L’ onda lunga della fabbrica intelligente arriva in banca

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La sede centrale di Unicredit a Milano

di Luigi Dell’Olio ♦  Al forum Leonardo il bilancio del Piano Calenda 1 /2 e i nuovi dati Kpmg su Industry 4.0. Parlano Vincenzo Boccia, Luisa Todini, Stefano Firpo, Michele Scannavini. Mentre il Ceo di Unicredit Jean Pierre Mustier ci dice che…

La combinazione tra gli incentivi pubblici e la predisposizione delle aziende a cavalcare la rivoluzione è alla base del successo di industria 4.0 in Italia. È uno dei passaggi che si colgono nella ricerca condotta da Kpmg e presentata al sedicesimo forum annuale del Comitato Leonardo, che raggruppa economisti, imprenditori e uomini delle istituzioni impegnati nella promozione dell’economia italiana su scala internazionale.







“Condannati” alla trasformazione dal basso

«L’Italia può giocare un ruolo da protagonista in questo processo verso la digitalizzazione dell’economia, ma sarebbe sbagliato provare a replicare pedissequamente quanto fatto altrove» spiega Alessandro Carpinella, partner Kpmg e coordinatore del team che ha effettuato lo studio. «Dato che nel nostro Paese ci sono poche grandi aziende e un tessuto diffuso di Pmi è necessaria una rivoluzione diffusa, che parta dal basso e coinvolga il maggior numero possibile di aziende». In questo sforzo, per l’esperto un ruolo decisivo possono, anzi devono giocarlo università e centri di ricerca, chiamati a svolgere un ruolo cruciale come motori dell’innovazione.

 

Carpinella KPMG
Alessandro Carpinella, partner Kpmg
Un fatto: indicatori in crescita

In Italia la produzione industriale di macchinari da gennaio 2016 è cresciuta del 4% e il relativo fatturato del 15%. Nel primo trimestre 2017 gli investimenti fissi lordi sono aumentati nel complesso del 9% (in particolare, gli investimenti in macchinari hanno registrato un balzo dell’11,6% e gli investimenti in apparecchiature elettriche ed elettroniche del 19,7%). Il fatturato interno in Italia è cresciuto tra gennaio 2016 e maggio 2017 del +8% per macchinari e del + 3,5% per apparecchiature elettriche ed elettroniche, più di quello tedesco (rispettivamente -2% e + 3%). Numeri che, per Carpinella, sono stati favoriti dagli incentivi, anche se questi ultimi avrebbero avuto un impatto ben più limitato senza la predisposizione all’investimento da parte degli imprenditori, che da una parte hanno recuperato un po’ di fiducia alla luce del rasserenarsi del quadro macro e dall’altra hanno compreso l’importanza di cavalcare l’opportunità di industria 4.0, anche per non finire marginalizzati.

Strategie 4.0 a confronto

Gli interventi pubblici a sostegno della digitalizzazione sono comuni a buona parte dei Paesi europei, ma seguono approcci differenti. La Germania, il Giappone e gli Stati Uniti d’America finanziano progetti di ricerca caratterizzati da stretti legami tra imprese e centri di ricerca, l’Italia opera soprattutto attraverso gli sgravi fiscali, mentre Gran Bretagna e Francia attraverso un mix di misure.

 

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Lo studio ha poi analizzato il sentiment degli imprenditori italiani nei confronti del Piano Industria 4.0: è emerso che il 75,8% delle imprese è a conoscenza delle misure varate dal Governo, anche se esiste un gap di conoscenza nel commercio e nelle costruzioni, oltre che in maniera trasversale per le imprese più piccole. Le associazioni di categoria hanno svolto un ruolo importante nella diffusione della conoscenza del Piano: nel 62,4% dei casi la conoscenza è stata veicolata da loro.

 

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Focus sul super-ammortamento

Emerge inoltre come, in assenza del Piano, il 47,9% delle imprese che hanno effettuato investimenti avrebbero destinato un importo minore e il 5,6% degli investimenti non sarebbe stato proprio effettuato. «La spinta principale arriva dalle aziende che vendono tecnologia finanziabile dal piano governativo”», spiega Carpinella. «Sono loro i grandi ambasciatori del Piano perché vanno dagli imprenditori e spiegano loro cosa possono fare con la nuova tecnologia e a quali benefici possono accedere».

Gli strumenti del Piano più utilizzati sono stati il super-ammortamento (51,4%) l’iper-ammortamento (43,8%) e il credito d’imposta per ricerca e sviluppo (29,2%); in particolare, il super-ammortamento è considerato utile da oltre il 72% delle imprese a conoscenza del Piano. In generale, le imprese prevedono un impatto profondo della quarta rivoluzione industriale su come e cosa si produce, anche se l’impatto previsto sul proprio business è più ampio al crescere della dimensione aziendale.

Ci vuole ancora del  tempo per una valutazione definitiva sul Piano

Lo studio di Kpmg promuove dunque il vasto programma di intervento governativo, anche se invita a non trarre conclusioni affrettate. «Il Pil italiano è in crescita, anche se meno della media europea, la produzione industriale va molto bene e anche l’occupazione nel settore offre segnali positivi», è l’analisi di Carpinella, «ma gli effetti macroeconomici della rivoluzione Industria 4.0 diventeranno più evidenti nel corso dei prossimi anni. E’ ancora troppo presto per analizzare nessi di causalità».

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La manifattura “acquista intelligenza”

Tra le tecnologie abilitanti della quarta rivoluzione industriale, l’advanced manufacturing solution è stata oggetto di investimento da parte di un’impresa su due. Seguono gli investimenti nell’Industrial Internet (28,5% delle imprese), Big data e analytics (27%), cloud (26%). Per quanto riguarda la formazione professionale, che rientrerà tra gli investimenti finanziabili nel 2018 (sempre che la Legge di Bilancio esca dalle Camere secondo la bozza governativa) quasi il 70% delle imprese avvierà iniziative specifiche in seguito agli investimenti effettuati grazie al Piano Industria 4.0. Anche in questo caso le più interessate saranno le aziende di grandi dimensioni e appartenenti ai settori dell’industria in senso stretto.

 

Jean Pierre Mustier
Jean Pierre Mustier, group ceo di Unicredit

Mustier: l’ Italia deve rivendicare i suoi primati

Da Jean Pierre Mustier, group ceo di Unicredit, arriva l’invito a rivendicare i punti di forza dell’Italia, «terza economia d’Europa e settima potenza industriale al mondo, con export in crescita». Per il manager francese, la struttura imprenditoriale basata su un vasto e diffuso tessuto di Pmi, non è necessariamente un male, dato che le dimensioni ridotte, combinate con la creatività tipica italiana, possono garantire «elevata capacità di adattamento a un mercato in continua evoluzione». Per Mustier «l’Italia ha tutte le caratteristiche per emergere nella competizione globale di Industria 4.0» e gli incentivi pubblici si stanno mostrando «un intervento di successo, tanto da consentire all’Italia nell’ultimo anno e mezzo di recuperare posizioni rispetto agli altri Paesi europei». Per Mustier, affinché non si disperda l’enorme potenziale italiano occorre puntare su due direttrici: «Investire nelle infrastrutture, con una rete Internet di alta velocità diffusa nel territorio, e nella formazione». Quanto al secondo ambito specifica: «Servono soprattutto competenze nel campo dei big data e dell’intelligenza artificiale. Occorrono nuovi specialisti ed è necessario che si creino le condizioni perché questi restino nel Paese».

Ci vogliono nuovi capitali per le Pmi

Di pari passo, sottolinea Mustier, occorre creare condizioni per un più facile accesso al mercato dei capitali da parte delle Pmi. La considerazione parte da un dato di fatto: oggi Piazza Affari vale il 75% della ricchezza generata ogni anno in Italia, contro il 100% della borsa giapponese e il 140% degli Stati Uniti. Una sfida che vale, anche se con dimensioni differenti, anche per altri Paesi europei. «Gli unicorni, cioè le aziende tecnologiche che, da zero sono arrivate a valere oltre un miliardo, sono appena 16 nel Vecchio Continente, contro 44 in Asia e un centinaio negli Stati Uniti».

Un’analisi condivisa da Luisa Todini, presidente del Comitato Leonardo, secondo la quale sul terreno dell’innovazione si gioca una partita decisiva per il futuro dell’Italia. «Occorre essere proiettati sui mercati globali, e per farlo è necessario investire nell’innovazione». Per Todini il piano Industria 4.0, «fortemente voluto dal Governo Renzi e in particolare dal ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda, sta registrando un grande successo in questa direzione». Un trend che il Comitato Leonardo punta a sostenere, con la forza del suo network composto da aziende che fatturano 350 miliardi di euro e hanno una quota media di esportazioni intorno al 55. «Vogliamo essere un acceleratore di idee, un luogo di confronto dove pensare e consolidare il futuro».

 

Il ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda

Todini: 4.0 non solo per il manifatturiero

Per Todini, le possibilità di accrescere la competitività delle imprese italiane su scala internazionale sono fortemente legate alla capacità di estendere il trend della digitalizzazione al di là del settore manifatturiero. «Dall’agricoltura al turismo, alle costruzioni, occorre imporre un modello che potremmo definire Made in Italy 4.0, guidato da tailorizzazione e customizzazione dei prodotti». Un modello di sviluppo che, per l’imprenditrice, consentirebbe di superare le barriere spaziali, ricorrendo all’e-commerce. «Un percorso che sarebbe utile non solo alle grandi imprese, che hanno già spalle robuste per affrontare gli alti e i bassi dei mercati, ma soprattutto alle Pm». Secondo Todini, «occorre favorire una maggiore integrazione tra mondo dell’università e della ricerca e tessuto produttivo e sviluppare le infrastrutture necessarie a garantire la connettività, a cominciare dalla banda larga, su cui siamo ancora indietro rispetto all’Europa».

 

Stefano Firpo
Stefano Firpo, direttore generale per la Politica industriale, la Competitività e la Piccola e media impresa al ministero dello Sviluppo Economico

 

Firpo: una priorità lo sviluppo dei competence center

Un concetto sul quale si sofferma anche l’analisi di Stefano Firpo, direttore generale per la Politica industriale, la Competitività e la Piccola e media impresa al ministero dello Sviluppo Economico. «E’ sbagliato dire che l’Italia è poco competitiva sul piano fiscale. Per chi fa innovazione diffusa, il tax rate è negativo». Al di là delle rivendicazioni per il lavoro svolto, per l’esperto resta aperta la grande sfida di far crescere gli investimenti, favorendo il ricorso al mercato dei capitali «soprattutto da parte delle Pmi e delle aziende che non hanno una lunga storia alle spalle» perché è solo coinvolgendo le realtà di piccole dimensioni che «si può creare innovazione diffusa». La priorità, dunque, è su un tema centrale per il Piano Industria 4.0 come lo sviluppo dei competence center, ai quali affidare la promozione e il sostegno alla ricerca applicata, nonché al trasferimento tecnologico e alla formazione sulle tecnologie avanzate. La costituzione e la gestione di centri di competenza prevede il coinvolgimento di università e centri di ricerca di eccellenza e aziende private sotto la forma del partenariato pubblico-privato.

Scannavini: alla conquista dei nuovi mercati

Per Michele Scannavini, presidente dell’Agenzia Ice, le strategie di azione non possono che partire da un’analisi dei grandi trend che stanno caratterizzando l’economia mondiale. «Assistiamo a un’evoluzione: dalla grande industria di trasformazione della materia prima, esportatrice a basso costo, a realtà specializzate nella produzione ad alto valore aggiunto e in primo luogo per la domanda interna». Un fenomeno che si spiega anche alla luce dei trend demografici che stanno interessando grandi Paesi come la Cina, la Russia e l’India. «E’ in atto un processo rapidissimo di trasformazione dell’economia e questo richiede macchine, tecnologie e competenze, tutti campi nei quali l’Italia eccelle a livello mondiale». Per Scannavini vi è dunque un potenziale enorme, ma per svilupparlo le aziende italiane «devono rinnovarsi e farlo rapidamente: è l’unico modo per confermare il nostro ruolo di riferimento nell’industria».

 

Vincenzo Boccia, Luisa Todini e Michele Scannavini al XVI Forum Annuale Comitato Leonardo
Bisogna “raccontare meglio” il prodotto italiano

Un processo già avviato, a guardare gli ultimi dati di mercato. Nei primi nove mesi del 2017 l’export extra-Ue si è attestato a quota 145 miliardi di euro, 11 in più dello stesso periodo del 2016. Significa un progresso vicino all’8%, che diventa del 10% se viene depurato dagli effetti di calendario legati ai giorni lavorativi. Un progresso costruito grazie a crescite diffuse, che in termini settoriali escludono solo l’area dei prodotti intermedi, mentre beni strumentali (+10,1%) e di consumo (+7,4%) crescono a ritmo accelerato.

La Russia cresce del 21,8%, la Cina del 18,9% e l’India del 20,8%. Performance percentuali dirompenti che hanno però anche un peso specifico rilevante: da inizio anno in termini assoluti il contributo aggiuntivo di Pechino vale due miliardi, quello di Mosca oltre un miliardo di euro. «Cresciamo proprio nei Paesi che hanno più bisogno di macchinari e know-how di qualità, ambiti in cui l’Italia è da sempre all’avanguardia», aggiunge Scannavini. «Non a caso la spinta maggiore a livello di settori arriva dall’automotive e dai macchinari».

Quello che manca, per il presidente Ice è «la capacità di raccontarci, cosa che altri Paesi sanno fare meglio di noi. Per questo la nostra agenzia è costantemente impegnata a portare gli imprenditori italiani nel mondo, per far conoscere le nostre eccellenze». Con la consapevolezza che i momenti d’acquisto sempre meno seguono i canali tradizionali. «Oggi il 47% dell’e-commerce è sviluppato dai cinesi. Questi ultimi viaggiano ancora poco all’estero, ma man mano che aumentano gli spostamenti oltrefrontiera, contribuiscono a diffondere questa cultura nel mondo». A riassumere queste analisi è il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, che rivendica: “Se il padre del Piano Industria 4.0 è il Governo, noi siamo la mamma. Ci spendiamo da tempo sul tema e accogliamo positivamente l’azione dell’Esecutivo su questo versante. Il mercato oggi è fatto di innumerevoli nicchie e l’impresa italiana eccelle nelle nicchie».

Bocci: proseguire nella direzione tracciata

Insomma, la strada verso un consolidamento della crescita è tracciata, ma è importante non fermarsi. «Il rischio di smontare le riforme fatte in questi anni, con l’avvicinarsi delle elezioni, è reale», spiega Boccia. «Occorre resistere a questa tentazione e andare avanti. Un invito rivolto non solo alle istituzioni italiane, ma anche a quelle comunitarie». Per Boccia, «occorre un’Europa più pragmatica e meno dogmatica», a cominciare dalla regole in campo bancario. Il riferimento è in particolare alla prospettiva di rivedere in chiave più restrittiva i criteri di copertura patrimoniale dagli Npl, a partire dal 2018, il che avrebbe un impatto negativo sulle politiche creditizie degli istituti italiani.«Cambiare le regole in corso d’opera non è saggio, si rischia di rallentare la ripresa», è la conclusione di Boccia.

 

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                                                        Il Comitato Leonardo

 

Il Comitato Leonardo   è nato nel 1993 su iniziativa comune del Sen. Sergio Pininfarina e del Sen. Gianni Agnelli, di Confindustria, dell’Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE) e di un gruppo d’imprenditori con l’obiettivo di promuovere e affermare la “Qualità Italia” nel mondo. Oggi associa 160 personalità tra imprenditori, artisti, scienziati e uomini di cultura, avvalendosi del patrocinio e della collaborazione degli Organi Istituzionali preposti alla promozione delle aziende italiane all’estero. Il Comitato Leonardo non vuol essere solo una mera vetrina per valorizzare il Made in Italy, ma si propone con un ruolo attivo attraverso svariate iniziative, tra cui la concessione di borse di studio a laureandi su temi legati all’internazionalizzazione. Tra i soci del Comitato Leonardo sono presenti oltre 160 aziende il cui fatturato complessivo, nell’ultimo anno, è di circa 350 miliardi di euro, con una quota all’estero pari al 54%.

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