Taisch: le imprese ora devono fare la loro parte e investire, non ci sono più scuse

_Marco Taisch
Marco Taisch, presidente del Competence Center Made

di Laura Magna ♦ Per il professore del Poli di Milano, nonchè guru nazionale del 4.0,  il governo ha fatto la sua parte, mettendo ora, con il Calenda 2, l’accento sulla formazione. Ora tocca alle aziende. L’alternativa è il fallimento.

Da Industria 4.0 a Impresa 4.0, la rivoluzione della manifattura italiana avanza. Ma ancora non è sufficiente a trainare una crescita solida del Paese, che invece ha necessità di recuperare il terreno perduto in tempi rapidi. Non è sufficiente perché gli incentivi (per l’acquisto di macchine o per la formazione), per quanto importanti, da soli non bastano: ci vuole uno sforzo corale che coinvolga innanzitutto le imprese richiamandole alla propria responsabilità di investire per cambiare e farlo in fretta. Di questa necessità di recuperare il terreno perduto in tempi rapidi e delle responsabilite che le imprese devono assumersi Industria Italiana ha parlato con Marco Taisch. Il docente del Politecnico di Milano, Dipartimento di Ingegneria Gestionale, dove insegna Sistemi di Produzione Automatizzati e Tecnologie Industriali, ha partecipato alla cabina di regia per la costruzione del piano industria 4.0 del ministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda.







 

Industry4.0
La quarta rivoluzione industriale

Per le imprese un risveglio culturale  grazie al piano del governo

«Siamo solo all’inizio di un percorso che non può esaurirsi nel 2017 né nel 2018; dovrà proseguire nei prossimi anni. Dal punto di vista delle imprese si tratta di andare a cogliere i trend tecnologici precipui della nuova rivoluzione industriale che sono inarrestabili e ingovernabili in un mondo in cui la competizione è globale. Le imprese non hanno scelta: o si adeguano e cavalcano questi trend proattivamente o li subiscono e ne diventano vittima. Con l’esito inevitabile di fallire», esordisce Taisch.

Che punta dritto sul nodo centrale: sono le imprese a dover cambiare pelle se vogliono sopravvivere, nessuno può farlo al posto loro. «Il ruolo del governo è stato solo quello di facilitare l’accesso a queste tecnologie che abilitano la iper-connessione, che è poi l’essenza di industria 4.0. L’iper e super ammortamento in realtà si sono rivelati molto più che semplici incentivi fiscali: sono stati la scintilla che ha fatto scoccare quell’elemento di distacco culturale che altrimenti non saremmo stati in grado di sollecitare in tempi tanto rapidi». Ed era proprio quello culturale il primo ostacolo da abbattere: secondo un’indagine del Politecnico di Milano nel 2016 circa il 40% delle aziende dichiarava di non sapere cosa fosse industria 4.0. Oggi questo dato ora è sceso all’ 8%.

«Il grande merito del pacchetto Industria 4.0 è stato di aver attratto l’interesse e gli investimenti dell’imprenditore, di averlo costretto a sedersi e a riflettere su questa rivoluzione che rischiava di travolgerlo. Con l’incentivo fiscale si è cioè centrato un obiettivo di awareness, di risveglio culturale, di consapevolezza. Ovviamente si tratta di un percorso appena avviato, lungi dall’essere concluso», precisa Taisch.

 

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Massimo carboniero, Presidente UCIMU

Il successo di  Calenda1 e l’avvio di Calenda2

Ma vediamo, con il supporto dei numeri, che effetti ha avuto il primo pacchetto Calenda e come si costruirà la seconda tranche di questa rivoluzione all’italiana  nel prossimo anno.

Dopo anni di profonda stasi del mercato, il 2017, secondo i dati di UCIMU-SISTEMI PER PRODURRE è stato l’anno di una decisa ripresa per le macchine industriali. Ripresa che è montata trimestre dopo trimestre. Nel terzo trimestre in particolare, l’incremento è stato del 14,7% anno su anno, determinato principalmente dall’ottimo andamento degli ordinativi raccolti dai costruttori italiani sul mercato interno, cresciuti del 68,2%. Per trovare un incremento altrettanto deciso è necessario tornare indietro fino al 2011 (quando si attestò al 96,7%).

Dati positivi che anche  Massimo Carboniero, presidente di UCIMU-SISTEMI PER PRODURRE, attribuisce alla validità degli incentivi del Piano Nazionale Industria 4.0, «che rispondono perfettamente all’esigenza delle imprese di svecchiamento degli impianti e di introduzione dei principi di digitalizzazione e interconnessione, indispensabili per il mantenimento della competitività del manifatturiero italiano».

Dati rassicuranti ma in generale non sufficienti per far  parlare di ripresa, come allo stesso modo non sono sufficienti i numeri, seppur positivi e significativi di un’inversione di tendenza, sull’andamento del Pil e della produzione industriale (ne abbiamo parlato qui ). Quello che ancora manca è la diffusione pervasiva nell’industria di una mentalità volta all’innovazione. D’altronde è lo stesso Ministro dello Sviluppo Economico e fautore del pacchetto Industria 4.0 Carlo Calenda in un intervento sul Corriere della Sera  ad averlo confermato: «Da quando la Cina nel 2001 è entrata nell’organizzazione mondiale del commercio, l’Italia ha perso circa il 20% di base manifatturiera ma ha guadagnato oltre 140 miliardi di esportazioni. Ancora quest’anno, mentre il nostro export cresce all’8% — ovvero il doppio di quello francese e più di quello tedesco — la crescita del Paese rimane inferiore rispetto a quella europea, per non parlare della produttività e dell’occupazione».

 

L’intervento del Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda all’ assemblea di Confindustria

Calenda: ancora troppo poche le imprese italiane che innovano e si internazionalizzano

Contraddizioni che derivano dallo stato dell’arte dello stesso sistema produttivo italiano diviso, come scrive ancora Calenda «tra un 20% di imprese competitive, un 20% di imprese in crisi e un universo di mezzo che sopravvive ma non ha ancora fatto il “salto”. In poche parole sono ancora troppo poche le imprese italiane che innovano e si internazionalizzano. Aumentare gli investimenti in questi due driver di crescita è dunque la chiave per costruire un benessere duraturo. Il tempo è poco e il nostro paese è partito in ritardo. Recuperare il terreno perduto è fondamentale se non vogliamo essere investiti da un altro choc come quello che abbiamo vissuto in Italia con la prima fase della globalizzazione».

Un processo appena avviato anche perché «le imprese che hanno usufruito degli incentivi sono ancora poche: la legge è stata emanata quando ormai i bilanci erano chiusi. Ciononostante la crescita esponenziale della vendita di macchine è un segno chiaro di buona accoglienza da parte delle Pmi. Credo che nel quarto trimestre l’incremento sarà ancora più esplosivo perché la diffusione virale dell’informazione è virale e richiede tempo per attecchire», spiega Taisch.

Il tempo: è proprio questa la variabile chiave, insieme a quello che sarà il leitmotiv del secondo pacchetto del Piano che parte nel 2018 e che cambia nome, da industria a impresa 4.0. «Ma è ben più di un cambiamento di nome: si tratta di un ampliamento degli oggetti che possono beneficiare degli strumenti di incentivo: il credito di imposta sulla formazione 4.0 va proprio nella direzione di aggiungere questo ulteriore elemento, culturale, che è fondamentale per dare luogo a quella rivoluzione strutturale senza la quale i meri numeri di crescita che si citava all’inizio non consentono di parlare di vera ripresa», continua Taisch. Ad ogni modo, sottolinea il docente del Politecnico, per quanto la strada sia lunga, è quella giusta.

 

Lef Pordenone
La formazione al centro del Calenda 2. Nella foto Lean Experience Factory a Pordenone

Il credito d’imposta sulla formazione

Il credito di imposta sulla formazione vuole mettere l’accento sulla necessità di una costruzione delle competenze. In questo ambito Calenda riconosce che «scontiamo un ritardo decennale e dove oggettivamente anche il nostro Piano ha mostrato limiti e lentezze nel primo anno di applicazione (si riferisce in particolare ai Competence Center per il cui avvio, a un anno dal primo pacchetto, manca ancora il decreto ministeriale, atteso a breve. ndr). Quanto fatto in questi due anni non servirà a nulla se il piano non continuerà in futuro, diventando sempre più una missione per tutto il Paese».

Una missione che chiede di essere sposata da imprese, lavoratori e P.A., perché da soli i 30 miliardi di euro di incentivi erogati in due anni non servono se non c’è una rinnovata spinta del Paese. Il credito di imposta dedicato alla formazione e il potenziamento degli Istituti tecnici superiori avrà un valore di 10 miliardi – che si sommano ai 20 miliardi di iper e super ammortamento – e confermano quello italiano come il piano più imponente d’Europa.

In soldoni, si applicherà uno sconto fiscale del 40% sul costo delle ore di lavoro spese in formazione sulle tematiche 4.0, e questo varrà per tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica e dal settore di attività. Big data, cloud, manifattura additiva, cybersecurity, realtà aumentata: queste le materie che godranno dello sgravio fino a un valore di 300mila euro. Alcuni dati per misurare le potenzialità delle misure: secondo l’analisi Eurostat 2016, su cui si basa la relazione tecnica che accompagna la norma, gli occupati adulti coinvolti in percorso di formazione sono in Italia l’8,3%, il 2,5% sotto la media Ue (10,8%). Su 80 milioni di formazione espletati, inoltre, solo 25 sono centrati sui temi dell’industria 4.0.

«Questi numeri raccontano perché il credito di imposta nella manovra 2018 sia così importante», dice Taisch: «e spiegano anche perché la direzione del Mise sia quella giusta. Il governo è intervenuto sui due dei tre fattori produttivi per cui l’intervento era possibile, capitale e lavoro. Ora, davvero, spetta agli imprenditori agire. Se c’è qualcuno che non comprende che è necessario rinnovare il parco macchine e formare le persone, quello ha un destino segnato, che è la morte imprenditoriale». Sulla formazione si gioca la partita principale dell’industria 4.0, perché l’automazione sta già portando con sé un profondo mutamento del mondo del lavoro.

 

Esempio di robotica collaborativa

Non i robot, ma l’inadeguatezza della formazione ruba il lavoro

«La Germania ha il più alto tasso di robot per numero di abitanti e un tasso di disoccupazione del 4%: questa correlazione da sola spiega perché non è vero il sentire comune dell’uomo della strada secondo cui i robot ci rubano il lavoro. Semmai è il contrario: l’automazione come tutte le tecnologie aiuta le imprese a diventare più competitive aumentando la produttività. Nel contempo rende più efficienti i costi e quindi i volumi di vendita aumentano. La riduzione di persone legata all’aumento di produttività viene compensata da questo aumento di volumi, e alla fine l’impresa ha bisogno di più personale ma personale formato. In conclusione non i robot, ma l’inadeguatezza della formazione ci ruba il lavoro. Tanto che a una fascia di popolazione più avanti con l’età e in grado di svolgere mansioni meccaniche e basiche dovrà essere garantita una forma nuova di welfare», afferma il professore.

La formazione dunque potrà avere un effetto positivo sull’occupazione e potrà far riprendere quota alla produzione industriale, che ha perso un quarto del suo valore negli anni della crisi. Ma ci vorrà almeno un decennio per ritornare su quei valori.«Peccato che non abbiamo dieci anni di tempo. Forse dobbiamo pensare a un paradigma nuovo: quei livelli, nel breve tempo non li rivedremo, ma comunque le imprese potranno riprendere a correre grazie agli incentivi». E conclude Taisch: «Ripeto: abbiamo una politica che ha lavorato sui fattori industriali, su risorse umane, lavoro e asset produttivi. Ora gli imprenditori devono assumersi le proprie responsabilità. Agire senza più alibi».














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