Meccanica, è crisi! Che fare? Il Paese scelga su cosa investire, altrimenti… Con Diego Andreis (Federmeccanica)

di Marco de' Francesco ♦︎ Intervista approfondita con il vicepresidente degli industriali metalmeccanici. Produzione - 0,5% ultimi tre mesi e attesa peggioramento, ridimensionamento occupazione: Italia e Europa hanno sprecato risorse. Carenza di filiere integrate e di manodopera qualificata: mancanza di attrattività. Patto Made In Italy e Invented in Italy per la Produttività: serve azione di sistema. Generazione Meccatronica: diffondere i valori dell’Industria

Diego Andreis, vicepresidente Federmeccanica, managing director Fluid-o-Tech, presidente del World Manufacturing Foundation

«Se il Patto Made In Italy e Invented in Italy non sarà sostenuto dalle istituzioni, e dal governo anzitutto? Oggi star fermi, non agire, significa arretrare, perché si perde competitività rispetto ad altri Paesi che avanzano. Il peggio è non decidere su cosa puntare, su cosa investire. È esattamente quello che il Paese e l’Unione Europea hanno fatto in questi anni: non sono stati capaci di scegliere, ed è proprio per questo che ci troviamo in questa situazione». Lo afferma il vicepresidente di Federmeccanica (con delega alla cultura d’impresa e alla comunicazione), nonché managing director di Fluid-o-Tech Diego Andreis, intervistato a latere di Mech in Italy, la due giorni dell’Assemblea Generale della federazione che rappresenta le imprese metalmeccaniche italiane nelle relazioni industriali. Il settore, con circa 100 miliardi di valore della produzione, contribuisce all’8% del Pil e al 50% dell’export del Belpaese. Occupa più di un milione di persone. Il Patto Made In Italy e Invented in Italy per la Produttività (si legga, in proposito questo articolo su Industria Italiana) è stato immaginato da Federmeccanica come uno strumento per rimettere in carreggiata il settore prima che il contesto degeneri.

Ci sono tutti i segnali di un ulteriore peggioramento: sono stati raccolti dalla 167ma Analisi Congiunturale, appena pubblicata: la produzione di comparto è in calo sui tre mesi precedenti (- 0,5%) e nella variazione tendenziale (- 2%). L’occupazione non cresce più; e si assiste a (lievi, per ora) contrazioni del portafoglio ordini e delle prospettive di investimento. Si poteva, e si doveva, agire prima, pensa Andreis. Il 2022 è stato l’anno della corsa ai rifornimenti, per reintegrare magazzini vuoti in un contesto in cui il just-in-time era tornato per sempre nel mondo delle nozioni teoriche, a causa della destabilizzazione delle filiere internazionali. Ora, con gli storage ancora carichi, sta rallentando la domanda, a causa di un clima di incertezza generale dove tra gli altri pesa il costo del denaro, mentre l’offerta soffre a causa dei costi di produzione. È un mix micidiale, rispetto al quale l’Unione europea fa fatica ad incidere, troppo concentrata nell’arginare l’inflazione con una politica forte sui tassi, ma senza una politica forte per l’industria







Mentre lavoriamo con l’Europa, il cui ruolo rimane fondamentale nello scacchiere globale, dobbiamo fare tutto quanto possibile nel Paese mettendo in moto il Patto Made In Italy e Invented in Italy. Il documento si concentra su questi temi: la generazione di manodopera qualificata, le politiche utili per la crescita dimensionali, il miglioramento della profittabilità, la promozione del merito, il sostegno all’innovazione. È un progetto di sistema, e contempla il ruolo attivo delle istituzioni, e in particolare quello dell’esecutivo. «Se sarà realizzato, grazie anche all’intervento del governo, darà una scossa notevole al settore e al Paese, perché risveglierà energie assopite» – afferma Andreis.

D: Le previsioni per i prossimi mesi sono all’insegna di un deterioramento della congiuntura settoriale con contrazioni dell’attività produttiva e ridimensionamento dell’occupazione. Per il vero, molto sembra legato a dinamiche internazionali. Secondo lei c’era qualcosa che poteva essere fatto a livello di sistema e che non è stato fatto?

Federico Visentin, Presidente Federmeccanica

R: Io penso che quando si parla di politica industriale, emerga soprattutto un tema di scelte. Bisogna decidere su cosa scommettere, cosa fare e cosa non fare: quali scommesse fare e in che modo. Tutto questo è spesso mancato in Italia; ma soprattutto è mancato in Europa dove al contrario ci si è spinti a imbucare il vicolo a senso unico dell’elettrico già consapevoli che il dominio di scala era già in mano ai Cinesi. Oggi le questioni industriali hanno enormi dimensioni, e le scelte della singola azienda, per quanto importante, o del singolo Paese sono poco incisive. Così, sono state sprecate ingenti risorse, senza risolvere i problemi incombenti. E così oggi ci troviamo di fronte al deterioramento della congiuntura settoriale: i dati sono quelli che sono, e pure l’export, che è la forza trainante del Paese, è in calo. D’altra parte, quando aumentano i tassi di interesse, sale il costo del denaro ed in un contesto di grande incertezze come quello attuale è fisiologico assistere al rallentamento della propensione all’investimento. Sono guai, soprattutto in un contesto, come quello italiano, di imprese di piccole dimensioni e che molti di questi investimenti li deve ancora fare.

D: Tra le informazioni dell’analisi congiunturale, mi ha colpito molto quella sul portafoglio ordini, con un saldo delle rilevazioni negativo seppur di poco. Il 2022 sembra un altro mondo. Cosa ha inciso in particolare? Quali sono le cause di tutto questo?

R: Anzitutto va considerato ciò che è accaduto nel 2022: si è assistito ad un movimento globale diretto all’accaparramento di beni e di materie prime. L’anno prima, con il Covid, infatti, e quindi con la disarticolazione delle filiere internazionali, i magazzini erano rimasti vuoti. L’economia ha ripreso a correre con energia, gli scambi sono cresciuti, e così il 2022 è stato un anno record in molti settori, per volumi e fatturato; e in alcuni anche per marginalità. Nel 2023, invece, stiamo vivendo un passaggio molto diverso, quello della normalizzazione degli stock, con conseguente riduzione dei giri di magazzino e decremento della liquidità. Io penso che non si tornerà mai più al just-in-time in stile giapponese, ma il de-stocking era prevedibile. Il problema è che ora a tutto questo si associa una diminuzione della domanda, una parte della quale è soddisfatta con risorse di magazzino, e un calo degli investimenti.

D: In questo contesto, regge l’interscambio di settore. Perché?

R: Sì, regge ancora sebbene sia in lieve diminuzione. D’altra parte la meccanica rappresenta il 50% dell’export nazionale; le esportazioni sono sempre state un punto di forza per il comparto. Cambiano, però, le quote dirette ai Paesi destinatari. Al di là dell’importante riduzione di quelle con la Russia e l’Ucraina, cala l’export verso la Cina ed aumenta quello verso gli Stati Uniti, l’economia e la valuta più forte, in questo momento.

D: L’impatto dei prezzi dell’energia e delle materie prime sui costi di produzione riguarda il 68% delle aziende di settore, il 5% di questa percentuale pensa di chiudere. Quali sono le conseguenze dell’incidenza sul Mol? Che cosa si può fare?

Assemblea Generale di Federmeccanica

R: Direi che vanno dette due cose distinte. La prima è che attualmente i costi dell’energia non sono così alti come nel 2022; quanto a quelli delle materie prime, a causa del citato fenomeno dell’accaparramento e delle disruption sulle filiere, erano cresciuti molto, e sono ancora alti a causa del fatto che le filiere sono servite da materiali che incorporano ancora i prezzi energetici del periodo precedente. Ma razionalmente ci si attende un calo consistente nel 2024 se non cambiano nuovamente le condizioni al contorno. Non ci sono d’altra parte segnali per un ritorno ai costi pre-crisi. La seconda, invece, è che molte aziende intermedie non hanno la capacità di ribaltare questi aumenti sui loro clienti; in Italia, infatti, si tratta di Pmi che spesso non hanno questo potere contrattuale all’interno della filiera. Diverso il caso dell’azienda che offre un prodotto che incorpora una tecnologia particolarmente differenziante. Questo è un’ulteriore motivo per cui l’Italia deve scommettere su ricerca e sviluppo ed evoluzione dell’offerta.

D: Manodopera qualificata, politiche per la crescita dimensionale, profittabilità, merito, innovazione: questi i temi del Patto. Dove si situa il problema della carenza di filiere integrate in alcuni settori della meccanica?

R: Le grandi trasformazioni industriali, come quelle che stiamo sperimentando con la doppia transizione digitale e ecologica, si realizzano più agilmente lì dove sono presenti i campioni di filiera. Lo vediamo nell’automotive: il settore manca (in Italia) sia di importanti costruttori (in paragone a Volkswagen, ad esempio) che di Tier1 (delle dimensioni e della capacità di controllo di Forvia, ad esempio). Altrimenti, le aziende sono lasciate sole, devono vedersela da sole di fronte a sfide talora più grandi di loro. In Germania il sistema funziona meglio, perché le aziende hanno generalmente dimensioni molto più importanti, e si portano dietro l’indotto locale; se poi cercano supplier di altri Paesi, lo fanno per cercare tecnologie più performanti e competitive ed è qui che spesso l’Italia ha trovato un suo ruolo.

Cosa si pensa della fabbrica?

D: Manodopera: c’è una carenza qualitativa, ma anche quantitativa. Veramente se ne esce con la regolamentazione dei flussi migratori?

R: Il tema della regolamentazione dei flussi è solo un ingrediente di una possibile soluzione, guardando all’aspetto “quantitativo”, ma non solo. La gestione di un percorso migratorio qualificato potrebbe essere una risorsa molto importante per l’industria. L’Italia, al centro del Mediterraneo, si trova in una posizione strategica; dovrebbe dar vita ad un modello in grado di “filtrare” le competenze in entrata. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra la selettività e l’attrattività. Poi c’è un tema di orientamento, che riguarda i nostri ragazzi: da anni esiste il problema del mismatch tra domanda e offerta, soprattutto per quelle professioni che servono nella fase strategica della doppia sfida ecologico-digitale. Dalla nostra ultima indagine emerge che il 70% delle imprese intervistate non riesce a reperire sul mercato profili con le professionalità richieste dalle aziende. Talvolta i ragazzi scelgono strade che non portano da nessuna parte; Invece, noi dobbiamo trovare un sistema molto più allineato tra scuola, impresa, atenei, e altre istituzioni, in modo da consentire ai giovani di individuare i talenti, e le passioni, di cui sono portatori, e di svilupparli.

D: Quali sono i punti forti di Generazione Meccatronica (campagna culturale di Federmeccanica rivolta ai giovani ed alla società civile per far comprendere le opportunità di lavoro e di crescita professionale nelle fabbriche del futuro e come l’Industria sia profondamente cambiata rispetto ai canoni della Fabbrica Fordista)?

R: Il punto forte è quello di dar vita ad una nuova comunicazione, un nuovo racconto realizzato con nuovi strumenti e nuove persone. È per questo che abbiamo portato sul palco Greta Galli, ventenne influencer (su Tik Tok ha centinaia di migliaia di follower) di materie Stem e soprattutto di robotica. Se vogliamo parlare ai giovani, dobbiamo farlo con il loro linguaggio. E dobbiamo trovare più ambasciatori e ambasciatrici della fabbrica del futuro. Come imprese, poi, abbiamo una grande responsabilità di continuare con coraggio e visione a guidare la trasformazione delle nostre imprese tirandoci dietro tutto il settoreed il sistema.

La ricerca del lavoro: una transizione culturale

D: Il 57% delle imprese intervistate non ha usufruito degli incentivi per la spesa in ricerca e sviluppo a causa della non rispondenza alle esigenze aziendali, mentre le difficoltà burocratiche nella fase d’accesso sono state segnalate nel 19% dei casi. Cosa si può fare per l’innovazione?

R: Molto semplicemente, per consentire alle aziende di usufruire degli incentivi per la spesa in ricerca e sviluppo, occorre semplificare, intensificare e comunicare. Gli incentivi devono essere sistematici, e non occasionali; e l’accesso a tali strumenti deve essere agevole e lineare. Peraltro, è opportuno che questi aiuti siano ben comunicati, ben spiegati nella forma e nei contenuti. Oggi all’azienda vengono segnalati bandi in continuazione; ma è difficile che la piccola impresa disponga delle risorse interne per capire cosa deve fare, come deve farlo e se le conviene farlo. Talvolta si parte con entusiasmo, ma appena si comprende la complessità delle procedure, si lascia perdere. È chiaro che così si perdono tante opportunità. La grande industria è invece strutturata, e quindi è in grado di affrontare complicati bandi europei. Bisognerebbe poi semplificare e unificare gli strumenti di rendicontazione.

D: Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro Esg, su cui punta Federmeccanica, è veramente una priorità?

Carlo Bonomi, presidente di Confindustria

R: Il tema degli Esg è prioritario e non solo per Federmeccanica: lo è per tutti. Quindi, riuscire a collegare il contratto collettivo alle tante dimensioni della sostenibilità è una bellissima idea. Potrebbe peraltro costituire un esempio virtuoso per altri settori. Non sarà sfida semplice perché il contratto non ha una sola valenza di principio: dev’essere pratico, operativo, applicabile. Si tratta di prendere delle idee, ad esempio la formazione obbligatoria, e calarle nella realtà di fabbrica. Non è immediato, ma è una sfida che abbiamo deciso di affrontare, anche come gesto di responsabilità per proiettarci verso il futuro ed essere, ancora una volta, esempio per il sistema.

D: Cosa succede se il Patto Made In Italy e Invented in Italy per la Produttività non viene realizzato? Prevede un’azione di sistema che coinvolga inevitabilmente le imprese e l’assetto istituzionale, e quindi il governo – che potrebbe non aderire facendo saltare il banco.

R: Mettiamola così: viviamo in un periodo storico in cui le traiettorie non sono più lineari, ma esponenziali. Cosa voglio dire? Si torna al problema delle scelte: se un Paese fa quelle giuste, e un altro fa quelle sbagliate o non fa niente, che forse è anche peggio, la forbice fra questi due Paesi si allarga in brevissimo tempo. Uno diventa molto più competitivo, mentre l’altro precipita subito. Il divario si approfondisce e diviene difficilmente colmabile. Quindi, c’è l’urgenza di fare le cose, di agire, rimettendo l’industria e le persone al centro; anche perché, come abbiamo detto, se la situazione attuale è quella che è, ciò è dovuto appunto al fatto che siamo rimasti fermi per troppo tempo. Sono peraltro convinto che se il Patto fosse portato avanti dall’industria, dalle Parti Sociali e dalle istituzioni, emergerebbe il genio italiano, e sarebbe una scossa importante per la manifattura e per l’economia di questo Paese. Uno scatto straordinario, perché libererebbe tante energie che per molto tempo sono rimaste silenti.














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