Packaging: è ora di puntare su nuovi modelli di business basati sul digitale. Con Ucima

di Piero Macrì ♦︎ Il settore sta accusando i crescenti costi di energia e materie prime. La soluzione? Produzioni più flessibili, una riforma degli incentivi, virtual commissioning. La servitizzazione per generare nuovi ricavi. Il futuro? Sarà sull'aftersales. Ce ne parla Gian Paolo Crasta

Impianto per il confezionamento di bevande

Dopo un triennio in ottovolante, nel 2022 il mercato delle macchine italiane del packaging si assesta a quota 7 miliardi e 986 milioni di euro, in calo del 3% rispetto al 2021 (8,4 miliardi). Un valore di poco superiore al risultato pre-Covid del 2019 (7,8 miliardi). Per quanto riguarda i volumi, la quota maggiore è associata al food & beverage (circa 60%), a seguire pharma e cosmetica, tissue, tabacco e beni durevoli. Nonostante la domanda interna sia aumentata dell’1,3%, arrivando a 1,8 miliardi, il big business continua ad essere l’export che, pur registrando una flessione del 4,3%, movimenta un giro d’affari di 6,18 miliardi. Un comparto, colonna portante del machinery italiano, tra i più forti al mondo e fiore all’occhiello del Made in Italy, che annovera aziende di fama internazionale come Ima, Marchesini, Coesia, Sacmi, Cmi Industries, Goglio, Aetna Group (Robopac Ocme), Cavanna Spa, Arol.

Le nuove sfide? La creazione di nuovi modelli di business basati su servizi digitali, la flessibilità di produzione in risposta alla personalizzazione di massa e l’adeguamento ai nuovi regolamenti europei che tendono a privilegiare il riuso al riciclo. Quali le soluzioni perché i costruttori di macchine possano continuare a essere competitivi? Come risolvere le conflittualità di un mercato condizionato da politiche di eco-sostenibilità e quali le opportunità che derivano dalla servitizzazione? Ecco le riflessioni emerse dall’incontro di Industria Italiana con Gian Paolo Crasta, direttore esecutivo di Ucima (Unione Costruttori Italiani Macchine Automatiche per il confezionamento e l’imballaggio). «Nel 2022 non ci sono state variazioni sostanziali nelle dinamiche del mercato. A differenza di alcuni settori dei beni strumentali, in primis la macchina utensile, in cui la domanda interna pesa in maniera importante, tra il 40%-60%, nel packaging la percentuale export è sempre nel range 75%-80%», afferma Crasta. Un comparto che regge bene agli urti. In massima parte le macchine del packaging sono utilizzate per produrre beni primari, cibo, bevande e farmaci, una peculiarità che rende il settore meno vulnerabile di altri alla volatilità dei cicli di investimento.







Secondo Ucima, il nuovo anno si annuncia positivo ma persistono tutta una serie di incognite. Riforma degli incentivi, la situazione politica internazionale, la crisi energetica, l’aumento dei costi e delle materie prime, scarsità di componenti. Impossibile ipotizzare lo scenario di fine anno. Il chip shortage sarà una costante anche nel 2023 e le supply chain ne continueranno a risentire. Ci sono però una serie di segnali incoraggianti: i grandi produttori di semiconduttori stanno valutando una serie di investimenti per spostare parte della produzione in Europa. I tempi sono però lunghi. Le criticità, quindi, rimangono. Come osserva Crasta, la soluzione non è semplice: «Cambiare componenti è un’operazione molto complessa, non sempre praticabile, soprattutto quando si parla di dispositivi che hanno a bordo un’elettronica avanzata. Spesso significa re-ingegnerizzare le macchine. Il packaging italiano lavora con le più grandi multinazionali del mondo e queste hanno specifiche di fornitura molto stringenti. Raramente viene accettato un cambiamento: quelle sono le specifiche e quelli sono i componenti che si devono fornire».

 

Reinterpretare gli incentivi in funzione della progressiva trasformazione del mercato

Gian Paolo Crasta, direttore esecutivo di Ucima

La riforma degli incentivi su cui sta lavorando il Governo potrebbe rallentare la domanda italiana? «Certo che sì, ma alla luce della trasformazione del mercato, che da vendita di prodotto tende progressivamente a focalizzarsi sul product as a service va però fatta un’osservazione, dice Crasta. Il credito fiscale è una misura che promuove l’acquisto di un bene o non di un servizio, privilegia una logica capex e non opex. Pay per use, pay per performance, guardando alla futura evoluzione del machinery sarebbe opportuno incentivare e sostenere questo nuovo scenario». Insomma, servono misure che diano slancio a una domanda e offerta di servizi digitali. D’altra parte, come afferma Crasta, «Un macchinario non viene più valutato in base alle performance all’acquisto, ma per le prestazioni che mantiene nel corso dell’intero ciclo di vita. Se il mercato non si apre a questa nuova prospettiva, si rischia di fare perdere al manifatturiero italiano la spinta alla servitizzazione, un elemento di cambiamento che permetterebbe a tutti i costruttori di essere più competitivi e guadagnare punti sulla concorrenza a basso costo dei paesi emergenti».

Come dire, più il costruttore sviluppa macchinari intelligenti, predisposti ai servizi digitali, più opportunità vi sono per dominare un’importante fetta del mercato. Certo, come in tutti i mercati in cui si assiste a un forte cambiamento, c’è chi potrebbe essere tentato di presidiare un mercato tradizionale, nella consapevolezza che questo continuerà a esistere, ma non all’infinito. Astenersi dall’offrire servizi digitali è dunque una scelta che, in prospettiva, potrebbe condurre a un capolinea. Soprattutto, non permetterebbe di avere dalla propria parte i clienti più innovativi, che con il passare del tempo selezioneranno i fornitori sulla base dei servizi digitali associati alla macchina.

 

Riuso o riciclo? Le nuove disposizioni europee che mettono sotto pressione il settore del packaging

nel 2022 il mercato delle macchine italiane del packaging si assesta a quota 7 miliardi e 986 milioni di euro, in calo del 3% rispetto al 2021 (8,4 miliardi)

Esiste un ulteriore elemento di disturbo per il packaging: è il nuovo regolamento europeo per il confezionamento e imballaggio che dovrebbe essere introdotto a breve. A fine novembre la Commissione europea ha infatti proposto un cambiamento sostanziale alla gestione dei rifiuti da imballaggi. La proposta prevede una massiccia introduzione degli imballaggi riutilizzabili in sostituzione di quelli monouso. Eppure, una recente analisi sul ciclo di vita sembrerebbe dimostrare che l’introduzione di imballaggi riutilizzabili al posto di quelli monouso in carta sia una scelta di gran lunga meno sostenibile. Gli imballaggi monouso in carta, infatti, sono a base di materia prima rinnovabile e sono ampiamente riciclati in tutta Europa. Nel 2021 in Europa sono stati riciclati l’82% degli imballaggi in carta.

Tra gli Stati membri più virtuosi, l’Italia, dove il tasso di riciclo ha superato l’86%, raggiungendo con ampio anticipo il target definito dalla Commissione per il 2030. «L’orientamento attuale tende a imporre il riuso a scapito del riciclo. Una inversione di rotta che non convince, dice Crasta. Abbiamo sviluppato le tecnologie per il riciclo completo degli imballaggi e abbiamo avuto sempre un ruolo da protagonisti per portare la filiera a raggiungere importanti risultati in termini di circular economy, contribuendo a sviluppare quell’italian way to circular economy che è uno dei vanti del nostro Paese». Quindi, che fare? «Come Associazione stiamo lavorando per presentare le istanze del nostro settore. Quale che sia la decisione è bene però che venga presa in fretta. Vivere nell’attesa non aiuta. Chi vuole investire vuole chiarezza», afferma il direttore esecutivo di Ucima.

 

Servizi digitali, l’Industry 4.0 ridefinisce l’aftersales, che diventa a portata di piccola e media azienda

Per quanto riguarda i volumi, la quota maggiore delle macchine del packaging è associata al food & beverage (circa 60%), a seguire pharma e cosmetica, tissue, tabacco e beni durevoli. Nonostante la domanda interna sia aumentata dell’1,3%, arrivando a 1,8 miliardi, il big business continua ad essere l’export che, pur registrando una flessione del 4,3%, movimenta un giro d’affari di 6,18 miliardi

Virtual commissioning, controllo e collaudo da remoto. L’emergenza sanitaria ha accelerato l’adozione del digitale. Il collaudo di macchine e linee lo si fa online. Vale altrettanto, quanto meno per una quota parte, per i servizi di manutenzione. In altre parole, i servizi digitali sono ormai decollati. «Certo, il livello di digitalizzazione non è omogeneo né nell’offerta né nella domanda, dice Crasta. E’ comunque la tendenza del futuro sulla quale tutti stanno lavorando. Le aziende che più hanno lavorato su questi temi stanno iniziando a rendersi conto che il digitale aiuta a fare business. Chi riesce a muoversi velocemente, mettendo insieme dei servizi di buon livello, che trovano riscontro in quella che è la domanda latente del mercato, da qui a dieci anni avrà dei ritorni molto interessanti. Non è una novità, è vent’anni che si dice che il futuro sarà l’aftersales.

In passato era una prerogativa delle sole grandi aziende, quelle che si potevano permettere una presenza capillare nelle diverse aree geografiche. Ora diventa a portata di piccola e media azienda. Insomma, il digitale sta riducendo il gap competitivo. Come osserva Crasta, «Si possono introdurre dei servizi di base, di remote condition monitoring e analisi predittiva, senza dover sostenere costi eccessivi». E per accelerare questi cambiamenti Ucima è attiva nella consulenza e nella formazione. «Stiamo cercando di accompagnare le aziende nel percorso di trasformazione digitale. Lo facciamo con una scuola di formazione che eroga circa 300 corsi all’anno, tra cui quelli sulla servitizzazione, sulla cybersecurity, sull’ecodesign, insomma, sulle competenze più importanti per le aziende che operano nel settore», racconta Crasta.

 

Servitizzazione, la leva per la generazione di nuovi ricavi basati sull’Industrial IoT

Un comparto, quello delle macchine per packaging, colonna portante del machinery italiano, tra i più forti al mondo e fiore all’occhiello del Made in Italy, che annovera aziende di fama internazionale come Ima, Marchesini, Coesia, Sacmi, Cmi Industries, Goglio, Aetna Group (Robopac Ocme), Cavanna Spa, Arol.

In generale, perché la servitizzazione abbia successo, vale un principio di massima: minore è il numero di dati raccolti, maggiore è la qualità del servizio. «Occorre riuscire a comprendere quali sono i dati che servono davvero per monitorare lo stato di funzionamento di un componente. E in questo senso viene in aiuto l’intelligenza artificiale», dice Crasta. Il condition monitoring va poi visto come leva per determinare un allungamento del ciclo di vita del prodotto. O meglio, per garantire un mantenimento delle performance attese. «Il decadimento delle prestazioni dovuto all’età del macchinario lo si può minimizzare reagendo con una logica preventiva o predittiva, afferma Crasta. Nell’aftersales tradizionale i guasti sono una fonte di ricavi ma i costi che un oem deve sostenere per mandare un tecnico sul posto, magari dall’altra parte del mondo, non sono indifferenti».

Quindi, meglio introdurre dei servizi digitali: si evita il fermo, si riducono i costi della trasferta e il cliente è più soddisfatto. E per quanto riguarda il ciclo di vita del prodotto va poi fatta un’ulteriore considerazione. Le macchine progettate per il digitale hanno un ciclo d’innovazione molto più rapido di quelle tradizionali. Questo significa che, molto probabilmente, i clienti le vorranno aggiornare con più frequenza. «Una macchina che dura per 20 anni va bene per un mercato statico, dove la percentuale d’innovazione richiesta è pressoché nulla, spiega Crasta. Un prodotto flagship di una grande azienda del food è oggi sicuramente diverso da quello degli anni Sessanta. Il prodotto è lo stesso, ma ha formati e confezioni che si sono adattate al cambiamento dello stile di vita e dei consumi». E qui entra di prepotenza il tema della flessibilità ovvero la possibilità di una macchina di adattarsi ai cambiamenti di produzione. Una capacità che sarà sempre più legata al digital twin e alla progettazione virtuale basata sulla simulazione. Come dire, un domani il digital twin sarà uno standard: non vi sarà macchina che non abbia il suo alter ego digitale.

 

Flessibilità per rispondere alle nuove sfide della personalizzazione di massa

Le nuove sfide delle macchine per packaging? La creazione di nuovi modelli di business basati su servizi digitali, la flessibilità di produzione in risposta alla personalizzazione di massa e l’adeguamento ai nuovi regolamenti europei che tendono a privilegiare il riuso al riciclo

Crescita e consolidamento a livello internazionale del packaging dipendono dalla capacità di customizzare le macchine sulle esigenze del cliente. «E’ la prerogativa dei costruttori italiani. Ma la sfida è ora rendere la customizzazione un’attività perpetua». Una sfida che è anche conseguenza del cambiamento del paradigma di produzione. Sono i consumatori che decidono come produrre. Ne consegue che il cliente finale lavora sempre più per piccoli lotti produttivi: una macchina che è stata progettata per fare 100 prodotti uguali deve riuscire a produrre 100 prodotti diversi nella stessa unità di tempo.

Non solo, nel confezionamento di richiedono macchine in grado di utilizzare un materiale ecosostenibile in grado di mantenere le stesse performance di protezione. «Nel packaging si è iniziata a differenziare la produzione agendo sul confezionamento secondario ma adesso inizia a interessare anche quello primario», dice Crasta. Una tendenza che viene incentivata dal consumatore e dalle direttive in termini di sostenibilità. Ecco, quindi, la nuova sfida per l’oem: avere capacità nel riuscire a mantenere le stesse caratteristiche di produzione con materiali sempre diversi.

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 9 marzo 2023)














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