Ibm: anche il cloud si “containerizza”

di Renzo Zonin ♦︎ Con tecnologie come RedHat Open Shift fondata su Kubernetes tutte le applicazioni si avviano a diventare cloud-native, permettendo di sfruttare al meglio il potenziale della "nuvola". La visione di Silvia Bellucci di Big Blue

Arthur Clarke diceva che “ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. Possiamo applicare la frase anche al cloud, visto che molti decisori se lo immaginano come qualcosa di misterioso dove le operazioni avvengono come per magia. E questo fa sì che sull’argomento si siano formate opinioni imprecise, o vere e proprie leggende. Per fare un “bagno di realtà”, e vedere come agisce in concreto un team specializzato nella migrazione verso la nuvola, siamo andati a parlare con un grande cloud provider: Ibm.

La casa di Armonk possiede un portfolio molto vasto di servizi cloud, appoggiati alla sua rete composta di oltre 60 data center disponibili in 19 nazioni. Questi servizi vengono offerti alle aziende da team di esperti di soluzioni cloud, basati soprattutto su Roma e Milano. Si tratta di servizi di consulenza prettamente tecnologica sull’architettura e di consulenza applicativa, prestati in  sinergia con chi si occuperà del delivery vero e proprio della soluzione, che può essere svolto sempre da Ibm ma anche da uno dei numerosi partner italiani dell’azienda di Armonk. E se a oggi la maggior parte delle migrazioni sono semplicemente dei “lift&shift”, ovvero poco più che un semplice spostamento del server e delle applicazioni nel data center cloud, l’obiettivo a lungo termine è di far capire alle aziende che i veri vantaggi del cloud emergeranno solo quando le applicazioni da migrare verranno riscritte con una logica basata su container e microservizi, per esempio utilizzando RedHat Open Shift, piattaforma di containerizzazione basata su Kubernetes, al cuore della strategia Ibm. Solo in questo modo si otterranno applicazioni davvero native per il cloud, in grado di realizzarne tutte le aspettative e le promesse.







 

Miti e pregiudizi, software edition

Silvia Bellucci, Public Cloud Technical Sales Manager di Ibm

Nonostante il cloud sia un paradigma ormai in uso da diversi anni, e stia guadagnando quota fra le tecnologie dell’Industria 4.0, per molti decisori rimane ancora oggi una sorta di black box, una “scatola nera” rispetto alla quale circolano anche miti, leggende e pregiudizi. Molti riguardano la parte “fisica” del cloud, ovvero la collocazione dei dati, la loro sicurezza e così via, e ne abbiamo parlato in un recente articolo (lo trovate qui). Altri miti sono legati al software, ai servizi, e al processo di transizione. E spesso vanno a coppie contrapposte: chi dice che il cloud fa risparmiare, e chi lo ritiene troppo costoso; chi racconta che la migrazione è semplice e chi la trova molto complessa; chi sostiene che richieda mesi e chi parla di ore; chi ritiene che aumenti la complessità di gestione dell’infrastruttura e chi è convinto che la semplifichi; chi è sicuro che sia necessario spostare l’intero sistema informativo sul cloud, e chi dice che bisogna migrare un servizio alla volta. In generale, questi miti o idee preconcette sono semplicemente il frutto di una scarsa conoscenza del cloud, di come è strutturato e di come si implementa concretamente.

Il fatto è che difficilmente un’azienda ha al suo interno le competenze necessarie per spostare i propri sistemi informativi da un approccio legacy al cloud, al multicloud o al cloud ibrido. C’è qualche eccezione fra le grandi aziende, con propri data center e magari una divisione dedicata all’IT ma l’Italia è fatta di pmi, che devono cercare esternamente il know-how richiesto. Fortunatamente, i grandi cloud provider hanno team dedicati esattamente a questo: esaminare le necessità del cliente e creare insieme a lui una strategia cloud a lungo termine che possa dargli il massimo vantaggio, in termini di versatilità, resilienza, economicità. Per vedere cosa fa un team di questo tipo, quali sono i dubbi cui deve rispondere, quali soluzioni propone, abbiamo parlato con Silvia Bellucci, public cloud technical sales manager di Ibm, ovvero la donna che guida il team di architetti che disegnano soluzioni basate sui servizi cloud per la clientela di Big Blue. Ibm, lo ricordiamo, è uno dei più importanti cloud provider: la sua infrastruttura è formata da una rete mondiale di oltre 60 data center, connessi da una propria rete in fibra. Inoltre, è fra i pochissimi a disporre di un data center dedicato al cloud in Italia, precisamente a Cornaredo (MI). Ali Baba, che completa il gruppo dei primi 5 cloud provider mondiali, concentra la sua attenzione prevalentemente sul mercato asiatico. Fortunatamente, i team di esperti che possono aiutare le aziende a migrare sulla nuvola sono molti di più. Quello di Ibm, in particolare, è geograficamente distribuito, con basi principali su Roma e Milano.

 

Un team distribuito

Come è fatta e come funziona la rete di vendita delle soluzioni cloud? «Abbiamo un team di vendita specializzato nelle soluzioni cloud, basato principalmente su Roma e Milano, che è affiancato da un team tecnico del quale io sono alla guida, formato da esperti e specialisti di architetture cloud che affiancano il personale di vendita nella definizione delle soluzioni stesse. È un team focalizzato prettamente sul cloud, attivo ormai da 5 anni, da quando Ibm ha aperto, con un importante investimento, il data center italiano di Ibm Cloud. Ovviamente in sinergia con le altre unità dell’azienda, in particolare con chi si fa carico del delivery vero e proprio, perché non basta semplicemente vendere un’architettura, molti clienti ce ne chiedono la gestione. Essa viene primariamente affidata ad altre unità in Ibm, ma non esclusivamente: molto spesso abbiamo anche una rete di partner che ci affianca nel delivery e nella gestione, manutenzione, ammodernamento della infrastruttura cloud stessa».

Che cosa vi chiedono i clienti? «Offriamo due tipi di consulenza: una di tipo prettamente tecnologico, nella quale viene analizzato l’ambiente del cliente, perché tipicamente si parte da una situazione preesistente di disponibilità di risorse presso il data center di proprietà del cliente, o più raramente in cloud. Si fa quindi un’analisi dei carichi di lavoro e delle loro dipendenze rispetto ad eventuali altre componenti che dovessero rimanere nel data center del cliente stesso. Questa consulenza quindi analizza i carichi, stabilisce cosa e come migrare in cloud, ottimizza i processi. C’è poi una consulenza importante di tipo applicativo. Per esempio, in questo periodo stiamo supportando molte migrazioni di sistemi Sap, che prevedono comunque un’analisi applicativa funzionale al passaggio in cloud. Noi affianchiamo il cliente nell’analisi e nella definizione degli scenari e quindi nella migrazione applicativa vera e propria. Qualunque tipo di applicazione che abbia bisogno di un application server o di un database, in caso di migrazione verso il cloud dovrà essere accompagnata da un’analisi dei flussi per capire come il tutto dovrà comportarsi nel nuovo scenario. Anche perché l’obiettivo dovrebbe essere di rendere il passaggio trasparente: il cliente finale non dovrebbe accorgersi che l’applicazione si è spostata dal server dell’ufficio al data center cloud di Milano o di Francoforte».

Ibm Cloud Prodotti e servizi, fonte-slideshare. Ibm possiede un portfolio molto vasto di servizi cloud, appoggiati alla sua rete composta di oltre 60 data center disponibili in 19 nazioni. Questi servizi vengono offerti alle aziende da team di esperti di soluzioni cloud, basati soprattutto su Roma e Milano.

La mancanza di visione strategica frena l’adozione del cloud

Il data center di Cornaredo di Ibm ha ottenuto la certificazione Tier 4, che la più alta per quanto riguarda la sicurezza, la resilienza e l’affidabilità. Il centro di Cornaredo è alimentato con linee elettriche ridondate ad alta tensione sotterranee da 132 kV. E come ogni data center Ibm ha la capacità di essere indipendente dal punto di vista energetico, sia attraverso dei sistemi Ups che intervengono nel caso l’energia primaria non fosse disponibile, sia tramite la possibilità di produrre dell’elettricità tramite generatori se fosse necessario

Il cloud è una delle tecnologie di Industria 4.0 che sta riscontrando il maggior successo, eppure la penetrazione in termini assoluti è ancora bassa. Quali sono i problemi che ne frenano l’adozione? «Il problema che hanno molte aziende, al di là di riconoscere i benefici, è che non è banale capire qual è la strada maestra da seguire. Ogni migrazione è diversa dall’altra. E poi, chi si affaccia al cloud pensando solo a obiettivi di risparmio sui costi, probabilmente si scontrerà con una realtà che è ben diversa. Perché ci sono situazioni in cui non sono i costi il giusto driver giusto per operare questa scelta. Bisogna fare un ragionamento diverso, su un fronte temporale ampio. C’è un tema di disponibilità dei servizi che è un elemento importante da fattorizzare nel business case. Non ci si deve dunque limitare ad una valutazione della spesa attuale e futura, ma ricercare altre motivazioni, tecnologiche e di business, alla base di un percorso di trasformazione verso il cloud.

 

Dal “lift & shift” alla containerizzazione

Un altro elemento importante è l’evoluzione tecnologica delle applicazioni dei clienti. Noi abbiamo davanti una grossa sfida, quella di portare i clienti sempre più verso ambienti basati sulla containerizzazione, sui microservizi, ed è proprio questa la vera sfida che il cloud deve vincere. Perché finché si parlerà solo di “lift & shift”, ovvero di prendere delle macchine che prima erano on premise e spostarle in cloud, sarà sicuramente un passo avanti, ma il vero cambiamento avverrà nel momento in cui i clienti ripenseranno le proprie applicazioni in ottica container, sviluppando quindi applicazioni che possano girare nativamente sul cloud. In Italia abbiamo delle eccellenze per quanto riguarda questo aspetto. Ibm stessa fa girare tutti i suoi carichi dei servizi “platform as a service” sulla piattaforma Kubernetes, che di fatto è la piattaforma nativa della containerizzazione e su cui è stato naturale costruire l‘offerta RedHat OpenShift su Cloud Ibm. Quindi Ibm per prima ha fatto la scelta di containerizzare i propri servizi, che in numero sempre maggiore vengono riscritti e rilanciati in quest’ottica. Questo è importante perché il fatto di essere noi stessi i primi a credere nella containerizzazione ci aiuta non solo a convincere i clienti, ma anche ad aiutarli meglio nel loro percorso. Non è una strada facile, perché siamo ancora agli inizi e sono ancora poche le soluzioni che hanno abbracciato un approccio di containerizzazione e di cloud nativo, ma quella è sicuramente la strada maestra, quella sulla quale si giocherà il futuro del cloud nei prossimi anni».

Ibm Cloud Strumenti, fonte slideshare. Ibm sta creando dei verticali d’industria. Il primo è stato il cloud per i financial services, realizzato in partnership con la Bank of America, che va incontro a tutte le esigenze di un mercato fortemente regolato come quello delle banche. Di prossima uscita è il cloud per le telco, che verrà seguito dal cloud per le assicurazioni, e in futuro dal cloud per l’industria manifatturiera, perché in Italia questa tipologia di aziende è fra i maggiori clienti del cloud

I vantaggi della containerizzazione

Ma perché un’azienda dovrebbe intraprendere questa strada in salita? Possiamo provare a individuare quali sono i tre principali vantaggi per le aziende che decidano di convertire le proprie applicazioni secondo la logica della containerizzazione? «Il primo è sicuramente la grandissima flessibilità: un approccio basato sul modello container consente di riutilizzare, muovere, riaggregare rendendo flessibile lo sviluppo applicativo stesso. Non mi devo più preoccupare del singolo elemento della catena, ma posso ricombinare diversi pezzi per ottenere il risultato che voglio. Il secondo vantaggio è che disaccoppiando la logica dello sviluppo applicativo da quella dello sviluppo infrastrutturale posso usare al meglio le competenze legate allo sviluppo applicativo stesso. Terzo, tutto questo può essere declinato in un’ottica di totale sicurezza del prodotto che viene realizzato con Kubernetes».

 

Ibm Cloud, evoluzione verso i mercati verticali

Quali saranno le prossime mosse di Ibm nel segmento del cloud? «Abbiamo annunciato la primavera scorsa la disponibilità di un nuovo servizio chiamato Ibm Cloud Satellite. È la risposta Ibm all’esigenza di estendere il proprio ambiente cloud per gestire altri ambienti, dall’edge al proprio data center, al data center cloud di un altro provider. Si gestisce quindi da un solo pannello di controllo, tramite Red Hat OpenShift, una serie di location satelliti, anche molto lontane e geograficamente disperse, superando i limiti della latenza. Pensiamo a chi deve gestire logistica, porti, stabilimenti sparsi per il mondo. Il secondo grande investimento che stiamo facendo è di creare dei verticali d’industria. Il primo è stato il cloud per i financial services, realizzato in partnership con la Bank of America, che va incontro a tutte le esigenze di un mercato fortemente regolato come quello delle banche. Di prossima uscita è il cloud per le telco, che verrà seguito dal cloud per le assicurazioni, e in futuro dal cloud per l’industria manifatturiera, perché in Italia questa tipologia di aziende è fra i maggiori clienti del cloud». Purtroppo, le date di disponibilità di queste soluzioni verticali di prossima uscita sono ancora top secret. Ma, visto l’elevato interesse registrato per il primo realizzato, sembra proprio che non si dovrà aspettare molto a lungo.

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 12 febbraio 2021)














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