E adesso? Come si fa con la Cina?

di Laura Magna ♦︎ Anche nel New Normal post Covid il Dragone resta centrale per l'approvvigionamento e l'export. Guida pratica a tutte le novità da conoscere. Le nuove procedure per l'import. Le regole per i viaggi. Il framework strategico. La gestione di manager in Cina. La opportunità per vendere e le fiere

Più agili le importazioni di dispositivi medici dalla Cina all’Italia, quasi impossibile movimentare buyer ed export manager dentro i confini della Terra di Mezzo. Mentre diventa cruciale avere un risk management che inglobi il rischio pandemia nella pianificazione, soprattutto per le attività che hanno rapporti con Pechino e dintorni.

Il Covid-19 ha cambiato qualcosa per sempre: per riuscire a muoversi nel next normal, per fare affari con la Cina bisogna seguire regole nuove. Per capire quali, abbiamo scritto una guida pratica con i contributi di Anra, l’associazione italiana dei risk manager; e della Fondazione Italia Cina.







Le imprese manifatturiere italiane di diverse filiere strategiche (automotive, tessile, pharma e meccanica) dipendono strettamente dalla Cina per quanto riguarda le forniture. Il Covid ha causato dunque come primo effetto (prima ancora che arrivare in Italia) la rottura delle supply chain. Le attività industriali si sono dunque fermate prima del lockdown perché le forniture di componenti essenziali, dai tessuti, alle parti meccaniche, alle molecole di base hanno smesso all’improvviso di arrivare e i magazzini si sono rapidamente svuotati. Questo della supply chain è diventato un tema cruciale: per garantirsi in futuro la business continuity, le imprese non potranno più prescindere dalla diversificazione e dall’accorciamento delle catene. Mutano le condizioni relative a import ed export, il modo di viaggiare per lavoro, l’approccio al digitale e la frequentazione delle Fiere. Vediamo punto per punto come e con quali strumenti le imprese possono adeguarsi.

 

1. Ripartire in sicurezza: procedure semplificate per l’import di dpi e altri beni dalla Cina

  • Sdoganamento diretto

L’Agenzia delle Dogane dal 30 marzo ha stabilito lo sdoganamento con svincolo diretto, tramite autocertificazione, per l’importazione di dispositivi di protezione individuale necessari per l’emergenza sanitaria da Coronavirus.

  • I casi in cui non si pagano Iva o dazi

Non è previsto il pagamento di Iva o dazi nel caso in cui ricorrano contemporaneamente le tre seguenti condizioni: 
l’importatore indichi e provi che il destinatario finale è un ente o organizzazione di diritto pubblico, un altro ente a carattere filantropico o un altro ente autorizzato dallo Stato; 
i beni devono essere distribuiti gratuitamente per far fronte all’emergenza; si tratti di beni destinati al contrasto emergenza Covid o destinati alle unità di pronto soccorso per far fronte alle proprie necessità.

  • Destinatari dell’agevolazione

Le regole sono applicabili se gli importatori sono Regioni e Province autonome; Enti territoriali locali; Pubbliche amministrazioni; strutture ospedaliere pubbliche ovvero private accreditate e/o inserite nella rete regionale dell’emergenza; soggetti che esercitano servizi pubblici essenziali, di pubblica utilità e/o di interesse pubblico come individuati dal Dpcm dell’11 marzo, del 22 marzo e del 25 marzo 2020. Lo svincolo diretto si rivolge dunque solo a determinati soggetti che sono quelli che svolgono attualmente servizi di pubblica utilità, e con questa procedura si possono importare sia DPI che altri beni mobili utili al contrasto del Covid.

  • Lo svincolo celere

È previsto invece uno Svincolo celere di beni mobili non DPI – pdf utili al contrasto della diffusione del virus, destinati a qualsiasi soggetto (sia privati che imprese non ricomprese nei servizi di pubblica utilità) che intenda adibire la merce al contrasto Covid-19 ma con questa procedura non si possono importare Dpi.

 

2. Viaggi di lavoro da e verso la Cina: la European Chamber informa sulle eventuali restrizioni, in base all’emergere di nuovi focolai

Un nuovo focolaio a Pechino scoppiato l’11 giugno con 100 casi confermati ha rimesso le imprese europee e italiane in allarme, tanto che la Camera di Commercio europea in Cina ha emanato alcune linee guida per gli imprenditori per i viaggi verso e da Pechino.

  • Il link per conoscere le regole per muoversi da e verso le principali città cinesi

Pechino aveva precedentemente richiesto un periodo di quarantena di 14 giorni per gli arrivi dal resto della Cina da metà febbraio a fine aprile e attuato la misura nel giro di poche ore, rendendo di fatto impossibile a chi era entrato in città tornare a casa. Questa dinamica si traduce in un rischio di costi potenziali che l’azienda deve sostenere per il personale che si trovi bloccato dalla parte sbagliata del “confine”. Le politiche di viaggio vengono aggiornate tempestivamente a questo link ed è utile consultarlo prima di mettersi in viaggio per una città cinese.

  • Incorporare il rischio pandemico nella pianificazione

Rispetto ai primi focolai la Cina ha dimostrato di voler essere oggi trasparente: questo elemento è centrale perché consente alle imprese di avere le informazioni in maniera tempestiva e intraprendere le azioni appropriate. In questo modo il potenziale rischio di nuovi focolai, sia in Cina che altrove, viene incorporato nella pianificazione. La Cina ha acquisito una grande esperienza nella gestione dell’epidemia, pertanto le società europee prevedono che il governo abbia ora meccanismi più precisi per mitigare il verificarsi di nuovi casi. Ciò richiederà, scrive la Camera di Commercio dell’Ue, “un approccio pragmatico, garantendo una coerente attuazione delle politiche a livello nazionale, per garantire che il commercio e gli investimenti continuino a fluire. Idealmente, ciò avverrà attraverso un quadro di risposta alle epidemie con misure prestabilite e trasparenti che possono essere intensificate o ridimensionate secondo necessità. Ciò consentirebbe alle aziende di creare i propri protocolli per rispondere ai requisiti normativi e di sicurezza messi in atto”.

Al fine di aiutare le aziende e gli individui a pianificare i loro viaggi da e verso diverse città / regioni della Cina, la Camera europea ha compilato l’elenco seguente, che include le politiche di quarantena di Pechino; Chongqing; Chengdu; Guangzhou;
Nanchino; Shandong; Shanghai; Shenyang; Shenzhen; Tianjin; e Altre regioni: Daqing, Ha’erbin

3. Questioni di strategia. La partita continua a vedere la Cina come principale campo di gioco.

  • Il Pil cinese è l’unico positivo nel 2020

La pandemia non ha cambiato un fatto: il terreno di gioco dell’economia globale è ancora la Cina. «La sfida ora è imprescindibile e per qualsiasi economia, Italia compresa, si svolge in Cina, secondo mercato mondiale dopo gli Usa. La pandemia velocizza il processo che porterà al Cina a diventare la prima economia al mondo». Il monito arriva da Marco Bettin, direttore operativo della Fondazione Italia Cina e Segretario Generale della Camera di Commercio Italo Cinese. «Certamente il Paese ha subito forti problematiche legate alla diffusione del virus, ma entrandovi prima ne è uscita prima. Il Fmi prevede una crescita del Pil cinese dell’1,2%, molto inferiore al 6% del 2019 ed è ancora più rilevante perché il 2020 doveva rappresentare l’anno in cui si sarebbe concretizzato il raddoppio del Pil dal 2010.Ma se paragoniamo la crescita cinese a quella degli altri Paesi del mondo, il gap è comunque pazzesco: per l’Italia le attese sono di un calo di oltre il 10% ma anche per gli Usa si prevede una decrescita del 6% nel 2020, e nel mondo un -3%. Alla luce di questi numeri il fatto che la Cina riesca a restare in positivo è un dato che diventa interessante».

  • Monitorare le supply chain

La rottura della supply chain è il problema maggiore che tutta l’industria occidentale ha dovuto affrontare con il blocco cinese, ma ora che la produzione industriale cinese è ripartita, c’è il problema opposto, ovvero che la domanda internazionale non è ancora a livelli pre Covid. «Oggi la produzione cinese è in magazzino e ha bisogno di andare all’estero, il renmimbi si deprezza per agevolare esportazioni. L’Italia è ripartita formalmente ma ci sarà un periodo di assestamento, perché gli ordini tornino ai livelli di gennaio devono ripartire i consumi. E questo sarà un processo più lungo e difficoltoso», precisa Bettin.

Marco Bettin, direttore operativo della Fondazione Italia Cina e Segretario Generale della Camera di Commercio Italo Cinese

4. Tra la digitalizzazione spinta e il ritorno ai mercati di quartiere: raggiungere ogni angolo del Celeste Impero nell’era post Covid con le App e le Fiere fisiche

  • Torna in auge il mercatino familiare

La Cina rappresenta dunque il maggior mercato di sbocco, come era d’altronde anche prima della pandemia. Che cosa ha portato di differente il Covid? Secondo Bettin «soprattutto importati riflessioni. A livello mondiale si sta discutendo del fallimento della globalizzazione. La Cina fa parte del sistema e si sta interrogando su cosa non abbia funzionato. Lo stesso primo ministro Li Keqiang ha riportato in auge il mercatino familiare, per riattivare il piccolo commercio. Anche in Cina si sta cercando di individuare sistemi di ritorno al passato, tornando alle origini della crescita della Repubblica popolare cinese.

  • Il boom del digital

Dall’altra parte vi è un incremento delle attività e dello sviluppo tecnologico di tutto quel mondo che rientra sotto il cappello della digitalizzaizone, con l’ecommerce, i social media, i pagamenti elettronici. Qualsiasi società è investita nel digitale, molto più di quello che nel mondo occidentale che con la pandemia si è trovato a dover agire in emergenza: la Cina invece già utilizzata questi strumenti e la sua popolazione era avvezza a queste tecnologie. Considerando l’ampiezza geografica della Cina e potenziali fasce di prossimi consumatori nelle aree rurali, la pandemia aiuterà ancora di più i sistemi digitali per le relazioni commerciali sia all’interno della Cina sia cross border. Per esempio, in Cina non è possibile vendere i prodotti in valute diverse dal renmimbi, i player internazionali che usano ecommerce hanno già supplito a queste limitazioni attraverso accordi bancari o piattaforme che convertono direttamente le valute. Quelli che non si sono dotati finora di questi strumenti, dovranno farlo».

Nel dibattito tra ritorno alle origini e sviluppo digitale, Bettin individua nelle fiere uno strumento ancora attuale e di fatto il secondo pilastro della possibile ulteriore espansione della produzione occidentale in oriente. La prossima (e l’unica del 2020) è la China International Import Expo di Shanghai, in programma dal 5 al 10 novembre, la prima fiera in Cina dedicata esclusivamente all’importazione di prodotti e servizi che incentiva la presenza di espositori stranieri, dunque è un’opportunità interessante anche per le aziende italiane che vogliono riprendere i contatti con l’Estremo oriente. «Le autorità cinesi stanno investendo molto sull’organizzazione di questa edizione come forte segnale di ripresa delle attività e dei consumi in Cina, e come tentativo di uscita dalla grave emergenza sanitaria globale. Obiettivo dell’iniziativa, promossa dal Ministero del Commercio cinese e dalla Municipalità di Shanghai, è quello di fornire nuove occasioni di business a Paesi e regioni di tutto il mondo, rafforzare la cooperazione e promuovere lo sviluppo dell’economia globale».

China International Import Expo di Shanghai in numeri

5. Import – Export Italia Cina: tra nuovi rischi e opportunità

  • L’ebook della Farnesina per fare affari con la Cina

Quello delle fiere è un canale importante ma non l’unico – soprattutto se il distanziamento sociale diventerà un’esigenza a ondate regolari. È recentissimo l’ebook della Farnesina – in collaborazione con le Regioni, Ice, Sace e Simest – che vuole essere il primo passo di un percorso che nelle prossime settimane semplificherà radicalmente l’accesso e la conoscenza degli strumenti pubblici a sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese, soprattutto potenziando gli strumenti digitali a disposizione delle pmi

  • Il worldpass delle Camere di Commercio

I servizi a disposizione delle imprese che vogliono internazionalizzarsi – o potenziare o mutare la propria strategia all’estero – sono già diversiper esempio quello offerto da Unioncamere e dagli Uffici commercio estero delle Camere di commercio italiane per il rilascio e l’assistenza completa sui documenti necessari per le operazioni di commercio internazionale e doganali.

  • L’export manager temporaneo di Simest

Oltre alla burocrazia per fare export in Cina è necessario avere le competenze: un finanziamento a tasso agevolato per l’inserimento temporaneo in azienda di export manager è offerto da Simest per conto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Il finanziamento a tasso agevolato copre fino al 100% delle spese, ha una durata di 4 anni e importo tra 25mila e 150mila euro.

  • I servizi di Sace per la valutazione dei rischi

Prima di approdare in Cina è necessario valutare le diverse tipologie di rischio (economico, monetario, Paese e tecnico): una prima analisi la si può fare sul sito di Sace-Simest con il Risk&Export Map, uno strumento online che permette alle imprese di individuare i rischi e le opportunità in circa 200 Paesi nel mondo. La Risk map permette di ottenere per ciascuna nazione la valutazione; lExport Map, invece, permette – attraverso l’Export Opportunity Index – di visualizzare le migliori opportunità per le esportazioni italiane nel mondo.

  • Strumenti per valutare il rischio di export

La valutazione del rischio è probabilmente uno degli aspetti più importanti a livello di strategia. Ne abbiamo parlato con Alessandro De Felice, presidente di Anra, l’Associazione dei risk manager italiani, che invita gli imprenditori che fanno export verso la Cina a condurre «un’analisi dei canali distributivi, che significa innanzitutto conoscere l’affidabilità degli agenti commerciali in Cina e il rating che misura il merito di credito del cliente, necessario per fissare i parametri di pagamento. Un aspetto che non può essere lasciato al caso ma va curato con molta attenzione e competenza è la comunicazione sul prodotto sia in Cina sia da noi: l’incidente di Dolce & Gabbana ha fatto scuola, e nel Celeste Impero i messaggi offensivi sono estremamente rilevanti e sentiti. L’aspetto relazionale è molto rilevante. Gli esperti di comunicazione e marketing sono in grado di fare analisi e valutazioni di quanto un messaggio può essere offensivo e discriminatorio, evitando incidenti che nel mercato cinese possono avere impatti devastanti. Il consumatore cinese ricco è esigentissimo: è disposto a spendere qualsiasi cifra per ottenere un prodotto ma in cambio si aspetta un livello di servizio altissimo. In sintesi i rischi da valutare per approdare sul mercato cinese sono tre più uno: compliance, credito, reputazionale e conoscenza della legge, che è diversa per servizi o bene e spesso anche contraddittoria tra livello regionale e livello centrale».

 

Come funziona il temporary export manager di Simest? 

6. L’importanza di adottare politiche di risk management sul fronte della supply chain

  • Occhi puntati sulle criticità dellì’import

Il Covid sposta l’attenzione sul fronte della fornitura, perché evidenzia che si sia fatto eccessivo ricorso a produzioni cinesi che da noi non esistono più, mentre l’export resta pressoché identico. «Il reshoring in alcuni casi è impossibile, per esempio non nella produzione dei tergicristalli per l’auto, o nelle mascherine. Ma è una via percorribile per le lavorazioni a elevato valore aggiunto. Ma il fronte della fornitura mette in luce soprattutto che per essere sostenibili i modelli di business devono individuare il break even point tra efficienza in termini di costi e efficienza della continuità aziendale», dice De Felice. Una rivoluzione copernicana che impone alle aziende di cambiare prospettiva e non scegliere i fornitori solo in base alla leva del prezzo.

  • Valutazione di qualità e compliace dei prodotti importati

Se si guarda alla Cina come fornitore è necessario avere a disposizione strumenti che consentano di verificare la qualità del prodotto richiesto e la sua rispondenza alle specifiche date. «È necessario inoltre assicurarsi affidabilità e continuità nel tempo del fornitore, perché non ci si trovi in breve senza stock. La crisi attuale ci ha fatto riscoprire la necessità della diversificazione delle fonti di approvvigionamento e di accorciamento della catena di fornitura. Sì alla Cina ma con giudizio, non possiamo dipendere esclusivamente da prodotti che sono a tre mesi di viaggio in container da noi, non è possibile. Questo è stato evidente a gennaio quando la catena logistica cinese si è interrotta e si bloccata la produzione anche da noi. Oggi nessuna strategia industriale può prescindere dalla valutazione della sostenibilità di una catena di fornitura che garantisca la capacità di approvvigionamento sempre», dice De Felice. Che invita a non sottovalutare comunque fattori sempre validi, come quello relativo alla compliance che ha una forte influenza sulla reputazione: «è necessario verificare le condizioni di lavoro dei dipendenti del fornitore cinese, il rispetto dei diritti umani, la qualità degli ambienti di lavoro.

  • Gli strumenti di tracking e risk assessment

Esistono strumenti di analisi che consentono di valutare i diversi passaggi critici della fornitura, sistemi di tracking e di risk assessment, che vanno dall’analisi dei termini contrattuali, all’analisi di dettaglio delle dinamiche di logistica, per vedere come effettivamente viene inviata la merce e che tipo di criticità ha il percorso e quali possono essere i rischi. Non è necessaria una crisi di dimensioni mondiali, basta anche un evento locale, come qualche anno fa un’esplosione nel porto di Tianjin, uno dei maggiori porti in imbarco verso l’Europa, perché le spedizioni abbiano ritardi clamorosi o saltino».

  • Alla ricerca del break even tra diversificazione delle filiere e redditività del business

Ci sono due interessi principali che si scontrano: nel mondo ideale dal punto di vista del risk management la priorità è avere la maggior diversificazione possibile, ma dall’altro lato bisogna guardare alla redditività del business, che necessità che capitale circolante e magazzini di materie prime e semilavorati siano il più leggeri possibili e nel contempo incentrare il rapporto in un unico fornitore consente di ottenere termini contrattuali migliori. Il mondo ideale si scontra con il mondo pratico. «Bisogna trovare per la singola azienda il punto di rottura tra l’accettazione del rischio e la prudenziale copertura del rischio stesso. Questa asticella si muoverà in funzionerà della remunerazione del rischio, il risk management si fa per correre il rischio in maniera calcolata e quindi remunerata: le aziende che avevano già rapporti con la Cina lo hanno scoperto sulla loro pelle, quelle che si devono orientare oggi verso Oriente devono tenere in considerazione questi fattori».

Alessandro De Felice, presidente di Anra

Le imprese italiane in Cina: un identikit

Quali sono, in numeri, gli interessi italiani nella Terra di Mezzo? Secondo il CeSIFCentro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina, in base ai dati Istat e a quelli della banca dati Reprint (Politecnico di Milano e Università degli Studi di Brescia), si può stimare che le imprese cinesi a partecipazione italiana siano circa 1.600, con oltre 170mila addetti e un giro d’affari di oltre 27 miliardi di euro. Ad esse vanno sommate oltre 400 imprese a capitale italiano domiciliate ad Hong Kong, le quali contano circa 20mila addetti e un giro d’affari di 8,4 miliardi di euro. Nel complesso, il numero di imprese italiane direttamente presenti in Cina o a Hong Kong con joint venture o Wfoe (Wholly Foreign Owned Enterprise, un veicolo di investimento per creare unità produttive o commerciali in territorio cinese) sfiora dunque le 2mila unità e segna comunque un sostanziale raddoppio rispetto alla situazione di inizio millennio.

L’evoluzione è risultata ben più importante dal punto di vista qualitativo, se si tiene conto che agli inizi degli anni Duemila i due terzi delle imprese italiane presenti in Cina lo erano soltanto con uffici di rappresentanza e meno di 300 erano le imprese italiane presenti con una joint venture o più raramente una Wfoe; oggi questo numero è cresciuto di almeno sette volte. Infine, nel tempo si è notevolmente allargato lo spettro dei settori di attività in cui le imprese italiane sono presenti in Cina: se negli anni ’90 gli investimenti, talvolta di carattere prettamente cost-saving, si erano concentrati soprattutto nell’automotive, nella meccanica strumentale e nelle attività manifatturiere a basso e medio livello tecnologico dei settori tipici del Made in Italy, nel nuovo millennio si sono registrati importanti iniziative anche in altri settori industriali, quali l’alimentare, i prodotti in gomma e plastica, i prodotti in metallo, i prodotti elettrici ed elettronici, e il medicale; parallelamente si sono sviluppati – a partire da una base estremamente modesta – gli investimenti in altri settori, quali l’energia, le costruzioni, il commercio al dettaglio e talune attività di servizio, come le assicurazioni, la consulenza aziendale e la logistica.

Componenti pil cinese. Fonte: elaborazioni SACE SIMEST su dati Eiu

La Cina non è soltanto un nostro mercato di sbocco di grande rilievo, ma anche un importante fornitore, il terzo dopo Germania e Francia

Secondo l’Ispi le importazioni italiane da Pechino nel 2018 sono state pari infatti a circa 31 miliardi di euro (+8,2% rispetto al 2017), con apparecchi elettrici e beni della meccanica strumentale (18,2%) tra i prodotti maggiormente richiesti dal nostro Paese (con un peso sul totale importato pari, rispettivamente, al 21,1% e al 18,2%). Da Pechino acquistiamo inoltre prodotti tessili e dell’abbigliamento (17,9%) e metalli (9,2%). Il Covid avrà probabilmente degli effetti negativi su questi numeri, ma è chiaro che in ogni caso, molto indietro da questi livelli non di torna.














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