La transizione digitale? Saranno le imprese trasformative a guidarla

di Piero Formica* ♦︎ Le imprese trasformative mettono in discussione il Pil, che misura la produzione trascurando il ben-essere individuale e sociale. Non aspirano a creare una rendita economica e utilizzano i profitti prima per sostenersi e rinnovarsi. E solo dopo per restituire denaro agli azionisti. Non si limitano a riformare: vogliono rivoluzionare

A guidare la trasformazione digitale sono le imprese trasformative. È con esse che si affronta il futuro con ottimismo per dotarsi di una buona salute fisica e mentale, e agire affinché le altre specie viventi e la natura possano godere della stessa salute. Intelligenza artificiale, scienza dei dati, tecnologie mobili, internet delle cose e tante altre novità sono energie che innescano processi originali. I loro protagonisti non sono i riformisti, ma i rivoluzionari. Diamo loro il nome di ‘Trasformatori’, in analogia con il trasformatore elettrico, perché muovono quelle energie verso l’utilizzo.

Trasformatori ‘dadaisti’, ‘cubisti’ e ‘surrealisti’

Richard Phillips Feynman ha ottenuto il Nobel per la fisica nel 1965

Il Trasformatore si comporta come Richard Feynman. Il pioniere nel campo dell’informatica era incantato dall’ampiezza del mondo che affrontava consapevole di non sapere cose stesse facendo. Il saper immaginare è in cima ai pensieri dei Trasformatori che rifiutano gli standard della società attuale, credendo che le norme sociali imposte e le aspettative coltivate siano diventate obsolete. Li si potrebbe definire ‘dadaisti’. Tra loro, alcuni rappresentano la trasformazione da molteplici di punti di vista per inquadrarla in un contesto più ampio. Sono assimilabili ai ‘cubisti’. Altri, al pari dei ‘surrealisti’, disegnano la trasformazione con scene illogiche, strane creature, elementi sorprendenti e accostamenti inaspettati. Dunque, modi di pensare e poi di agire divergenti, come accade frequentemente.







Nuove tecnologie e nuove metriche; imparare ad apprendere e sperimentare l’arte della trasformazione per…

Per aver successo, la trasformazione richiede un vocabolario condiviso affinché sia agevole per le idee comunicare tra loro. Altrimenti, diventando estremamente faticoso avanzare lungo il sentiero della trasformazione, le probabilità di buon esito si riducono al lumicino. Qui i Trasformatori fanno loro il pensiero di Bertrand Russell, puntando su un disaccordo intelligente anziché sul consenso passivo. Sarà il contrasto costruttivo a tradursi in un accordo veicolo di trasformazione. Pensato per il mondo soggettivo e qualitativo della possibilità, non per quello matematico e statistico della probabilità, il linguaggio dell’incertezza a loro comune facilita il raggiungimento del consenso. Come valutare i Trasformatori in corso d’opera? Cambiano le tecnologie e, conseguentemente, le metriche di valutazione. Ci viene incontro il modello, disegnato dal Santa Fe Institute, di valutazione delle classifiche ispirato alla fisica. Secondo Cantwell e Moore, due ricercatori di quell’Istituto, un problema delle classifiche è che di solito sono discrete, cioè seguono i numeri interi: 1, 2, 3 e così via. Questo ordinamento suggerisce che la distanza tra il primo e il secondo classificato sia la stessa tra il secondo e il terzo. Ma non è così. È meglio ricorrere a un sistema che valuta le classifiche adottando la numerazione continua. Una classifica potrebbe assegnare qualsiasi numero reale – numero intero, frazione, decimale ripetuto all’infinito – a un trasformatore.

Ia, data science, Iot e tecnologie mobili sono alla base della trasformazione. I trasformatori hanno il compito di creare ponti tra le diverse discipline così da cogliere i risultati delle scoperte

…fondare imprese scientifiche

I trasformatori creano gli artefatti per la nascita di imprese scientifiche che, a differenza di quelle nate nel corso delle rivoluzioni industriali, non si limitano ad ampliare i poteri fisici dell’uomo, ma ingrandiscono i poteri della mente. I trasformatori svolgono questo compito gettando ponti tra le diverse discipline affinché si possano cogliere i risultati delle scoperte che altrimenti resterebbero confinate nel ristretto mondo della specializzazione. I trasformatori possiedono due porte. La porta primaria dà l’accesso ai risultati a coloro che ne possono afferrare il contenuto. La porta secondaria dà accesso ad altri capaci di estendere il significato della portata dei risultati. Due porte indispensabili. Basti ricordare che a un’intera generazione sfuggì il concetto di Mendel sulle leggi della genetica perché la sua pubblicazione non raggiunse quanti erano in grado di intenderlo ed estenderlo.

L’impresa trasformativa ha una visione dell’economia che…

L’impresa trasformativa è consapevole del fatto che la visione standard dell’economia non regge di fronte al manifestarsi di eventi traumatici, dalla bancarotta dell’impresa al susseguirsi di crisi finanziare ed emergenze pandemiche. Messi di fronte a situazioni difficilmente prevedibili o impossibili da pronosticare, sono infinite le opzioni aperte. Di queste ne conosciamo solo alcune. Le nostre risposte non possono che essere emergenziali. Viviamo nel regno dell’incertezza e dell’ambiguità che esclude un’economia stabile seppur attraversata da momenti ciclici. In queste circostanze a correre i rischi maggiori sono i lavoratori licenziati che, oltre agli emolumenti mancanti, vedono il loro capitale di competenze messo a repentaglio tanto più quanto più esso era specifico all’azienda che li impiegava. Altrettanti rilevanti sono le incognite cui vanno incontro i fornitori dell’impresa in difficoltà. A differenza degli azionisti che possono agevolmente differenziare il loro patrimonio finanziario, i fornitori incontrano maggiori difficoltà nella diversificazione del loro portafoglio di ordini.

L’impresa trasformativa sposta la sua attenzione e le risorse disponibili dalla risoluzione dei problemi ereditati dai comportamenti conformi alla visione standard allo sfruttamento delle opportunità nascenti da una nuova visione che la pone all’ascolto della natura di cui ne riconosce la rilevanza, rendendosi conto che la sua attività poggia sul valore generato dagli ecosistemi naturali. Secondo quanto riferisce l’ambientalista statunitense Peter Barnes, «la fornitura di acqua dolce, la formazione del suolo, il ciclo dei nutrienti, il trattamento dei rifiuti, l’impollinazione, le materie prime e la regolazione del clima hanno un valore compreso tra 25 e 87 trilioni di dollari l’anno», da confrontare con un prodotto lordo mondiale in termini nominali intorno ai 94 trilioni di dollari a maggio 2021. Conseguentemente, l’impresa trasformativa si fa carico di proteggere la ricchezza donata dalla natura a tutti i viventi e alle generazioni future. Lo fa con programmi durevoli che imprimono una svolta trasformativa verso il ben-essere, diversamente dai programmi temporanei che accendono fuochi di paglia che sono fumo per gli occhi.

…non la imprigiona nella scatola dei dati

Le imprese trasformative hanno assimilato la lezione dei maestri del passato che l’economia non è una fortezza con spesse e alte mura erette dagli economisti matematici con i Big Data. L’economia fa parte di un mondo che è un libro aperto. Nella sua scrittura, ci sono al lavoro teorici che non vincolano il loro pensiero all’interno della scatola dei dati, e narratori che possono influenzare sostanzialmente il comportamento delle persone su come rispondere a un evento raccontato in opere di finzione, prima o in assenza di fatti. Riconoscendo che la creazione di ricchezza è un processo non ristretto agli imprenditori e agli azionisti, ma inclusivo dei lavoratori e dell’ambiente naturale e della società civile, l’impresa trasformativa ricalibra il profitto e mette in discussione il Pil che misura la produzione trascurando il ben-essere individuale e sociale. Essa non aspira a creare una rendita economica per sé e per gli azionisti, dal momento che i suoi profitti, allineati ai costi dell’investimento e del personale, sono utilizzati prima per sostenersi e rinnovarsi e poi per restituire denaro agli azionisti.

L’umanità ha bisogno di imprese trasformative. Il loro sviluppo è accattivante giacché non trascurano il bene collettivo quando mobilitano le risorse per salvaguardare i propri interessi.

*Piero Formica è Professore di Economia della conoscenza. Senior Research Fellow dell’International Value Institute, Maynooth University, Irlanda. Docente e advisor, Cambridge Learning Gateway, Cambridge, UK. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale














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