a ridursi sono prima di tutto le spese in macchinari industriali e poi quelli per uso privato come elettrodomestici. Anche l’automotive, complessivamente, non è andato male, ma ci sono anche qui delle curve da analizzare attentamente: la Cina, dopo anni di “spinta”, ha sostanzialmente reso come l’anno precedente. Siamo poi orgogliosi di aver spinto gli investimenti in ricerca e sviluppo a 7,3 miliardi, anche se dall’anno prossimo, con i nuovi parametri he impongono di conteggiare in questo indicatore solo la ricerca svolta non per uno specifico cliente, dovremmo fermarci a 6 miliardi. Siamo contenti di quello che abbiamo realizzato in Europa, mentre la Cina ha frenato in maniera poderosa. Piuttosto, non possiamo più guardare con così grande ottimismo al 2019. Un incremento del 5% sarà quasi impossibile, mentre è verosimile ipotizzare un +2-3%. Anche perché gli scenari che si prefigurano per la seconda parte dell’anno non invogliano all’ottimismo».

 

La nuova mobilità

L’Unione Europea ha ormai deciso di dichiarare guerra al diesel. Le città italiane, Milano in testa, non ci hanno messo molto a sposare questa nuova tendenza, bandendo dal centro e dalle aree a traffico limitato tutti i veicoli alimentati a gasolio, indipendentemente dall’anno di produzione. In questo modo, la quota di mercato del diesel si è ridotta dal 57 al 40% in breve tempo, mettendo a repentaglio anche molti posti di lavoro. Si guarda invece con entusiasmo alla macchina elettrica, dimenticando una serie di problemi: in primo luogo la mancanza di autonomia, visto che una e-car di dimensioni medio-piccole può percorrere al massimo 150 km. Inoltre, per ricaricare una batteria serve un alimentatore da 6 kW: in Italia è molto complesso ottenere il via libera dall’azienda che eroga l’energia elettrica e perfino dai condomini in cui eventualmente andrebbe installato il dispositivo. Infine, questo momento di incertezza ha sostanzialmente “bloccato” qualsiasi intenzione di acquisto da parte degli italiani.

«Quello che si dimentica troppo facilmente – spiega l’ad di Bosch Italia – è che le batterie che siamo abituati a conoscere servono solo per macchine di dimensioni contenute, mentre l’aumento delle vendite di Suv dovrebbe farci capire rapidamente quali sono le esigenze e le preferenze degli utenti. Inoltre, il break even di una e-car è dopo 90.000 km, una distanza lunghissima da percorrere se si pensa che qui in Bosch abbiamo messo a disposizione dei nostri dipendenti, da otto anni, veicoli elettrici che mediamente percorrono tra i 3 e i 4.000 km all’anno. Significa che solo dopo 30 anni si potrebbe rientrare dell’investimento, peccato che dopo otto la batteria inizi a deteriorarsi, di fatto rendendo necessaria la sua sostituzione. L’incertezza per gli italiani, poi, si traduce nella decisione di non cambiare macchina. Da una parte, infatti, si accorgono che le e-car sono ancora troppo care, dall’altra non sanno se, comprando un diesel, potranno accedere in centro. E quindi che fanno? Nulla, si tengono l’auto che hanno, nonostante veicoli tra i più vecchi in Europa: quest’anno l’età media dei 38 milioni di automobili circolanti arriverà a oltre 11 anni, il che significa che il 50% di esse ha più di questa soglia, con emissioni inquinanti facilmente immaginabili».

Parco auto in Europa

Le emissioni

Mediamente l’impatto delle emissioni di un’automobile sull’ambiente viene calcolato sulla base di un ciclo di vita di 150.000 km. In questo caso, le vetture elettriche hanno un vantaggio competitivo enorme rispetto alle macchine a benzina o gasolio per quanto concerne le emissioni. Le e-car, infatti, emettono molta anidride carbonica nella fase di creazione della batteria, mentre successivamente la quota inquinante si riduce drasticamente. Rimane ancora un problema irrisolto, quello dello smaltimento delle batterie medesime, di cui però non si ha ancora conoscenza né in Europa né in Cina, che pure è il paese più avanzato da questo punto di vista.

A inizio 2016 il parlamento europeo ha dato vita a Real Driving Emission, un sistema di monitoraggio delle emissioni non soltanto sui banchi di prova, ma anche durante un normale giro per le città o su strade urbane e autostrade. In questo modo si sono potute analizzare meglio le sostanze inquinanti prodotte, concentrandosi in particolare sul monossido di azoto, più piccolo e più facile da inalare.

Tra l’altro, proprio il mercato cinese sta riducendo la sua quota di e-car a causa della decisione del governo di tagliare gli incentivi su queste vetture. Analoga dinamica si registra in Norvegia, dove l’auto elettrica viene acquistata più perché permette di non pagare tasse sull’acquisto, di avere parcheggi gratuiti e di poter circolare nelle corsie dove passano gli autobus invece che per una reale convinzione sulla bontà di questo tipo di alimentazione. Le persone, quindi, sono più interessate al tema del prezzo che a quello della sostenibilità ambientale. Ma se si parla di emissioni inquinanti, è giusto dire che il diesel di ultima generazione non può più essere visto come un agente inquinante così drammatico, con una media di -15% di emissioni nocive rispetto alla benzina.

«Grazie al filtro antiparticolato – spiega Dambach – abbiamo azzerato la quota di Pm10 emessa nell’atmosfera dai nostri motori diesel. Ora il nuovo nemico è il Nox: l’Ue ha stabilito che entro il 2020 bisognerà raggiungere una media di 120 mg/km, mentre Bosch ha fatto registrare, con i suoi propulsori, tra 13 mg/km (in autostrada) e 40 g/km (in città). Tutti quindi si sono convinti che la transizione verso l’elettrico, forzata, sarà più sicura, meno inquinante e che porterà grandi benefici occupazionali. Ma non è così: o già oggi ci sono fabbriche che producano questi componenti, e non è così, o la transizione dovrà durare almeno 10 anni. Ma l’Ue ha dato solo cinque anni di tempo per adeguarsi. Peccato che, in un momento di grande instabilità come quello che stiamo vivendo, forse l’unico comparto che potrebbe salvarci è quello dell’automotive, che però viene continuamente “bistrattato”. Servono incentivi per sostituire le vecchie automobili con nuove vetture meno inquinanti».

Emissioni Co2

 

Lo stabilimento di Bari

La sede di Bosch a Modugno, in provincia di Bari, conta oltre 2.000 collaboratori ed è una delle aziende più rilevanti del settore automotive. Ha recentemente annunciato una nuova linea di produzione per assemblare componenti per le biciclette elettriche. Il tentativo è di iniziare una riconversione dei prodotti realizzati nello stabilimento, visto che il core business è rappresentato dalla realizzazione di pompe diesel. E questa guerra contro il gasolio rischia di mettere a repentaglio diversi posti di lavoro.

«Nello stabilimento Bosch di Bari – racconta Dambach – ci sono tre linee di produzione già attive, e dalla fine di quest’anno verranno aggiunti anche i componenti per e-bike. Abbiamo ricevuto molti riconoscimenti e avremmo continuato a riceverli, ma ora è scottante il tema della conversione. Avevamo l’idea di completare questo processo in cinque anni, ma non ci siamo riusciti, perché ne servono almeno dieci per trasformare completamente un sito produttivo. O ci viene dato questo tempo o perdiamo una competenza fondamentale non soltanto a Bari, ma in tutta l’Italia. Anche perché se è vero che il futuro sarà elettrico, non è chiaro quando però si concretizzerà questo scenario, nel quale anche noi abbiamo investito moltissimo. La cosa più sbagliata, però, è pensare che sarà solo elettrico e sanzionare il diesel. Siamo una grande azienda e dipendiamo ancora molto dal gasolio, il sindacato finora non si è mostrato molto preoccupato perché pensa sempre che siamo in grado di trovare una soluzione alternativa. Non è così: i colleghi che lavorano a Bari dovranno abituarsi a una nuova produzione. A Nonantola (un plant di Rexroth, ndr) abbiamo una grande necessità di lavoratori per il comparto dell’oil control. Ma quando si parla di trasferimenti ci sono subito rigidità e perplessità da parte dei sindacati. Purtroppo abbiamo già perso due anni, ne restano tre per ultimare una transizione che non possiamo completare. Qui in Italia abbiamo delle competenze introvabili nel resto del mondo, perché buttare via tutto?».

Dati motore diesel

 

Una lobby pro-diesel

Per cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica, Bosch ha deciso di organizzare una serie di incontri pubblici in cui mostrare la bontà delle soluzioni diesel. Il primo appuntamento sarà a Milano, il 3 e 4 luglio prossimi, quando verranno organizzate otto sessioni complessive per testare il nuovo sistema di riduzione delle emissioni, ma anche per dialogare con le istituzioni. La settimana successiva, poi, l’evento si sposterà a Roma, dove una casa automobilistica ha deciso di dare il suo appoggio. «È il momento sbagliato per staccare la spina al diesel – chiosa l’ad di Bosch Italia – perché è una tecnologia che contribuisce anche positivamente all’ambiente. Abbiamo tanti amici che ci supportano, ma serve un gruppo più corposo di aziende che ci aiutino. Viviamo un momento storico in cui l’ideologia domina il mercato e tutti hano paura di quello che può riservare il futuro».

 

L’interesse per l’ambiente

L’interesse per l’ambiente da parte della multinazionale tedesca si sostanzia anche in alcune iniziative a difesa del pianeta. «Entro il 2020 – ci spiega Dambach – abbiamo intenzione di diventare carbon neutral. Questo ci impegnerà a rivedere i nostri processi, soprattutto quelli di produzione, ma anche i comportamenti privati». Uno dei provvedimenti presi da Bosch è l’istituzione di Splt, una app di carpooling che consente di dividere i viaggi da e per l’ufficio con altri colleghi. L’algoritmo mette in contatto i lavoratori che hanno in programma il medesimo tragitto.

 

Call4U

Una soluzione presentata recentemente da Bosch è la Call4U, un sistema di soccorso digitale retrofit che rileva automaticamente gli incidenti in auto e allerta, tramite sms o email le persone care, indicando la posizione Gps del veicolo. In questo modo, chi riceve la segnalazione può contattare l’utente in auto per verificare la sua incolumità e attivare i soccorsi. Il sistema sana un vulnus per tutte quelle macchine prodotte prima del 31 marzo 2018: da questa data, infatti, per normativa europea, tutti i veicoli sono dotati di un dispositivo di emergenza per chiamate in caso di incidente. Il prezzo al pubblico retail di Call4U è di 79 euro.

 

Il fatturato in Italia e la presenza di Bosch

Il Gruppo Bosch è presente in Italia dal 1904, anno in cui fu inaugurato il primo ufficio di rappresentanza a Milano. Lo sviluppo di Bosch Italia è proseguito negli anni ampliando notevolmente le aree di interesse, trasformandosi da semplice sede commerciale a vera e propria realtà industriale. Nel 2018 Bosch Italia, con i suoi 6.014 collaboratori, ha conseguito un fatturato di 2,5 miliardi di euro, con 19 società e quattro centri di ricerca, numeri che ne fanno una delle branch più importanti del Gruppo.

Il fatturato viene realizzato in quattro settori principali: mobility solutions, industrial technology, consumer goods ed energy. Il primo ha registrato un calo rispetto all’anno precedente a causa della riduzione di immatricolazioni di auto. Le tecnologie per l’industria hanno invece vissuto un anno positivo, soprattutto per quanto concerne la componentistica idraulica mobile e industriale. Anche gli elettrodomestici hanno avuto una dinamica positiva, grazie all’espansione del segmento delle asciugatrici e alla performance positiva ottenuta nel settore dell’incasso. Infine, il comparto energetico ha registrato una flessione a causa di un rallentamento del mercato di riferimento.














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