Idrogeno, la confusione del governo rischia di azzoppare l’Italia

di Marco de' Francesco ♦︎ Nel Pnrr si parla in modo generico e fuorviante di come creare una filiera per quella che dovrebbe essere l’alimentazione del futuro. Così si rischia di vanificare gli sforzi di grandi player come Eni, Enel, A2a e Snam che sono attivi e pronti a partire. Ma quali sono le difficoltà? E perché non si vuole fare chiarezza? Ne abbiamo parlato con il professor Marcello Romagnoli dell’università di Modena e Reggio Emilia, ateneo parte del network di H2IT – (Associazione Italiana Idrogeno e Celle a Combustibile). Una rete con 50 soci tra cui spiccano Alstom, Air Liquide, Fincantieri, Tenaris, Toyota, Iveco, Landi Renzo, De Nora

Ci sono aziende già pronte ad adottare l’idrogeno, come produttori e come utilizzatori.  Hanno definito progetti importanti sia i grandi operatori energetici nazionali come EnelEni e A2A che la Snam, quest’ultima quanto a trasporto del gas. Quanto alle applicazioni, in soli cinque anni potrebbero essere disponibili carrelli elevatori alimentati da celle a combustibile, forni per la ceramica e per la produzione del vetro, essiccatori per la pasta, nuovi fertilizzanti e altro. Per l’acciaieria, invece, i tempi sono più lunghi: almeno dieci anni, tra sperimentazione, progettazione e realizzazione di speciali altoforni.  L’importante è partire adesso, per non rimanere indietro rispetto agli altri Paesi europei. Cosa manca, dunque, in questa partita? Lo Stato.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) – il programma di investimenti che l’Italia deve inoltrare alla Commissione Europea nell’ambito del Next Generation EU – quanto all’idrogeno e per dirla con Oscar Wilde, «non ha niente da dire e lo dice».  Sul punto, è un documento generico e privo di contenuti. Nessuno ha capito chi deve fare che cosa. Non è stato definito, poi, un quadro legislativo chiaro, che indichi alle aziende come fare le cose a norma. Soprattutto, al di là di generiche affermazioni, manca l’input della politica, quella presa di posizione forte che faccia capire alle imprese che lo Stato c’è, e che quindi è l’ora di investire.







«Un gran peccato, perché dal punto di vista tecnologico l’Italia non è seconda a nessuno» – afferma Marcello Romagnoli, docente al dipartimento di ingegneria “Enzo Ferrari” dell’Università di Modena e Reggio Emilia, ateneo socio di H2IT – (Associazione Italiana Idrogeno e Celle a Combustibile), che riunisce grandi, medie e piccole imprese, centri di ricerca e università. Conta attualmente 50 soci che rappresentano tutta la catena del valore, dalla produzione fino agli usi finali: ad esempio, AlstomAir LiquideFincantieriTenarisToyotaIvecoLandi RenzoDe Nora. H2IT ha realizzato il report “Strumenti di supporto al settore idrogeno. Priorità per lo sviluppo della filiera idrogeno in Italia”, diretto al decisore politico in vista dell’elaborazione di una specifica  strategia nazionale. Segue l’intervista a Romagnoli.

       

D: Sia l’Unione europea che il Mise hanno obiettivi importanti sull’idrogeno: per la prima, vanno costruiti elettrolizzatori per produrre 10 milioni di tonnellate di gas entro il 2030; per il secondo, l’idrogeno deve penetrare il 20% dei consumi finali di energia entro il 2050. Attualmente, però, la quota italiana è pari all’1% e non proviene da fonti rinnovabili. Sono dunque traguardi raggiungibili?

Marcello Romagnoli, docente al dipartimento di ingegneria “Enzo Ferrari” dell’Università di Modena e Reggio Emilia

R: «Dipenderà molto dalle risposte della politica, e dalle risorse che si vorranno mettere in campo. Un buon numero di aziende è già pronto a partire, pur nell’incertezza dell’intervento pubblico. Ci credono a prescindere, e questo è un buon segno: significa che confidano nell’operazione, e che sono disposte a rischiare in proprio.  Ma è una situazione complessa: non si tratta solo di realizzare gli elettrolizzatori o le celle combustibili; ci sono imprese che dispongono di un surplus di energia, e che sono propense a convertirlo in idrogeno, visto che se lo mettessero in rete ci guadagnerebbero poco o niente. Ma tutte queste imprese devono ricevere un input dalla politica, devono vedere che lo Stato fa sul serio. Così, si crea quel clima di fiducia che è fondamentale in questi casi, e che produce un effetto leva per i finanziamenti privati».

 

D: Quali altre questioni incidono sulla riuscita dell’idrogeno nell’industria?

R: «Ci sono diverse “variabili”. Si pensi alle accise: sugli idrocarburi ci sono; e se un governo decidesse di metterle anche sull’idrogeno? Alla fine, garantiscono un’entrata importante per lo Stato; ma renderebbero il gas assai meno competitivo. Ancora: l’EU promette di tassare gli Stati in base alle emissioni di anidride carbonica. Dunque, se producessimo meno CO2, pagheremmo di meno. Insomma, la situazione è complessa, e il successo di questa tecnologia dipende anche da queste circostanze».  

 

D: La filiera dell’idrogeno riguarda la produzione, il trasporto, la distribuzione, lo stoccaggio, la mobilità, gli usi energetici e quelli industriali e residenziali. Qual è l’aspetto più problematico?

R: «In realtà, nessuno di loro comporta problemi tecnicamente insuperabili. Sia le celle a combustibile che gli elettrolizzatori, pur avendo ampi margini di miglioramento, sono tecnologie mature e quindi realizzabili e commercializzabili.  Quanto al trasporto dell’idrogeno la Snam ritiene di poterlo effettuare in miscela col Metano con le condutture esistenti, quelle utilizzate per il gas naturale. Ma vedo positivamente anche l’affiancamento con una produzione locale di H2, a km zero. Complessivamente l’adozione dell’Idrogeno è una soluzione molto positiva, perché comporterebbe una riduzione della spesa in bolletta, lo sviluppo di tecnologie territoriali e l’aumento dei posti di lavoro, oltre che un incremento del Pil. Un modo, anche, per rendersi più indipendenti dai moti geopolitici dell’energia, che vedono il nostro Paese in una costante posizione di debolezza. Se sei meno dipendente da fonti esterne, sei più forte nella contrattazione».

Produzione idrogeno da pirolisi del metano

D: Il quadro legislativo, in materia di idrogeno, sembra piuttosto confuso

R: «Ci sono associazioni, come H2IT, in grado di fornire al governo i giusti suggerimenti su come realizzare una legislazione coerente in materia. Sarebbe a mio parere opportuno che il governo sfruttasse ancora di più i canale di comunicazione con queste realtà. Anche nell’università dove lavoro abbiamo coinvolto docenti di giurisprudenza, che hanno elevate competenze in materia. È bene che l’esecutivo prenda in mano la situazione: quella dell’idrogeno è una tecnologia dove potremmo dare del tu ai Tedeschi, agli Americani e ai Cinesi. Ma bisogna accelerare notevolmente il passo: adesso».

 

D: C’è un’enorme questione di costi: attualmente l’idrogeno non sembra conveniente

R: «I costi dipendono da aspetti tecnici e da economie di scala. In realtà il potenziale è enorme: H2IT ha realizzato studi dove si osserva che, con le opportune strategie, i prezzi potrebbero calare notevolmente. Sono previsioni realistiche, purché si avanzi con decisione».

L’analisi dei costi di produzione dell’idrogeno e dell’idrogeno green in Italia. Fonte Snam-Mckinsey

D: Parliamo di idrogeno verde – il gas che si ottiene con l’elettrolisi, con energia ottenuta da fonti come i pannelli solari o impianti eolici – o di quello blu, e cioè quello prodotto da combustibili fossili, ma con cattura di CO2?

R: «Io non sono molto convinto della suddivisione dell’idrogeno per colori: verde, blu, grigio. Faccio un esempio per spiegarmi meglio: la tecnologia più utilizzata oggi è lo steam reforming del metano – meglio sarebbe se da biometano ottenuto da biomasse – un processo per la produzione del syngas (miscela di idrogeno e altri gas) dal quale viene poi separata l’anidride carbonica. Quest’ultima può avere un mercato a sé, ad esempio nel settore della produzione degli alimenti per animali, dopo opportune trasformazioni che sono allo studio. In questo modo otterremmo un idrogeno senza la produzione di gas ad effetto serra, esattamente come quello prodotto da fonti rinnovabili come l’energia elettrica ottenuta da fotovoltaico o eolico. Anche questo dovrebbe essere considerato un idrogeno verde e non blu com’è oggi».  

Origine dell’idrogeno per colore

 

D: Sarà mai conveniente l’idrogeno rispetto al metano, anche considerando le economie di scala?

R: «Bisogna, a mio avviso, considerare non solo il costo al kg, ma anche tutta l’economia destinata a svilupparsi con l’idrogeno. E poi, se si riuscisse a diminuire di un quarto la spesa energetica dello Stato, che in un recente passato è stata anche più di 50 miliardi in un anno, si risparmierebbero 12,5 miliardi ogni anno. Per non parlare, poi, dei tanti posti di lavoro generati da questa tecnologia. Si parla infine, giustamente, delle tante vittime del Covid-19; anche se non è bello associare salute e spesa, e premesso che la prima non ha prezzo, quanto costano gli 84mila morti all’anno attribuiti all’inquinamento dall’Agenzia europea dell’ambiente e che si potrebbero ridurre diminuendo l’inquinamento ambientale anche con l’adozione massiccia dell’Idrogeno come combustibile?».

 

D: Quanto all’idrogeno prodotto per elettrolisi, si tratterebbe di utilizzare l’acqua dolce, e quindi di incidere sulle riserve idriche, che nel Sud del Paese sono scarse e preziose

R: «In realtà si potrebbe utilizzare l’acqua di mare, che potrebbe essere distillata per evaporazione utilizzando l’energia solare ad esempio. L’uso poi genererebbe come sottoprodotto acqua purissima che potrebbe essere raccolta o che comunque tornerebbe nell’ambiente».

Possibili evoluzioni della domanda di idrogeno in Italia. Fonte Mckinsey

 

D: Sempre in riferimento all’idrogeno prodotto per elettrolisi, l’energia necessaria al processo sarebbe ricavata, per lo più, da pannelli solari. Ma non si rischia di consumare il territorio?

R: «Non è obbligatorio consumare il verde: i pannelli possono essere installati sui capannoni o in aree industriali dismesse; inoltre, l’energia per l’elettrolisi si può ottenere dalle correnti marine e con l’eolico. Il problema, casomai, è che l’energia prodotta da fonti rinnovabili è discontinua: occorre stoccarla, per bilanciare domanda e offerta. Ma si può fare proprio grazie al sistema energia-H2-Celle a combustibile-energia». 

Produzione idrogeno con elettrolisi

 

D: Perché certificare l’origine dell’idrogeno prodotto a zero emissioni è diventato così importante? Se ne parla anche in un recente documento redatto da H2IT

R: «Se si perseguono degli obiettivi “ecologici”, è chiaro che una certificazione serve, perché garantisce l’uso di metodi che danno precisi vantaggi su questo fronte. Certo non si può consentire di contrabbandare l’idrogeno prodotto senza cattura di anidride carbonica con quello realizzato ad emissioni zero».  

 

D: Per l’industria, si parla di più utilizzi per l’idrogeno. Quali applicazioni potrebbero essere realizzate in tempi ragionevoli (per l’industria)?

R: «Nel campo dei fertilizzanti l’idrogeno già viene molto usato: da sempre l’ammoniaca si produce facendo reagire l’idrogeno con l’azoto. Si pensi però al material handling, e cioè alla movimentazione materiale: c’è già richiesta di carelli elevatori che utilizzano l’idrogeno trasformato da celle a combustibile in energia elettrica. O al food: si può essiccare la pasta con bruciatori all’idrogeno. Esistono già auto in commercio, presto avremo camion e treni a H2. Ma si stanno studiando applicazioni nella ceramica, nella produzione del vetro. Comunque, si tratta di applicazioni che si possono mettere a terra nell’arco di 5 anni. In realtà, credo che i settori evolveranno a velocità differente, su questo fronte. In Emilia Romagna, come università di Modena e Reggio Emilia, stiamo realizzando un distretto industriale dell’idrogeno, che comprende oggi circa una trentina di aziende tra produttori di celle a combustibile e utilizzatori finali. Stiamo cercando imprese in grado di realizzare elettrolizzatori; siamo già entrati in contatto con alcune, anche in altri territori, a Nord e a Sud. Non abbiamo ancora scelto un nome, però abbiamo il pieno l’appoggio della Regione. I vertici politici sono informati delle nostre attività. Stiamo realizzando un Centro di Eccellenza che farà ricerca applicata per le aziende che ne hanno bisogno, daremo spazio alle start-up innovative, aiuteremo le aziende ad intercettare fondi europei e spiegheremo l’argomento alla gente, perché non tema questa tecnologia. Per l’acciaieria, invece, occorrerà un po’ più tempo».

 

D: Quali sono i tempi per l’utilizzo dell’idrogeno in acciaieria?  

I 6 elettrotreni di Alstom alimentati a idrogeno acquistati da Fnm andranno a sostituire gli attuali a motore diesel sulla linea non elettrificata – gestita da Ferrovienord (società al 100% di Fnm) – Brescia-Iseo-Edolo

R: «Posso pensare che ci vogliano ragionevolmente quattro o cinque anni per avere dati statisticamente validi dagli impianti pilota di Thyssenkrupp in Westfalia e di Ssab in Svezia non appena entreranno in funzione: entrambi i gruppi siderurgici hanno avviato una sperimentazione per sostituire il carbone con l’idrogeno. Dopo, occorreranno almeno altri cinque anni per la progettazione e per cominciare la realizzazione degli altoforni in grado di sfruttare le nuove tecnologie, in Italia e altrove. A Dalmine si sta andando in questa direzione. Insomma, l’acciaieria a zero emissioni non è dietro l’angolo, ma neanche molto lontano se l’obiettivo viene perseguito con determinazione. Thyssenkrupp vede un settore climaticamente neutrale entro il 2050: vuol dire andare molto veloci».  

 

D: Tempi piuttosto lunghi, in generale. Come si può fare per l’ex Ilva di Taranto? Lì il problema ambientale è attuale, e il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli ha più volte affermato che l’idrogeno è parte della strategia di rilancio dello stabilimento

R: «I tempi potrebbero essere ridotti con una sperimentazione accelerata condotta in Italia; e a Taranto si potrebbe iniziare con un regime misto idrogeno-gas naturale, utilizzando le stesse tubature e riducendo la produzione dell’anidride carbonica. Sempre a Taranto, lo Stato potrebbe attivarsi per abbattere intanto l’inquinamento da altre fonti, come quello prodotto dalle auto, finanziando la sostituzione di mezzi a motore termico con quelli elettrici, e quello generato dagli impianti di riscaldamento, che potrebbero essere sostituiti da modelli green. Complessivamente, si potrebbe procedere verso un miglioramento graduale e ragionevolmente rapido della situazione, mettendo così assieme le esigenze sacrosante di salute e di lavoro dei cittadini».

 

D: Giorni fa è stato presentato al consiglio dei ministri Pnrr. C’è un capitoletto sull’idrogeno dove, in via molto generale, si parla di produzione, distribuzione e utilizzo di idrogeno verde, nonché di realizzazione degli elettrolizzatori

R: «Sì, nell’ultima versione del Pnrr l’idrogeno c’è; in quella precedente mi sembra non ci fosse o ci fosse molto meno.  Se ne è parlato tanto, di questo argomento, a vari livelli, e alla fine si è riusciti ad inserirlo nel piano. Va detto che i tecnici dei ministeri coinvolti, ad esempio quelli del Mise, sono molto competenti in materia; forse il problema è che il documento è stato realizzato in gran fretta, mentre cambiamenti epocali come quello dell’idrogeno richiedono mature riflessioni. Per questo le associazioni come H2IT sono molto importanti».

Idrogeno nel Pnrr. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) – il programma di investimenti che l’Italia deve inoltrare alla Commissione Europea nell’ambito del Next Generation EU – quanto all’idrogeno è un documento generico e privo di contenuti. Nessuno ha capito chi deve fare che cosa. Non è stato definito, poi, un quadro legislativo chiaro, che indichi alle aziende come fare le cose a norma

D: È diventato un argomento importante, soprattutto nei contesti industriali

R: «Fin troppo, forse: personalmente preferisco le crescite ragionevoli e costanti alle accelerazioni improvvise».

 

D: Che cosa si vuol fare con l’idrogeno in Italia?

R: «Non lo so. So quello che faremo noi di H2IT: industria e centri di ricerca hanno deciso di prendere la direzione dello sviluppo e dell’applicazione di questa tecnologia; e personalmente penso che alla fine la politica seguirà le richieste di realtà così importanti».














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