Il top della customer experience? Per KPMG in Italia è Apple

di Marco Scotti ♦ La società di Cupertino mette in riga Amazon e il Gotha del lusso: Chanel, Gucci e Armani. Buona performance di Netflix, in recupero le banche. Sempre più importante garantire esperienze “memorabili”

La Customer Experience – ovvero la somma delle esperienze, delle sensazioni, delle emozioni e dei ricordi che un cliente matura nell’interazione con i brand – è diventato un tema di vitale importanza per il successo della marca e per la possibilità di fidelizzare la clientela. KPMG, la società di consulenza membro dell’esclusivo club dei “Big 4”, ha realizzato per il secondo anno consecutivo una survey focalizzata sul mercato italiano – Customer Experience Excellence – per capire quali siano le leve emotive che spingono gli utenti a preferire una marca o un’altra e, al contempo, quali siano i pilastri del successo di un brand o di un altro nell’epoca della rivoluzione digitale. Industria Italiana ha avuto modo di farsi spiegare in maniera approfondita la ricerca da Paolo Capaccioni, il partner KPMG che ha curato la ricerca, per capire quali siano i risultati più significativi di questa seconda edizione della survey.

 







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Paolo Capaccioni Partner KPMG Advisory

 

Apple Store meglio di Amazon

La prima novità di questa edizione della Customer Experience Excellence è rappresentata dal fatto che Apple Store supera Amazon nella classifica, raggiungendo il primo posto e segnando il passo su un tema di particolare importanza: la competitività dei prezzi non più vista come un driver di grande importanza, ma solo come una parte – nemmeno troppo rappresentativa – di un meccanismo più composito di interazione con il brand. «Questo – ci spiega Capaccioni –è un punto fondamentale: significa che l’esperienza supera il prodotto. Intendiamoci, Apple fornisce tutt’ora un grandissimo prodotto e ha un passato da società “prodottocentrica”. Ma poi i vertici hanno intuito che c’era molto di più al di là della mera vendita di un oggetto, seppur con specifiche tecniche eccezionali. Era, insomma, necessario aggiungere qualcosa. Per questo l’Apple Store si presenta non tanto come un luogo in cui si possono comprare i diversi device prodotti dall’azienda di Cupertino, ma un ambiente in cui vivere un’esperienza perché si partecipa a dei momenti di creatività, utilizzando componenti dei software per ampliare la propria customer experience.«

«Per quanto concerne Amazon, in questo caso c’è un tema più ampio da tenere in considerazione: l’Italia era l’ultimo paese in cui era ancora al primo posto nella classifica CEE (Customer Experience Excellence) e questo perché Apple ha iniziato solo ora a fare determinati investimenti in tema di customer experience. Amazon in Italia ha pagato qualche elemento negativo in tema di integrity, ovvero delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Dal momento che il lavoratore è il primo promoter del brand, avere degli impiegati poco soddisfatti perché sostengono di non ricevere un trattamento adeguato non è decisamente una buona pubblicità. C’è anche un tema di qualità dei prodotti: quelli non venduti e spediti da Amazon, a volte, sono scadenti e questo inevitabilmente avrà inciso sul giudizio dei consumatori. Per carità, l’azienda di Jeff Bezos si trova al secondo posto nella classifica, non stiamo parlando di una débâcle, ma è indubbio che ci sia un’inversione di tendenza. Da notare, inoltre, che il sondaggio è avvenuto in prossimità del Natale, con l’uscita dell’iPhone X, ovvero di uno smartphone dotato di grandissima attrattiva. In altri paesi del mondo, dove la customer experience è molto più sviluppata, queste aziende sono tra il quinto, l’ottavo e il decimo posto, perché ci sono altri che dettano degli standard più alti perché hanno saputo calarsi meglio nel nuovo scenario competitivo».

 

 

Prodotti Apple: per il primato della mela morsicata decisiva l’esperienza nello store

 

I financial services e le telco

Un altro dato che balza all’occhio è la ripresa dei financial services e delle banche, realtà che, complice la crisi finanziaria del 2008 e quella dei debiti sovrani del 2011 erano finiti agli ultimi posti nelle classifiche delle preferenze degli utenti. In questo caso, gli istituti di credito e più in generale tutte le aziende che operano nell’ambito finanziario hanno dovuto fare tabula rasa per poter riguadagnare quella reputazione che sembrava irrimediabilmente perduta. «Ci sono due fattori da considerare nella ripresa dei financial services nella nostra classifica – racconta Capaccioni – Il primo è il crollo di reputazione dopo la crisi finanziaria, il secondo l’avvento del fintech

«Dopo il 2011, infatti, gli istituti di credito e gli operatori del settore finanziario erano visti come “il male”, o, peggio, come dei soggetti di cui si poteva fare tranquillamente a meno. Inoltre, le banche si sono accorte che i loro attuali competitor non erano più altri istituti di credito, ma dei colossi come Google o Amazon, che avevano iniziato a fornire servizi para-bancari e che di fatto avevano aperto il mercato. Non solo: con le nuove normative nel comparto e l’avvento del fintech, c’erano nuovi “antagonisti” che rischiavano di offrire servizi migliori. Oltretutto, a costo zero, com’è connaturato nel fintech. Per questo motivo le banche hanno iniziato a investire, spostando la competizione nel mondo della customer experience, non su quello del prezzo. »

 

Dal survey KPMG Nunwood “L’Eccellenza nella Customer Experience”

 

«L’Italia non è l’unico paese in cui si sta assistendo a un ritorno dei financial services. Anche negli Usa, dove ad esempio il brand numero uno nella classifica è una compagnia assicurativa nata come mutualistica per i reduci. Anche nel Regno Unito abbiamo osservato una dinamica simile. Si tratta dunque di un trend di tipo internazionale. In questo caso bisogna quindi fare un plauso alle banche: sono finite sotto attacco, hanno dovuto affrontare la liberalizzazione del mercato, ma sono state capaci di affrontare il cambiamento in maniera positivo, investendo in maniera corretta.»

«Un esempio invece estremamente negativo è rappresentato dalle telco, che non hanno reagito alle mutate esigenze del mercato e si sono fatte inchiodare esclusivamente sulla dinamica del prezzo. Ma in un settore in cui la durata media di un contratto è inferiore ai 18 mesi, dopodiché si cambia per andare da un operatore che offre migliori condizioni, sarebbe necessaria un’inversione di tendenza. Questo rende impossibile, però, investire sull’esperienza. Infine, una battuta sulle utility: dal 1° luglio è terminato il servizio di maggior tutela. Di fronte a loro hanno un’enorme chance di conquistare nuove fette di mercato se sapranno dare le risposte giuste all’utenza che è alla ricerca di un contratto di servizio efficace, ma anche di una customer experience coinvolgente. Se le utility si comporteranno in maniera corretta, entro qualche anno vedremo delle dinamiche analoghe a quelle che abbiamo osservato nel settore degli istituti di credito. Se, invece, emuleranno le telco, allora avremo soltanto una guerra di prezzi e, di conseguenza, uno scarso apprezzamento da parte della clientela».

 

Dal survey KPMG Nunwood “L’Eccellenza nella Customer Experience”

Il ruolo della personalizzazione

La Customer Experience Excellence si basa su sei pilastri fondamentali: Personalizzazione, Integrità, Aspettative, Risoluzione, Tempo ed Impegno ed Empatia. A prevalere, dalle rilevazioni di KPMG, è proprio il primo pillar, seppur in maniera moderata. Questo si traduce nella necessità, da parte di qualsiasi brand, di offrire un’esperienza unica, “tailor made”, sia la vera chiave di volta per prevalere sui competitor. «Questo meccanismo – racconta il partner di KPMG – risente dei grandissimi investimenti che sono stati fatti nel mondo del digitale. In questo modo, la personalizzazione ha un costo relativamente basso, ma consente di offrire un’esperienza veramente efficace alla clientela.»

«C’è però anche da dire un’altra cosa: dal momento che per tutti i brand che figurano nella nostra classifica questo indicatore è particolarmente elevato, vuol dire che la vera competizione non è più lì. Oggi, poter personalizzare quello che si va ad acquistare non è più così importante. O meglio, non è più così dirimente per il semplice fatto che chi non permette un’elevata personalizzazione è direttamente fuori dal mercato di riferimento. La vera competizione, oggi, si sostanzia in altri ambiti, come ad esempio quello dell’integrity, ovvero la possibilità di offrire condizioni di lavoro ottimali e un luogo particolarmente accattivante ai propri dipendenti. Da questo punto di vista, Google ha fatto scuola con la sua sede poco ortodossa che privilegia il divertimento dei dipendenti alle postazioni fisse».

 

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Dal survey KPMG Nunwood “L’Eccellenza nella Customer Experience” : la classifica generale italiana

Netflix

L’epitome della personalizzazione, ormai da tempo, è rappresentato da Netflix, il servizio di tv on demand che offre all’utente la possibilità di creare il proprio palinsesto personale, diverso da quello di tutti gli altri, oltretutto con un’interfaccia modificabile e con delle modalità di accesso che variano da soggetto a soggetto. Per questo motivo, forse, ci si aspetterebbe una posizione migliore nella classifica CEE per la tv diretta da Reed Hastings. «Netflix – ci spiega Capaccioni – ha raggiunto dei risultati splendidi, ha dei potenziali di sviluppo enormi e, in ambiti come quello del benessere dei dipendenti sta investendo tantissimo, per esempio per quanto riguarda gli orari di lavoro. C’è anche un altro aspetto di integrity che piace moltissimo al pubblico: in fase di iscrizione al periodo di prova, viene chiesto all’utente di fornire una carta di credito. Normalmente, al termine della scadenza il costo nominale dell’abbonamento verrebbe scalato dalla carta fornita in sede di registrazione. Netflix invece fa l’esatto opposto: manda una mail pochi giorni prima affermando che, salvo diverse indicazioni, l’abbonamento non verrà rinnovato. Per dire, altri che offrono un servizio analogo, utilizzano una modalità “antica”, cioè prelevano direttamente senza ulteriori avvisi. E infatti non figurano nella classifica di CEE. Infine, il motivo per cui Netflix non figura ancora ai primi posti della nostra classifica è che in Italia c’è ancora bassa consapevolezza sul tema della streaming tv, anche se sta aumentando vertiginosamente. La mia previsione, quindi, è che nei prossimi anni vedremo la posizione di Netflix salire sempre di più.

Il lusso

Nelle prime dieci posizioni della classifica stilata da KPMG figurano ben quattro marchi del lusso: Chanel, Gucci, Armani e Dior. Il che, però, non significa che rivolgersi al segmento alto-spendente, che non si cura minimamente del tema relativo al prezzo, sia la chiave del successo. Ma, piuttosto, che anche in questo caso è l’esperienza il tema dominante. «Non è vero – ci racconta il partner di KPMG – che la posizione in classifica dei brand del lusso dipende dal fatto che si rivolgono a un pubblico poco sensibile al prezzo. Il tema è, invece, che rimane centrale l’esperienza. I brand che non sanno trasformare il proprio prodotto in un momento “magico” per la clientela sono destinati a essere completamente superati. Ormai tutto il discorso competitivo si è spostato completamente dal prezzo e dalla qualità, che sono dati per scontati, verso l’esperienza».

 

Dal survey KPMG Nunwood “L’Eccellenza nella Customer Experience”

Il passaparola

La presenza massiccia nella vita quotidiana del digitale ha trasformato una pratica totalmente ordinaria come il passaparola in un tema di grande importanza per le aziende. Oggi chiunque può permettersi di esprimere giudizi attraverso appositi siti, recensendo prodotti, ristoranti e qualsiasi altro oggetto che sia in vendita. E un utente potenziale, prima ancora di recarsi in un negozio – fisico o virtuale che sia – sa già quale sia la valutazione del prodotto a cui è interessato e, di conseguenza, ha già un’idea precisa se acquistarlo o meno. «Il passaparola – racconta Capaccioni – c’è sempre stato ma oggi ha superato un limite enorme. Prima era la vera e propria parola che serviva per avere un giudizio su un prodotto o un brand: era necessario incontrare di persona una persona per sapere la sua valutazione. Oggi invece, online, si trovano già recensiti tutti gli oggetti che si possono acquistare. La qualità del prodotto, come abbiamo detto, è ormai data per scontata: chi non offre un oggetto o un servizio che mantenga la “promessa” è fuori dal mercato

«Non significa, quindi, che tutti i prodotti devono essere eccezionali, ma è fondamentale rispettare quanto dichiarato durante la descrizione. Se la promessa del brand non viene rispettata, l’utente viene a saperlo prima ancora di acquistarlo. E si rischia di essere estromessi dal mercato. L’elemento emozionale – che è quello dirimente – parte nel momento in cui si è riusciti a mantenere la promessa iniziale. Prendiamo il settore del caffè: detta brutalmente, si tratta di una polvere che si compra nei negozi o al supermercato. Messa così, ovviamente, tutto il tema è intorno al prezzo. Ma Illy, così come Nespresso, stanno tentando di spostare il tema verso l’esperienza e sull’emozione. Così, l’azienda friulana ha deciso di lanciare degli Illy Cafè in cui poter gustare le bevande. E Nespresso, oltre a store dedicati, può vantare una community fatta di dipendenti e consumatori che diventano sostenitori del brand. Questo significa che il tema dell’emozione diventa molto più significativo di quello del prezzo che, come abbiamo già visto, non è più un territorio basilare.»

 

Dal survey KPMG Nunwood “L’Eccellenza nella Customer Experience”

L’Italia

Rispetto ad altri paesi più maturi, l’Italia ha una minore consapevolezza relativamente alla customer experience. Questo perché il nostro paese ha una storia più recente da questo punto di vista. «Ciononostante – conclude Capaccioni – , il tema dell’esperienza sta diventando preponderante anche nel nostro paese, tanto che i top manager che abbiamo intervistato nella nostra survey hanno dichiarato che sarà la leva competitiva su cui si giocherà la partita dei prossimi anni. Certo, il livello in assoluto nel nostro paese non è tra i più elevati. Gli Usa sono partiti molto prima e investono in questo aspetto in maniera molto più massiccia già da tempo, raggiungendo ovviamente dei livelli più. Il che però non significa che questo tema non è sentito in Italia. Ci sono settori in cui anche le aziende italiane stanno facendo investimenti significativi. Abbiamo visto il lusso o il mondo della finanza, ma anche altri comparti stanno puntando forte sulla customer experience. In questo senso, quindi, l’Italia può dire la sua, anche se, dalla parte del mercato, non c’è ancora la piena consapevolezza del ruolo cruciale dell’emozione».














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