Generali Jeniot e Omron per testare l’affidabilità delle scatole nere

La società interamente posseduta da Generali Italia, e guidata da Francesco Bardelli, ha sviluppato un’applicazione che sfrutta i movimenti ad altissima velocità di un robot Delta Quattro di Omron per testare i parametri chiave delle black-box da installare sulle auto

Generali Jeniot – la nuova società al 100% Generali Italia dedicata allo sviluppo di servizi innovativi, nell’ambito dell’Internet of Things e della Connected Insurance legati alla mobilità urbana, alla casa intelligente, alla salute e al mondo del lavoro connesso – si è posta la domanda di come rendere del tutto affidabili le scatole nere installate a bordo delle auto assicurate. E ha trovato una risposta: ha brevettato, insieme alla società di prodotti telematici Viasat, e successivamente sviluppato, un nuovo metodo di collaudo.

Il nuovo metodo di collaudo basato su robot Omron

La soluzione è basata sull’utilizzo di un robot Delta Quattro Adept di Omron, programmato per sottoporre le scatole nere alle stesse accelerazioni e decelerazioni che verrebbero registrate su un’autovettura durante un crash test o altre situazioni simulate di circolazione stradale.







L’applicazione, sviluppata in collaborazione con l’Università di Padova e presentata sia alla Conferenza internazionale dei Centri di Ricerca che appartengono alle compagnie assicurative sia all’ultima edizione della fiera dell’automazione SPS di Parma, è impiegata con successo sia per il collaudo delle scatole nere degli assicurati del Gruppo Generali, sia per quelle prodotte e distribuite da terze parti.

L’incidente simulato dal robot JADA, questo il nome della soluzione sviluppata da Generali Jeniot in collaborazione con Omron e R4P per ciò che riguarda la parte di ingegnerizzazione e architettura lato software, prevede l’utilizzo di un robot Delta Quattro Omron Adept in grado di replicare – a livello di velocità, accelerazioni e decelerazioni sui tre assi – il movimento di una scatola nera installata su un’auto. «Per semplificare», spiega Valerio Matarrese, responsabile Ricerca Progettazione e Sperimentazione Auto Generali Jeniot, «si potrebbe dire che la valutazione viene condotta da un robot che muove la black-box come se fosse a bordo di un veicolo che subisce un urto. Non è una simulazione computerizzata ma qualcosa di reale, un modo alternativo per replicare le accelerazioni di impatto di un’auto coinvolta in un incidente stradale».  Va detto che JADA è stato progettato non solo per replicare gli incidenti ma anche per automatizzare tutta la parte di valutazione del test, partendo da una curva accelerometrica pregressa che viene data in pasto al robot.

Dal passato al futuro

A differenza dei crash test tradizionali, nei quali si può tutt’al più variare la velocità di impatto, JADA consente di intervenire anche sulla curva accelerometrica. Il robot viene di fatto istruito a replicare un impatto pregresso di cui si conosce la dinamica reale. «Replicare un incidente non è semplice», ci tiene a sottolineare Valerio Matarrese, «ma le esperienze del passato ci consentono di avere una grande base dati proveniente dai crash test per sviluppare protocolli personalizzati in base alle esigenze del cliente».

Tutto passa da una minimizzazione dell’errore sui tre assi o su uno dei tre (quello ritenuto più importante da un punto di vista della dinamica di crash). Nello specifico, un algoritmo sviluppato ad hoc permette al robot di apprendere le differenze fra il movimento eseguito e quello richiesto e di ripeterlo finché non rientra entro limiti di tolleranza predefiniti. Inoltre, per ridurre al minimo l’errore, la scatola nera viene alloggiata in un supporto leggerissimo e rigidissimo in alluminio e fibra di carbonio che annulla tutte le vibrazioni potenzialmente in grado di alterare le rilevazioni del segnale. Per lo stesso motivo, il robot è stato circoscritto all’interno di una cella di sostegno dalla massa imponente (circa 1,3 tonnellate).

 

 














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