La digitalizzazione delle pmi secondo Hpe, fra IoT, edge e cloud

di Renzo Zonin ♦︎ Sergio Crippa, IoT e Industry 4.0 country manager dell'azienda, ci parla di come migliorare l'efficienza e la competitività integrando It e Ot. E sugli aiuti di Stato e i fondi europei....

Come sta andando il processo di digital transformation delle aziende italiane? Potremmo dire bene, ma non benissimo. L’adozione delle tecnologie fondanti – dal cloud all’IoT – sta crescendo, anche a seguito della pandemia, che ha costretto le aziende a innovare per sopravvivere. Spesso però i progetti di digitalizzazione vengono complicati da una serie di errori e problemi che hanno poca attinenza con la tecnologia in sé, e molta invece con le (scarse) competenze, dalla mancanza di una cultura e una mentalità digitali a questioni legate agli equilibri interi alle aziende stesse.

Capita, ad esempio, che il via ai progetti venga dato non per reali esigenze di business, magari identificate da una preventiva analisi dei processi aziendali e del mercato, ma semplicemente per accedere ad aiuti di Stato, fondi europei, o sgravi fiscali. C’è poi un secondo problema, di approccio, legato alle carenza di competenze e di visione: le principali tecnologie coinvolte nella digitalizzazione – in particolare cloud, edge e Industrial IoT (IIoT) – vengono viste come silos separati e non come sono in realtà, ovvero parti intercomunicanti, utilizzabili sì singolarmente, ma capaci di dare il meglio quando messe a sistema. La terza difficoltà che ci si trova davanti quando si avvia un progetto IIoT/cloud che, necessariamente, deve coinvolgere sia la componente Ot che la componente It dell’azienda, è quella dei possibili “conflitti” fra staff It e staff Ot, fra cio e direttore di produzione.







Abbiamo parlato dell’approccio alla digitalizzazione nelle aziende italiane con Sergio Crippa, services, software & consumption growth sales manager di Hpe in Italia.

 

Se lo fai per i fondi, probabilmente non ti serve

Sergio Crippa, IoT e Industry 4.0 country manager di Hpe

Secondo Crippa, efficienza e competitività dovrebbero essere le due motivazioni fondamentali a spingere le aziende a puntare sulla trasformazione digitale. La trasformazione rende l’azienda più efficiente e competitiva, la fa cresce, e questo è l’obiettivo ultimo di ogni impresa. Purtroppo, in molte aziende, soprattutto in quelle meno strutturate, succede di partire da motivazioni ben diverse. Troviamo talvolta imprenditori che vogliono adottare soluzione cloud perché “così fan tutti”, quasi fosse una moda. Tante aziende partono poi da un ragionamento del tipo: “ci sono i fondi per Industria 4.0, facciamo un progetto di digitalizzazione”. Secondo Crippa, «questo è esattamente il tipo di approccio da evitare. Se mi offrono una vacanza gratis al polo nord, e a me piace il caldo, non ci vado solo perché è gratis. Gli aiuti governativi sono un’ottima cosa; è fantastico avere lo Stato che mette a disposizione delle risorse per favorire la trasformazione digitale. Ma un percorso di digitalizzazione deve essere immaginato e realizzato a prescindere dagli aiuti. Se un imprenditore ritiene che l’adozione di tecnologie, soluzioni, metodi digitali siano determinanti per migliorare la propria azienda, allora deve avere un piano. Se poi è possibile accedere a dei fondi, tanto di guadagnato, ma non può essere la discriminante».

 

C’è voluta una pandemia per convincere le aziende a digitalizzarsi

Probabilmente è proprio questo errore di approccio, questo “digitalizziamo per usufruire degli aiuti di Stato”, che ha alimentato quel “limbo dei progetti mai completati” del quale parlano molti analisti. A cambiare invece le carte in tavola è stata la pandemia, che purtroppo ci ha costretti a modificare le nostre abitudini di vita; questo ha comportato anche un differente approccio verso la tecnologia da parte di tutti, persone e aziende. Le percentuali di utilizzazione di tecnologie digitali sono cresciute sensibilmente nell’ultimo anno. Se nell’era pre-Covid19 il cloud era entrato solo nel 6% circa delle aziende italiane, oggi oltre un terzo di queste lo utilizza in una qualche forma, se non altro per consentire il lavoro da remoto. Pressati però dalla necessità di ripartire nel più breve tempo possibile, l’adozione del cloud nel 2020 ha seguito quasi sempre tempi e criteri emergenziali, quindi in assenza di un progetto a lungo termine e di largo respiro, che contemplasse fin dall’inizio possibili espansioni e connessioni con altre funzioni e processi aziendali oltre il semplice telelavoro.

Passando poi a considerare la diffusione di un’altra tecnologia di base, quella dell’Industrial IoT, vediamo che il livello di adozione è ben diverso a seconda che consideriamo le grandi imprese o le Pmi. A fronte di un 97% di grandi imprese che conoscono la tecnologia e di un 56% che la adotta, nelle Pmi i due valori sono fermi rispettivamente al 39% e 13% (dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano). Un dato questo che ci porta ad affrontare un altro tema, più legato alla comprensione della tecnologie, delle loro interconnessioni, ma anche alla rigidità nel riconsiderare i modelli di business. Molte aziende vedono IIoT e cloud come realtà completamente separate, se non addirittura come mondi contrapposti, e magari ne adottano una senza tener conto della futura adozione dell’altra. Diventa così difficile sfruttarne pienamente i vantaggi, specie in termini di sinergie, che ne moltiplicano l’efficacia.

IioT Italia – Osservatorio PoliMI. A fronte di un 97% di grandi imprese che conoscono la tecnologia e di un 56% che la adotta, nelle Pmi i due valori sono fermi rispettivamente al 39% e 13%

«IIoT e cloud non sono mondi contrapposti; sono complementari – spiega Crippa – perché nell’edge e nel cloud vengono governate informazioni dello stesso tipo, ma che necessitano di un’analitica differente. Un conto è analizzare il comportamento di un macchinario per capire se sta lavorando bene, in termini di caratteristiche di funzionamento (per esempio in ottica di manutenzione) e di qualità del prodotto: questo deve essere fatto in real time o near real time, perché se la macchina in questione, ad esempio, stampa decine di pezzi al secondo, è necessario individuare subito un eventuale problema. Non c’è il tempo di inviare i dati al Cloud perché vengano analizzati. In questi casi è dunque necessario gestire i dati a bordo macchina, sull’edge. Se invece gli stessi dati, che magari vengono rilevati dai diversi stabilimenti, sono analizzati per misurare le performance, il numero di scarti, confrontare i diversi comportamenti dello stesso tipo di macchinario in sedi diverse, ebbene questa analisi non è necessario che venga eseguita in tempo reale. I dati per le analisi di lungo termine possono quindi risiedere su cloud, su un data center on premise, o un data center in hosting presso un colocator. Cloud e edge danno quindi risposte in tempi diversi a domande differenti. Uno non esclude l’altro, non sono in competizione, ma vanno tarati secondo le necessità specifiche di ogni organizzazione

La propensione all’innovazione nelle pmi. L’adozione delle tecnologie fondanti – dal cloud all’IoT – sta crescendo, anche a seguito della pandemia, che ha costretto le aziende a innovare per sopravvivere. Spesso però i progetti di digitalizzazione vengono complicati da una serie di errori e problemi che hanno poca attinenza con la tecnologia in sé, e molta invece con le (scarse) competenze, dalla mancanza di una cultura e una mentalità digitali a questioni legate agli equilibri interi alle aziende stesse.

Si rischia lo scontro fra It e Ot

Se It, Ot e cloud sono da un punto di vista tecnologico mondi complementari, più di quanto non appaia a un’analisi superficiale, c’è però il rischio che si scontrino a livello di gestione aziendale. In molte imprese, grandi e piccole, It e Ot sono due ambiti separati, ognuno con la propria struttura di comando e controllo: il cio per l’It, e il direttore di produzione (o dello stabilimento, o della manutenzione) per l’Ot. Un progetto IIoT è, per sua natura, trasversale su entrambe le strutture It e Ot, e questo può fatalmente portare a problemi di convivenza. Non è un segreto che i primi progetti di Industria 4.0 siano stati visti dagli uomini dell’Ot di molte aziende come una sorta di “ingerenza indebita” dell’It nella produzione. Del resto, vedere arrivare in fabbrica personale It che deve collegare ai macchinari device mai visti prima può non essere rassicurante per un direttore della produzione, il cui primo dovere è di garantire il funzionamento delle linee senza interruzioni impreviste.

I primi progetti di Industria 4.0 siano stati visti dagli uomini dell’Ot di molte aziende come una sorta di “ingerenza indebita” dell’It nella produzione. Del resto, vedere arrivare in fabbrica personale It che deve collegare ai macchinari device mai visti prima può non essere rassicurante per un direttore della produzione, il cui primo dovere è di garantire il funzionamento delle linee senza interruzioni impreviste

Due mondi, tre tipologie di competenze

Secondo Crippa, «per fare un progetto di IIoT, per prima cosa bisogna che in azienda ci sia un responsabile Ot che ne intuisca le potenzialità. Un direttore di produzione però difficilmente avrà le competenze informatiche necessarie. Allo stesso modo, chi si occupa di It, e magari non è mai stato in fabbrica, non avrà competenze in termini di processi produttivi. Appare quindi chiaro che affinché un progetto IIoT possa avere successo servono entrambe le competenze, quella dell’It e quella dell’Ot. In realtà c’è anche una terza componente, quella analitica» – aggiunge Crippa – «perché ottenuti i dati dalle linee, questi devono poi essere analizzati. E anche in questo caso servono competenze specifiche, che non sono tipiche né dei professionisti It né di quelli Ot. Insomma, per mettere in piedi un progetto di digital transformation bisogna dotarsi di diverse tecnologie, ma bisogna essere consapevoli che occorrono anche competenze diverse: It, Ot e analitiche».

Ma cosa succede quando le strutture It e Ot non cooperano? «Quando c’è conflitto non si va da nessuna parte. Per scalare una montagna c’è bisogno tanto del capocordata quanto della sicura. Come vi ponete quindi nei confronti di It e Ot quando entrate in un’azienda? «Noi accediamo normalmente all’It, e presentiamo a loro la nostra expertise. Poi chiediamo di parlare con il direttore di produzione. Al contrario, quando la nostra prima interfaccia è un direttore di produzione, chiediamo di parlare con il direttore It. L’obiettivo è metterci tutti intorno al tavolo». Ma quante aziende italiane hanno già raggiunto la consapevolezza della necessità di far collaborare le persone It e Ot? In altre parole, dovete sempre essere voi a metterli intorno al tavolo o capita di trovare aziende dove le due figure si sono già parlate e hanno già un’idea precisa di cosa vogliono?

Investimenti previsti – Pmi vs Grande industria

«Capitano entrambe le situazioni, la seconda purtroppo più raramente ed è più facile che si tratti di aziende più grandi». I processi di trasformazione digitale, insomma, essendo per loro natura multidisciplinari, richiedono che le persone dell’Ot e quelle dell’It mettano da parte eventuali conflitti interni per portare ciascuno le proprie competenze a supporto del progetto. «È importante che le aziende maturino questa consapevolezza il più presto possibile, perché solo così è possibile progredire nel proprio percorso di Digital Transformation» conclude Crippa.

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 9 marzo 2021)














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