Eni: in Libia fermo un milione di barili di petrolio

La crisi ha coinvolto anche il Cane a sei zampe. Descalzi: «Tutto il nostro sforzo è per tutelare gli asset in loco e i dipendenti»

Eni ha inoltre fin dall’inizio incluso nella propria strategia un percorso di abbattimento anche delle emissioni Scope 3

Una storia nata nel lontano 1959, e che ora rischia di vacillare. Sono più di 50 anni che Eni è presente in Libia, attiva nei settori Exploration & Production e Gas & Power nell’offshore di fronte alla città di Tripoli e nel deserto, ma le recenti vicissitudini politiche stanno rendendo la permanenza sul territorio dell’azienda guidata da Claudio Descalzi sempre più complicata.

«La situazione in Libia è molto difficile per noi perché da tre settimane abbiamo un milione di barili fermo – commenta Claudio Descalzi – Questo non sta impattando sul prezzo dell’olio perché è sceso, ma è un numero davvero alto: un milione di barile vuole dire tanto per la Libia dato che, oltre alle spese ordinarie degli stipendi, ci sono anche da pagare i medici e i medicinali. È una guerra nella guerra».







Secondo gli ultimi dati diramati dal Gruppo, Eni possiede in Libia 11 titoli minerari (4 permessi esplorativi e 7 produttivi), regolati da contratti di Exploration and Production Sharing Agreement (Epsa). Nel corso del 2018 le attività di sviluppo hanno riguardato l’avvio produttivo del progetto offshore di Bahr Essalam fase 2, con la messa in produzione di 10 nuovi pozzi offshore e il completamento delle attività di potenziamento degli impianti di trattamento gas a Mellitah e Sabratha, che hanno incrementato la capacità di trattamento fino a 1.100 milioni di piedi cubi al giorno.

Claudio Descalzi all’inaugurazione dell’Hpc5 di Eni

Ma ora, più che alla ricerca di nuovi siti, si pensa al mantenimento degli asset in loco e alla tutela dei dipendenti. «La nostra attenzione – prosegue Descalzi – ora è sulle persone e sulla manutenzione, tutto lo sforzo è tenere gli asset con la massima attenzione ed essere sicuri che le persone siano in una condizione assolutamente sicura. Ora siamo preoccupati: noi abbiamo più di 5.000, 6.000 persone e dobbiamo cercare di capire se riusciremo a pagar loro i salari».

Una situazione estramemente critica quella dello stato Nordafricano, che ora è un Paese che può rischiare il collasso se non ritorna la produzione. E che può davvero nuocere al Cane a sei zampe. «La crisi libica in questi ultimi due anni ha avuto un impatto su tutto quello che si poteva fare per migliorare la situazione produttiva – conclude Descalzi – E adesso la nostra equity è bassa, saremo sui 150mila barili. Eravamo a 250mila, 300mila, ma adesso sono 100mila in meno, dipende da giorno in giorno».














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