Intelligenza artificiale? Meglio chiamarla “incoscienza artificiale”! A tu per tu con Massimo Chiriatti di Lenovo

di Piero Macrì ♦︎ L’Ia è alla portata di tutte le imprese, ma tra le pmi la percentuale di adozione è solo del 6%. Eppure è lo strumento ideale per risolvere problemi big data complessi. E per rendere la fabbrica human centric, permettendo all’operatore di lavorare meglio e in modo più sicuro. Una chiacchierata con l'autore di “Incoscienza artificiale, come fanno le macchine a prevedere per noi”, pubblicato da Luiss University Press

L’intelligenza artificiale in un ambiente di produzione? Per direttori di stabilimento, responsabili di fabbrica e operatori di macchina è un po’ come portare nello shop floor una sfera di cristallo: serve a prevedere. Prevedere un guasto macchina, l’usura di un componente o di un utensile. O ancora, prevedere il ciclo di vita utile di un qualsiasi apparato o dispositivo, manifatturiero o industriale. È al tempo stesso l’ingrediente fondamentale per fare manutenzione predittiva, abilitare modelli di business as service e realizzare una produzione con tendenzialmente zero downtime. Sono gli algoritmi di machine learning a dare vita alla sfera di cristallo della smart factory. Quale è la macchina che rischia di compromettere i cicli di lavoro nel corso di una giornata, di una settimana o di un mese? L’algoritmo, opportunamente addestrato, può dare delle indicazioni molto preziose.

Ma attenzione! L’Ia deve essere intesa come strumento di supporto alle decisioni. Non sostituisce l’intelligenza umana, la complementa. L’output di un algoritmo è una raccomandazione, un suggerimento basato su una correlazione analitica dei dati. Esprime una probabilità, tanto più accurata quanto più allenato e intelligente è l’algoritmo. Consente ai sistemi edge e industrial iot, di supervisionare con sempre maggiore precisione quanto avviene in un ambiente di produzione: è la sfera di cristallo per comprendere, prevedere e prendere decisioni fondate sull’evidenza dei dati. Nessun atteggiamento fideistico, però: se utilizzata in modo stupido l’Ia riproduce e spesso amplifica la stupidità. La sua qualità e il suo valore dipendono dalla componente umana, dalla capacità e competenza dei soggetti che la sviluppano, la implementano e la utilizzano.







Massimo Chiriatti, Chief Technical & Innovation Officer di Lenovo

È da queste riflessioni che prende spunto il nostro incontro con Massimo Chiriatti, chief technology e innovation officer di Lenovo, autore del libro “Incoscienza artificiale, come fanno le macchine a prevedere per noi”, pubblicato dalla Luiss University Press con la prefazione di Luciano Floridi, docente di filosofia ed etica dell’informazione dell’Università di Oxford. «Con l’Ia si aprono opportunità enormi. Non ha alcun senso ostacolarne la diffusione, dice Chiriatti. Lasciamo, che gli algoritmi facciano il loro lavoro, sotto il nostro controllo, e troviamo il modo di sviluppare e specializzarci in tutte quelle attività in cui l’essere umano è ancora superiore». Insomma, non lasciamoci trascinare nel demonizzare la tecnologia, pratica molto diffusa di questi tempi. La robotica e l’intelligenza artificiale eliminano attività ripetitive, faticose, noiose, pericolose o nocive. «Chi mai vorrebbe fare il lavoro che fa una macchina, si domanda Chiriatti. Tutti aspirano a fare dei lavori più creativi e l’Ia si candida a dare vita a un ambiente di fabbrica diverso dal passato, dove la pura attività manuale lascia il posto ad attività di più alto profilo».

Velocità, velocità, velocità… L’Ia per misurare in tempo reale

“Incoscienza artificiale, come fanno le macchine a prevedere per noi”, pubblicato dalla Luiss University Press con la prefazione di Luciano Floridi

L’intelligenza artificiale è puro calcolo, intelligenza incosciente la definisce Chiriatti. Serve ad analizzare grandissime quantità di dati e a tradurle in informazioni utili, che vengono prodotte dall’algoritmo di addestramento, partendo dai dati immessi nel sistema. Le macchine dotate di intelligenza artificiale possono svolgere un importante ruolo nell’aiutare le aziende a sviluppare capacità previsionali. In quest’ottica, gli algoritmi vanno considerati come una sorta di assistenti virtuali: aiutano a prendere decisioni, che vanno sempre mediate. «Come ogni nuova tecnologia, non è negativa, positiva e nemmeno neutra. Siamo noi a decidere se usarla e come».

Per Chiriatti, il valore dell’Ia è dato da quanta intelligenza si è in grado di trasferire nel software. È la velocità che contraddistingue l’intelligenza artificiale: velocità di trasferimento, di trasformazione e di ottenimento. «La rivoluzione digitale e l’intelligenza artificiale hanno accelerato enormemente tutte e tre queste velocità, afferma Floridi. Alcuni dicono in modo esponenziale, ma anche senza scomodare metafore matematiche forse esagerate, l’accelerazione è stata certamente da capogiro. Tutte e tre le velocità sono riconducibili al rapporto tra causa e effetto nel comunicare, manipolare e ottenere qualcosa. Sono contesti in cui la tecnologia digitale e l’intelligenza artificiale permettono non solo di misurare il tempo reale, ma di comprimerlo». Ma per non rimanere ai margini di questi nuovi sviluppi, e per evitare un ennesimo gap digitale, per le aziende è importante e urgente formare le competenze abilitanti. «Non si può scalare una montagna senza un’adeguata preparazione, dice Chiriatti. Le competenze che servono sono di tipo eterogeneo. Non basta un profilo prettamente informatico, serve una conoscenza del dominio applicativo, dei processi manifatturieri e industriali».

Il mercato italiano dell’intelligenza artificiale, dal data processing alla robotic process automation. E le pmi sono ancora ai blocchi di partenza

Certo, opportunità enormi. Ma in Italia a quanto ammonta la domanda di intelligenza artificiale? Secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, nel 2021 la spesa riferibile all’Ia è stata di 380 milioni di euro, +27% rispetto al 2020. Nell’ultima ricerca si evidenza come un terzo del mercato, il 35%, riguarda l’intelligent data processing, ovvero i processi di analisi ed estrazione di valore dai dati che in ambito industriale sono spesso associati a soluzioni di manutenzione predittiva, di automazione e robotica collaborativa. Un settore che è cresciuto negli ultimi dodici mesi del 32%, ma meno delle applicazioni chatbot e virtual assistant (+34%) e della computer vision (+41%). Dopo l’intelligent data processing, le soluzioni più diffuse sul mercato italiano riguardano il natural language processing, ovvero l’interpretazione del linguaggio naturale, e il recommendation system, vale a dire i suggerimenti di contenuti in linea con le preferenze dei clienti. Non ultima, l’intelligent robotic process automation, l’automazione robotica dei processi supportata dall’Ia.

Nel 2021 la spesa per all’Ia è stata di 380 milioni di euro, +27% rispetto all’anno precedente

Nel manifatturiero viene utilizzata per la creazione di modelli predittivi supportati da digital twin, in soluzioni di controllo qualità e, in generale, nel miglioramento dei processi produttivi, dove si può anche acquisire un efficientamento energetico. Ma l’adozione di almeno un progetto di intelligenza artificiale differisce enormemente rispetto alle dimensioni d’impresa: a fronte di un 59% di grandi imprese, tra le pmi la percentuale crolla al 6%.

Intelligenza artificiale alla portata di tutte le imprese. Centrale la definizione di un’architettura dati

Le Gpu, grazie alla loro enorme potenza di calcolo, sono sempre più utilizzate per accelerare calcoli relativi a Ia, machine learning e deep learning

Il mondo è così pieno di dati, incertezze, possibilità e decisioni da prendere, che occorre relazionarsi con le macchine e i dati per riuscire a stabilire quale possa essere la scelta migliore. È percezione comune e diffusa che l’intelligenza artificiale appartenga al futuro di molti ma al presente di pochi. Per certi versi, si pensa che sia una tecnologia avveniristica ad uso esclusivo delle sole Amazon, Apple, Google e Microsoft. Ma non è così, L’Ia è alla portata di tutte le imprese. Difficile e complicato, piuttosto, fare una scelta, considerato che di tecnologie abilitanti ne esistono davvero tante. Importante, quindi, è individuare competenze altamente specializzate che abbiano il dominio di processi verticali.

Avere al proprio fianco risorse esperte nella progettazione e nella gestione di infrastrutture per il calcolo ad alte prestazioni, che utilizzino reti d’interconnessione a bassa latenza e supportino il gpu computing. «I software di ultima generazione gestiscono l’intero ciclo di vita del dato, dalla preparazione dei data set per il training dei modelli di apprendimento automatico, alla validazione dei modelli addestrati da integrare nella operatività quotidiana, dice Chiriatti. Tuttavia, se si vogliono avere sistemi performanti si deve pensare innanzitutto all’architettura informatica, che va determinata e configurata in modo appropriato».

L’Ia è lo strumento ideale per risolvere problemi big data complessi

Luciano Floridi, docente di filosofia ed etica dell’informazione dell’Università di Oxford

Le tecnologie convenzionali non sono in grado di elaborare con velocità e precisione grandi quantità di dati in una logica di artificial intelligence. Tuttavia, i big data non sono sufficienti per produrre conoscenza. Per ottenerla occorrono strategia e metodo, porsi domande e verificare teorie. Attività che non possono essere delegate a sistemi software poiché non hanno alcuna capacità cognitiva. Da una parte la velocità dell’Ia, dall’altra la relativa lentezza del pensiero umano che, come dice Chiriatti, non è un errore dell’evoluzione biologica o uno svantaggio rispetto alle macchine. «È piuttosto ciò che ci differenzia, il tempo della coscienza, la possibilità di farci domande, di chiederci cosa “sentiamo”. Ed è quello che serve per dare sostanza all’Ia. Il computer senza i dati non può fare nulla e pur avendo i dati non comprende quello che sta calcolando. Ed è questo che va compreso: l’informazione generata dall’Ia viene prodotta in assenza di coscienza. Di questo dobbiamo sempre esserne consapevoli. L’Ia può essere applicata per avere delle capacità previsionali, sulle vendite, sullo stato di funzionamento di una macchina o di un impianto, ma queste predizioni sul futuro o sulla probabilità del suo verificarsi vanno ponderate».

Intelligenza artificiale o incoscienza artificiale?

Il concetto di intelligenza artificiale ha sempre creato divisioni e perplessità nella comunità scientifica, sia per l’uso del termine intelligenza, che non è ben definibile, sia per l’aggettivo artificiale. «Sarebbe meglio sostituire “intelligenza”, che ha un’accezione positiva, con “incoscienza”, poiché gli algoritmi, eseguendo regole che imparano autonomamente dai dati, producono risultati senza alcuna comprensione e coscienza di ciò che stanno facendo, afferma Chiriatti. Ogni attività dell’Ia prevede una fase propedeutica, ossia l’addestramento o apprendimento, che ha come output del processo un modello che si può utilizzare per fare previsioni, aggiunge il manager di Lenovo. L’apprendimento è a sua volta collegato all’interazione con l’ambiente, perché si basa su ripetute osservazioni della realtà. Ergo, due macchine uguali che apprendono dagli stessi dati, creano modelli identici. Una logica che può esistere solo in una dimensione digitale: non possono infatti esistere due individui umani identici che fanno contemporaneamente la stessa esperienza».

5G, ambienti computazionali iper-distribuiti e iper connessi. L’intelligenza artificiale tra edge e cloud

ThingWorx è una piattaforma completa per la realizzazione di soluzioni IIoT a livello enterprise:
L’Ia è fondamentale per gestire la complessità delle soluzione di Industriale Internet of Things (IIoT)

Soluzioni Industrial IoT che acquisiscono dati macchina. Solo un sistema di Ia può gestire volumi di dati di queste proporzioni. L’architettura può essere di prossimità, a bordo macchina, nel data center aziendale o edge-cloud. Insomma, nessun vincolo, a ciascuno la sua opzione. Per ragioni puramente pratiche i dati possono essere decentrati o centralizzati. In prospettiva il 5G: permetterà di collegare dispositivi ad alta velocità e con bassa latenza, aprendo le porte a nuovi scenari applicativi. Ia e 5G mettono la rete al servizio dell’utente, grazie all’edge computing e alle sue caratteristiche intrinseche di modello computazionale iper-distribuito e iper-connesso. E a riguardo delle potenzialità dell’Ia, Chiriatti evidenzia limiti e vantaggi. «Prevedere gli eventi, anche se entro certi limiti, può portare immensi benefici, ma non è semplice poiché non abbiamo certezza né degli input (dati e ipotesi) né delle regole da applicare (logica deduttiva). Non abbiamo a disposizione una consequenzialità logica e diretta da proiettare nel futuro, ma solo una distribuzione di probabilità in uno spazio decisionale. In questo senso, l’Ia ci aiuta a scoprire correlazioni e a decidere con più cognizione. Sistemi software “Ia based” lavorano su obiettivi complessi: sono in grado di agire nella dimensione fisica o virtuale, acquisire e interpretare dati, ragionare sulle conoscenze acquisite e formulare decisioni, o meglio, raccomandazioni, al fine di raggiungere l’obiettivo prefissato, anche in situazioni non esplicitamente previste a priori».

Interpretare la realtà attraverso l’osservazione dei dati

ThinkEdge SE450 potenzia le funzionalità intelligenti e con la tecnologia predisposta per l’intelligenza artificiale, in grado di fornire informazioni più rapide e prestazioni di elaborazione elevate, accelera i processi di decisione in real-time.

Le applicazioni di Ia sono orientate a un ragionamento automatico, basato sull’osservazione dei dati e sull’apprendimento. Servono, come già più volte affermato, a sviluppare un supporto alle decisioni e fornire una capacità previsionale. L’apprendimento si genera con la ripetuta esposizione a forme esperienziali (ad esempio, in ambito controllo qualità, con l’osservazione di enormi quantità di immagini). Si allena la macchina a riconoscere immagini, monitorare i rischi, individuare tendenze spesso difficili se non impossibili da cogliere per l’essere umano, aumentando così la capacità di interpretare la realtà. «La sua efficacia dipende dalla disponibilità di grandi volumi di dati, che devono essere interpretabili e utilizzabili dall’algoritmo nella sua fase di apprendimento, spiega Chiriatti. I sistemi si esercitano estraendo conoscenza dai dati e, nel modello con supervisione, i risultati sono controllati. In pratica, apprendono eseguendo un’inferenza statistica: dal particolare cercano di trovare la regola che porta al generale. A livello astratto, l’apprendimento può essere spiegato come il processo di scoperta di regolarità statistiche nel mondo reale. L’obiettivo è scoprire tali regolarità nei dati senza una guida esplicita su quale tipo di regolarità cercare».

L’Ia, una tecnologia a logica probabilistica che aumenta ed espande la conoscenza deterministica

«Il computer senza i dati non può fare nulla e pur avendo i dati non comprende quello che sta calcolando», afferma Chiriatti

Nell’informatica più tradizionale gli algoritmi sono basati su sistemi deduttivi che rispondono a una logica top down. Con l’Ia viene invece introdotto un modello che non si basa su regole, ma sull’osservazione dei dati. «La logica viene ribaltata, da top-down diventa bottom-up, dice Chiriatti. L’analisi dei dati acquisiti, o meglio, osservati, genera delle correlazioni probabilistiche che possono dare luogo a raccomandazioni. Queste ultime possono essere applicate con buon senso o meno, dipende dalla capacità di interpretarle». Con l’Ia si passa quindi da un metodo deduttivo a uno induttivo: si parte dal particolare per arrivare all’universale. Sono i dati che creano una regola e non viceversa. L’Ia si rivela perciò una tecnologia che può aumentare la conoscenza deterministica. A un sapere basato su regole ed equazioni, che descrivono un fenomeno conosciuto, si passa a una conoscenza algoritmica, probabilistica e, per definizione, non esatta a priori. «La raccomandazione dell’Ia nasce dalla correlazione di dati, aggiunge il cto di Lenovo. È per questo motivo che la si deve intendere come strumento di supporto alle decisioni e non come strumento decisionale. La discussione verte spesso tra algoritmo supervisionato o non supervisionato, che funziona in modo autonomo o meno. Ebbene, nella maggior parte dei casi, se automatizzate, le decisioni potrebbero rivelarsi un disastro. Va capito il contesto, e questa facoltà la possiede soltanto l’essere umano. La macchina non sa quello che sta facendo, calcola solo con zero e uno, non ha una coscienza e non può pentirsi della decisione presa. In sintesi, intelligenza artificiale è incoscienza artificiale».

Macchine intelligenti. C’è spazio per una nuova dimensione di fabbrica “human centric”

Demonizzare la tecnologia, un esercizio sempre più frequente in questi tempi di trasformazione digitale, è del tutto privo di senso. Pensiamo al numero di incidenti sul lavoro. Tanti, troppi. Ma accadono soprattutto per una carenza di tecnologia e non per eccesso di tecnologia. Un sistema di supporto alla decisione basato sull’intelligenza artificiale potrebbe servire ad aumentare la sicurezza sul lavoro poiché è in grado di evidenziare delle incongruenze, che vanno attentamente considerate al fine di evitare che gli operatori di fabbrica si trovino esposti a potenziali rischi. «Per quanto mi riguarda non ho paura delle macchine intelligenti, dice Chiriatti. Mi preoccupa, invece, quando un imprenditore non investe sull’automazione poiché vuol dire che i suoi dipendenti dovranno continuare ad eseguire compiti sgraditi, costosi e inefficienti, che potrebbero essere tranquillamente delegati a una macchina. In generale, conclude Chiriatti, l’assenza di investimenti in nuove soluzioni crea un gap tecnologico, rende l’azienda più povera e meno competitiva».

 

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 6 settembre 2022)














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